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Archivio newsProcesso del lavoro: chiamata in causa di un terzo da parte del convenuto
Nel rito del lavoro connotato da specialità, vi è l’esigenza di garantire il contradditorio delle parti prima che il terzo possa essere chiamato dal convenuto; contraddittorio che sarebbe sacrificato se, prima dell’udienza di discussione, il giudice potesse ammettere la chiamata del terzo disponendo, intanto, la notifica del provvedimento di fissazione e della memoria del convenuto e quindi differendo l’udienza di discussione. Nel rito del lavoro infatti, ispirato a principi di concentrazione e celerità, l’ammissibilità della chiamata del terzo a istanza del convenuto richiede la verifica, da parte del giudice, della sua compatibilità con tali principi, riconducibili proprio al canone della ragionevole durata del processo; verifica che fin dall’inizio il legislatore ha collocato nell’udienza di discussione nel contraddittorio delle parti e che ancor oggi si giustifica in ragione della specialità del rito del lavoro secondo una scelta non irragionevole del legislatore stesso. Lo ha chiarito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 67 del 2023.
Il Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli articoli 418, comma 1, e 420, comma 9, c.p.c., per violazione degli articoli 3 e 111, comma 2, Cost., nella parte in cui non prevedono che, qualora il convenuto intenda chiamare in causa un terzo, egli debba richiedere al giudice, a pena di decadenza, nella memoria difensiva tempestivamente depositata ex art. 416 c.p.c., che, previa modifica del decreto emesso ai sensi dell’art. 415, comma 2, c.p.c., pronunci, entro 5 giorni, un nuovo decreto per la fissazione dell’udienza. Il caso Nell’ambito di un giudizio promosso da un lavoratore per il risarcimento del danno biologico c.d. differenziale subito a causa di una malattia professionale, il datore di lavoro chiedeva di chiamare in causa la propria compagnia assicurativa, senza richiedere al contempo, il differimento dell’udienza di discussione. Inoltre, all’udienza di discussione, il datore di lavoro si era riservato sull’autorizzazione alla chiamata in causa del terzo garante ex art. 420, comma 9, c.p.c., dopo aver fatto interloquire le parti sulla questione di legittimità costituzionale della relativa disciplina normativa. Il giudice a quo sottolinea, in particolare, che, qualora le questioni prospettate fossero accolte, dovrebbe essere disattesa l’istanza di chiamata in giudizio del terzo, poiché il convenuto, pur essendosi tempestivamente costituito entro il termine di 10 giorni antecedente l’udienza di discussione, non ha richiesto il differimento di tale udienza a fronte della predetta istanza.In particolare, il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale della disciplina ritraibile dal combinato disposto degli articoli 418, comma 1, e 420, comma 9, c.p.c., in quanto la stessa, potrebbe determinare: - una violazione dell’art. 3 Cost., nella misura in cui non prevede, così determinando un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla domanda riconvenzionale, che, anche laddove intenda chiamare in causa un terzo, il convenuto debba, a pena di decadenza, chiedere al giudice, ex art. 416 c.p.c., la pronuncia di un nuovo decreto per la fissazione dell’udienza; - una violazione del principio della durata ragionevole del processo sancito dall’art. 111 Cost., nella misura in cui stabilisce che il differimento dell’udienza debba essere disposto dal giudice solo all’udienza di discussione, incidendo di conseguenza in modo negativo sulla durata del processo. Quadro normativo L’istituto della chiamata in causa su istanza di parte è regolato, nei suoi presupposti, nel Libro I del Codice di procedura civile, con disposizioni dunque operanti in ogni processo di natura civile destinato a concludersi con una pronuncia suscettibile di passare in giudicato. In particolare, ai sensi dell’art. 106 c.p.c. (espressamente richiamato, per il processo del lavoro, dall’art. 420, comma 9, c.p.c.), “ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende di essere garantita”. Si distinguono due fattispecie di intervento su richiesta di parte: - la chiamata per “comunanza di causa” che rappresenta una nozione molto ampia, poiché ricomprende al proprio interno le più diverse ipotesi nelle quali, per motivi di connessione, è opportuna la presenza di un terzo nel processo. Particolarmente frequente è la chiamata in causa del cosiddetto vero obbligato o responsabile, ovvero del soggetto che il convenuto assuma essere l’effettivo legittimato passivo rispetto all’avversa pretesa. Una volta chiamato in causa, il soggetto indicato dal convenuto quale vero obbligato diventerà parte a tutti gli effetti, sicché la sentenza farà stato anche nei suoi confronti e potrà essere idonea ad accertare definitivamente chi è il vero obbligato. Lo stesso convenuto, nell’indicare il terzo come effettivo obbligato o responsabile, ha interesse a richiedere direttamente la sua chiamata in causa al fine di supportare adeguatamente la propria eccezione di difetto di legittimazione passiva; - la chiamata cosiddetta in garanzia che ha, invece, la finalità di tutelare il diritto di una delle parti a essere tenuta indenne da un altro soggetto (di solito una compagnia assicurativa) nel caso in cui risulti soccombente al termine del processo. L’unica norma che nel rito speciale del lavoro fa espresso riferimento alla chiamata in causa su istanza di parte è l’art. 420, comma 9, c.p.c., laddove stabilisce che, anche nell’ipotesi di cui all’art. 106 c.p.c., il giudice fissa una nuova udienza e dispone che, entro cinque giorni, siano notificati al terzo il provvedimento nonché il ricorso introduttivo e l’atto di costituzione del convenuto, osservati i termini di cui ai commi 3, 5 e 6 dell’art. 415 c.p.c. È opportuno considerare, a questo riguardo, che nel processo del lavoro la proposizione della domanda riconvenzionale deve essere “accompagnata”, secondo quanto previsto dall’art. 418 c.p.c., da una richiesta di differimento della prima udienza. Il differimento è invero un adempimento funzionale a consentire al ricorrente di compiere, prima dell’udienza di discussione, le attività difensive correlate alla nuova domanda connessa a quella principale, compresa l’eventuale proposizione di un’ulteriore domanda, la c.d. reconventio reconventionis, la cui formulazione deve seguire le medesime formalità. L’onere di chiedere al giudice la pronuncia di un nuovo decreto di fissazione dell’udienza, posto dall’art. 418 c.p.c., a pena di decadenza, a carico del convenuto che propone domanda riconvenzionale nel processo del lavoro, non è stato ritenuto estensibile in via ermeneutica dalla giurisprudenza di legittimità anche all’ipotesi in cui il medesimo convenuto chieda di essere ammesso a chiamare in causa un terzo. In proposito, questa prescrizione contenuta nell’art. 418 c.p.c., non risponde in maniera specifica e indefettibile a un’esigenza di carattere generale e deve ritenersi che, ponendo un onere sanzionato con la decadenza dall’esercizio di un potere processuale, costituisca una previsione di carattere eccezionale, non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica. Quindi, nel processo del lavoro, richiesta dal convenuto la chiamata in causa del terzo nella memoria tempestivamente depositata, è solo all’udienza di discussione che il giudice provvede sulla relativa istanza, rinviando, se autorizza la chiamata, ad una successiva udienza per consentire che la stessa venga effettuata nel rispetto del termine a difesa del terzo. La recente riforma del processo civile varata dal D.Lgs. n. 149/2022 (di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206), nel rimodellare la fase introduttiva del giudizio ordinario di cognizione, con il nuovo art. 171-bis c.p.c., ha previsto che, scaduto il termine per la costituzione tempestiva della parte convenuta, il giudice, entro i successivi 15 giorni, verificata d’ufficio la regolarità del contraddittorio, autorizza, quando occorre, tra l’altro, la chiamata in causa del terzo e, in tal caso, trova applicazione anche il comma 2 del medesimo art. 171-bis c.p.c., secondo il quale deve essere differita la prima udienza di comparizione con computo a ritroso rispetto alla nuova data della stessa dei termini per consentire il deposito delle tre memorie ante udienza contemplate dall’art. 171-ter c.p.c.. La sentenza della Corte Con la sentenza n. 67 dell’11 aprile 2023, la Corte Costituzionale ritiene non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova. In particolare, se da un lato è vero che in termini generalissimi la chiamata in causa del terzo potrebbe considerarsi anch’essa una domanda riconvenzionale, a differenza di quest’ultima, strettamente intesa, la stessa non è proposta nei confronti di un soggetto che è già parte del giudizio bensì di un terzo.Ciò impedisce di ritenere integrata un’ingiustificata disparità di trattamento ridondante in una violazione dell’art. 3 Cost., poiché, come questa Corte ha costantemente affermato, una violazione del principio di eguaglianza sussiste qualora situazioni omogenee siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili. In riferimento alla legittimità costituzionale delle norme censurate per contrasto con il principio della ragionevole durata del processo, sancito dall’art. 111, la Corte evidenzia che il rito del lavoro è ispirato a principi di concentrazione e celerità, per cui l’ammissibilità della chiamata del terzo ad istanza del convenuto richiede la verifica, da parte del giudice, della sua compatibilità con tali principi, riconducibili proprio al canone della ragionevole durata del processo. La finalità della disciplina è infatti quella di consentire al ricorrente, che di solito è il lavoratore, di interloquire ex ante rispetto all’autorizzazione alla chiamata in causa del terzo, che potrebbe rivelarsi solo dilatoria o comunque afferire a circostanze limitate ai rapporti tra convenuto e terzo, sulle quali l’istruttoria potrebbe ritardare il processo in danno della rapida definizione della controversia tra le parti originarie. La Corte ritiene che la scelta del legislatore, quanto al processo del lavoro, di rimettere all’udienza di discussione la decisione del giudice sull’autorizzazione, o no, della chiamata in causa del terzo, richiesta tempestivamente dal convenuto nella memoria ex art. 416 c.p.c. (invece che anticiparla con provvedimento reso dal giudice a seguito della costituzione in causa del convenuto prima dell’udienza alla medesima stregua di quanto avviene nel processo ordinario di cognizione, nonché, per effetto della proposizione della domanda riconvenzionale, nello stesso rito del lavoro) resta non irragionevole in quanto fondata ancora su una valida ratio giustificativa, che non ha smarrito la sua portata, resistendo al mutato contesto normativo, e che rappresenta essa stessa una peculiare declinazione del principio di ragionevole durata del processo, in coerenza con le finalità che connotano tale rito speciale. Copyright © - Riproduzione riservata
Corte Costituzionale, sentenza 11/04/2023, n. 67