News
Archivio newsCodice degli appalti tra nuove regole e attuazione del PNRR. Con quali effetti?
Il nuovo Codice degli appalti presenta elementi di forte discontinuità con la precedente disciplina, a partire dalla riduzione dell’assetto regolatorio e dalla presenza di principi generali che ne fanno un codice aperto all’interpretazione delle stazioni appaltanti, secondo i criteri del risultato, della buona amministrazione e dell’accesso al mercato. Una serie di interventi previsti per agevolare la realizzazione del PNRR, ma che dovranno venire tradotti in prassi operative per la realizzazione degli obiettivi. Saranno efficaci le nuove regole?
Il Codice degli appalti (D.Lgs. n. 36/2023), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 77 del 31 marzo 2023, è entrato in vigore il 1° aprile 2023 e le norme avranno efficacia dal 1° luglio 2023: per avvisi o bandi pubblicati prima di tale data si continuano ad applicare le disposizioni previgenti. Inoltre, è stabilito un periodo transitorio, fino al 31 dicembre 2023, con la vigenza di alcune disposizioni del D.Lgs. n. 50/2016, del decreto Semplificazioni n. 76/2020 e, specie per i contratti PNRR e PNC, del decreto Semplificazioni e governance n. 77/2021. Il testo del provvedimento riduce i commi degli articoli, le parole ed i caratteri utilizzati e, con gli allegati (sostituiscono ogni altra fonte attuativa della precedente disciplina, ossia: gli allegati al D.Lgs. n. 50/2016, le diciassette Linee Guida ANAC e circa quindici Regolamenti -tra cui il D.P.R. n. 207/2010), in buona sostanza ridimensiona il numero di norme e linee guida di attuazione. Uno dei punti centrali del nuovo Codice degli appalti è l’introduzione del principio del risultato. Ma lo prevedevano anche le varie riforme amministrative rimaste incompiute e per ultima quella del 2016, ed ora si è realizzata una profonda revisione da parte di una riforma complessiva che era una delle più attese tra quelle previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il testo, elaborato dal Consiglio di Stato e, con alcune modifiche, fatto proprio dal Governo, presenta elementi di forte discontinuità con il precedente, a partire dalla riduzione dell’assetto regolatorio (e minor rinvio ad atti regolamentari), dalla promozione della co-progettazione con i soggetti del terzo settore, dal suo essere preceduto da una serie di principi generali che ne fanno un Codice aperto all’interpretazione delle stazioni appaltanti, secondo i criteri del risultato, della fiducia reciproca, dell’accesso al mercato. E spicca quello del risultato, da collegare con l’autonomia contrattuale delle pubbliche amministrazioni (art. 8), acquisita da tempo e ritenuta dalla dottrina riconducibile all’<rich-cod chiave="05AC00003232">art. 11</rich-cod> del codice civile, che tratta delle prerogative delle persone giuridiche pubbliche, e rintracciabile nel principio di libera organizzazione delle procedure di scelta dei concessionari (art. 166 Codice vigente). Sarà la sua applicazione a confermare se questi assunti, verranno tradotti in prassi operative per le quali, stando sempre al nuovo testo, sembra volersi dare grande importanza alla discrezionalità e alla regola del caso concreto, secondo logiche di buona amministrazione e di buona fede. Il punto è che, di risultati, in tutti i settori della PA, si parla da 30 anni, perchè si introdusse, accanto alla privatizzazione del rapporto di lavoro e a un incisivo intervento sul piano organizzativo (principio della distinzione tra compiti di indirizzo e controllo degli organi politici e compiti di gestione degli organi tecnici), la “responsabilità da risultato” per la dirigenza (articoli 4 e 20 del D.Lgs. n. 165 del 2001) nonché regole, per lo più formali e giuridiche, che hanno disciplinato il sistema della valutazione delle performance, introdotto dal ministro Renato Brunetta con la legge n. 15 del 2009. Codice degli appalti e attuazione del PNRR Il nuovo Codice degli appalti è legato strettamente alla realizzazione del PNRR di cui però non tiene particolarmente conto.Certificazione della parità di genereInfatti, “cancella” la certificazione della parità di genere. La certificazione - inserita nel Codice per le pari opportunità (D.Lgs. n. 198/2006, art. 46-bis) nel 2021 (legge n. 162) - è un’attestazione relativa alle politiche e alle misure concrete adottate per “ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale e parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità”. Il rilascio della certificazione deve avvenire in conformità alla prassi di riferimento UNI/PdR 125 da parte di organismi di valutazione accreditati (DPCM 29 aprile 2022). Così come slegati da essa, e quindi dagli specifici criteri definiti dall’UNI/PdR 125, sono gli impegni che, ai sensi della normativa, devono essere assunti dagli operatori economici al fine di garantire pari opportunità di genere - oltre che generazionali e di inclusione lavorativa - per persone con disabilità o svantaggiate (art. 102, c. 1, lett. c). La prassi di genere prevede indicatori suddivisi in sei aree (cultura e strategia, governance, equità remunerativa per genere, tutela della genitorialità ecc.). Per le imprese non è più vincolante o premiante (erano previste agevolazioni per le imprese) e probabilmente determinerà anche una minore adozione di tali politiche. Ciò potrà pregiudicare anche il raggiungimento degli obiettivi legati al PNRR di cui alla missione 5 (Inclusione e coesione). Parità di genere è uno degli obiettivi fissati nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, e uno dei parametri contenuti nei criteri Esg (Environmental, Social and Governance), in quanto indice di progresso ed equità sociale. Il nuovo Codice dei contratti pubblici determina una regressione nell’adozione di strumenti che promuovono l’empowerment femminile.Formazione, salute e sicurezza sul lavoroAltro punto incerto è la formazione necessaria per accompagnare il nuovo Codice, puntando, più che sulle regole procedurali, sull’intreccio tra opzioni programmatiche e istituti contrattuali in esso previsti e su di una formazione specialistica che non risulti disinteressata nei confronti dei contenuti dell’attività di alta amministrazione, autoreferenziata rispetto a quegli impatti e priorità che orientano l’azione di governo. Ci vuole, inoltre, un collegamento organico, sistematico che collega la prevenzione della salute e sicurezza sul lavoro, che non si limiti a toccare questo o quel profilo formale o burocratico del Codice ma colleghi le norme. L’esperienza della legge n. 215/2021 di conversione del decreto Fiscale devono attenzionarci. Singole norme possono magari offrire indicazioni potenzialmente promettenti, ma finiscono poi per calarsi in contesti inappropriati e disperdere, di fatto, l’auspicata carica innovativa. Le disposizioni che prescrivono al datore di lavoro, oltre che ai dirigenti, l’obbligo di individuare i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza, e che in caso di prassi lavorative insicure impongono ai preposti, non di limitarsi ad avvertire i loro superiori diretti, ma addirittura d’interrompere l’attività. Certo, il legislatore si preoccupa anche di lusingare e rassicurare i preposti. Prevede che i contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire il loro emolumento per lo svolgimento delle attività di vigilanza, e intima che i preposti non subiscano pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento di tali attività. Ma negli attuali assetti organizzativi, siamo proprio sicuri che in concreto, ad esempio al momento di dover decidere l’interruzione della lavorazione, il singolo preposto non vivrà un drammatico, paralizzante dilemma tra rispetto del magistrato penale e ossequio al vertice aziendale? Nel nuovo testo del Codice degli appalti manca all’appello la possibilità di utilizzare una parte delle risorse dei quadri di spesa dei contratti pubblici per attivare dottorati di alta specializzazione (previsione del vigente Codice ripresa dal PNRR che ha finanziato i dottorati comunali), e che consente di articolare con le locali università borse di ricerca-azione e percorsi per la formazione di aspiranti funzionari, per legare il mondo della ricerca a quello delle imprese e delle PA più portate all’innovazione e al cambiamento di paradigmi culturali.Molteplicità delle stazioni appaltantiUna delle questioni più delicate è la molteplicità delle stazioni appaltanti (trentamila sul territorio nazionale), circostanza che entra in contrasto con il dichiarato intento di disporre di centri altamente qualificati e che viene confermata dalla possibilità, per tutti i comuni, di affidare direttamente, senza gara, lavori e servizi fino a 500.000 euro. Abbiamo evidenti difficoltà nel portare in porto i progetti e le gare ammesse al PNRR, in un quadro di procedure avviate nel 2022 e che hanno raggiunto il valore di 51 miliardi (70 per cento in più del 2021). Ma se si tiene presente che questo ritmo ha interessato i concessionari di reti e di infrastrutture (Fs) mentre, per i Comuni, i bandi registrano performance pari a quelle del 2021 (- 1 per cento), con gare e aggiudicazioni tutte da fare, la situazione è preoccupante (Vedi Openpolis). Molta attenzione deve essere rivolta alla integrità di chi, a vario titolo, si occuperà delle scelte discrezionali. Sarà richiesto un supplemento di vigilanza interna e di cittadinanza attiva, sugli incarichi affidati (con rotazione?) ai responsabili di procedimento e ai loro curricula, ma anche sulla correttezza degli amministratori, infatti gli operatori economici, importanti e agguerriti, sono sicuramente sotto processo del Parlamento europeo, ma rappresenta un rischio sempre in agguato nelle realtà storicamente permeabili, o che muovono ingenti risorse economiche Copyright © - Riproduzione riservata