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Diffida accertativa: quali sono gli strumenti di tutela utilizzabili

Il Tribunale di Castrovillari, nella sentenza n. 622 del 2023, in materia di diffida accertativa, ha ricostruito in via sistematica gli strumenti di tutela giurisdizionale previsti a favore delle parti. La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 23744 del 2022, aveva infatti sancito che la diffida accertativa, ancorché abbia acquisito valore di titolo esecutivo, non impedisce al datore di lavoro di promuovere un’azione giudiziale volta a contestare l’accertamento in essa contenuto: tuttavia, non erano stati indicati gli strumenti di contestazione. A colmare la lacuna ci ha pensato, quindi, il Giudice del lavoro calabrese. Quali sono le azioni esperibili?

Ancorché abbia acquisito valore di titolo esecutivo, il datore di lavoro ed il lavoratore possono impugnare la diffida accertativa per crediti patrimoniali con azione di accertamento negativo del credito patrimoniale ovvero con opposizione agli atti esecutivi. Lo chiarisce la sentenza del Tribunale di Castrovillari n. 622 del 13 aprile 2023 che, nel silenzio della legge, ricostruisce in via sistematica gli strumenti di tutela giurisdizionale previsti a favore delle parti. Diffida accertativa Introdotta allo scopo di deflazionare il contenzioso giudiziale e garantire così una più rapida soddisfazione degli interessi di natura patrimoniale dei lavoratori, l’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004 definisce la diffida accertativa come un accertamento tecnico svolto in sede amministrativa. Il Legislatore, con l’introduzione nell’ordinamento di questo istituto, ha per la prima volta disciplinato un titolo esecutivo di formazione amministrativa per la soddisfazione di un diritto soggettivo privato. Tale istituto prevede che, qualora il personale ispettivo dell’INL abbia prova che, per inosservanze della disciplina contrattuale, il lavoratore vanti un credito patrimoniale (es. retribuzioni non corrisposte, indennità non riconosciute, TFR non pagato, ecc.), diffidi il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti. Affinché il personale ispettivo, tuttavia, possa adottare questo provvedimento è necessario che il credito vantato dal lavoratore sia certo nell’an e nel quantum, ovverosia che abbia le seguenti caratteristiche: - certezza, deve risultare da un documento legalmente idoneo a formare il titolo esecutivo (non assoluta, né massima, ma legale); - liquidità: espressione del credito in danaro o altra quantità di cose mobili fungibili; - esigibilità: condizione che si realizza quando il termine per il relativo pagamento sia già scaduto. La conseguenza è che il personale ispettivo, nella formazione di questo provvedimento, ha una sorta di discrezionalità vincolata in quanto, se il credito vantato dal lavoratore è carente di taluni elementi, il provvedimento può non essere adottato (o addirittura ne è preclusa l’adozione); al contrario qualora dall’accertamento ispettivo emergano tutti gli elementi necessari e sufficienti, la diffida accertativa deve essere adottata. A questo proposito, la prassi amministrativa ha affermato che occorre considerare la natura della diffida che, nell'ambito delle competenze dell'ispettore del lavoro, non costituisce attività obbligatoria bensì facoltativa da attuare a seguito della valutazione delle situazioni concretamente rilevate (cfr. MLPS nota n. 101/Ris del 15/05/2006; INL nota n. 4623 del 24/05/2018). Per l’adozione del provvedimento di diffida accertativa il personale ispettivo valuterà soltanto i crediti da lavoro oggettivamente non prescritti nel termine quinquennale decorrente dal momento in cui il diritto poteva essere fatto valere, tenendo in debito conto, tuttavia, gli atti interruttivi eventualmente attuati e documentati dal lavoratore ai sensi dell’art. 1219 c.c. Una delle novità introdotte dalla Legge n. 120/2020 è rappresentata dall’estensione delle garanzie a favore del lavoratore creditore. Adesso, difatti, la diffida trova applicazione non soltanto nei confronti del datore di lavoro, ma anche nei confronti dei soggetti che comunque utilizzino le prestazioni di lavoro e che sono considerati solidalmente responsabili per i crediti accertati. In pratica certamente parliamo: - Del committente nell’ambito di contratti di appalto e subappalto di opere e di servizi (cfr. art. 1676 c.c.; art. 29, co. 2. D.Lgs. n. 276/2003); - Dell’utilizzatore nel contratto di somministrazione di lavoro (cfr. art. 35, co. 2, D.Lgs. n. 81/2015); - Del distaccatario nell’ambito del distacco transnazionale (cfr. art. 4, D.Lgs. n. 136/2016; INL Circ. n. 1/2017). Con riferimento alle forme illecite di esternalizzazione, la determinazione delle retribuzioni dovute al lavoratore, secondo la circolare INL n. 6/2020, andrà fatta sulla base del contratto collettivo applicato dall’utilizzatore anche per quanto riguarda l’inquadramento contrattuale del lavoratore. Difatti, rimarca l’Agenzia, l’art. 35, co. 1, del D.Lgs. n. 81/2015 prevede che “per tutta la durata della missione presso l'utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore”. Prescrizione dei crediti di lavoro La sentenza della Corte di Cassazione n. 26246 del 6 settembre 2022 ha chiarito che, per effetto degli artt. 3 e 4 del D.Lgs. n. 23/2015, la tutela reintegratoria, ha ormai acquisito un carattere recessivo e residuale tale da determinare, inevitabilmente, un timore del dipendente nei confronti del datore di lavoro per la sorte del rapporto ove egli intenda far valere un proprio credito nel corso dello stesso. Per tale ragione, la Suprema Corte ha sancito che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della Legge n. 92/2012 e del D.Lgs. n. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., a partire dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Traendo spunto da questa rilevante decisione, l’INL per mezzo della nota n. 1959 del 2022, revisionando le precedenti determinazioni, ha recepito il nuovo indirizzo giurisprudenziale affermando così che adesso il personale ispettivo dovrà computare - nell’ambito del provvedimento di diffida accertativa - tutti i crediti retributivi (certi, liquidi ed esigibili) di cui il lavoratore dipendente è titolare tenuto conto che il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale inizierà a decorrere solo dalla cessazione del rapporto di lavoro. Fanno eccezione a tale principio i rapporti di pubblico impiego nei quali, in virtù delle maggiori tutele previste a favore del lavoratore e dell’effettiva stabilità del rapporto di lavoro garantita dalla vigente disciplina, il termine di prescrizione quinquennale per i crediti di lavoro inizierà a decorrere in costanza di rapporto dal momento in cui il diritto stesso può esser fatto valere. In ogni caso, Il personale ispettivo dovrà tenere in debito conto gli atti interruttivi eventualmente posti in essere e documentati dal lavoratore ai sensi dell’art. 1219 c.c. Effetti del provvedimento e impugnazione in sede amministrativa Una volta notificato ritualmente il provvedimento, il datore di lavoro (o alternativamente l’obbligato in solido) ha l’obbligo di pagare la somma ivi indicata, direttamente a favore del lavoratore, nel termine di trenta giorni. Qualora, tuttavia, il datore di lavoro diffidato (e/o l’obbligato in solido) non ritenga di dover adempiere (in tutto o in parte) al provvedimento, ha facoltà di promuovere, nel termine perentorio di trenta giorni dalla notifica, un tentativo di conciliazione presso l’Ispettorato del lavoro territorialmente competente. In considerazione delle caratteristiche e delle finalità dell’istituto, la conciliazione va effettuata secondo le modalità procedurali previste dall’art. 11, del D.Lgs. 124/2004 (conciliazione monocratica). L’eventuale accordo raggiunto in detta sede ha come conseguenza la perdita di efficacia della diffida accertativa, con la conseguenza che le rinunzie e le transazioni economiche risultanti a verbale sono inoppugnabili ai sensi dell’art. 2113, co. 4, c.c. ed il verbale di accordo, su istanza della parte interessata, diviene esecutivo con decreto del giudice competente, come previsto, in via generale, per tutte le conciliazioni monocratiche, dal co. 3 bis dell’art. 11 del D.Lgs. n. 124/2004. I destinatari del provvedimento di che trattasi possono promuovere, entro trenta giorni dalla notifica ed in alternativa alla richiesta di conciliazione suddetta, un ricorso al direttore dell'Ispettorato territoriale del lavoro che ha adottato l'atto. Il ricorso, da notificare anche al lavoratore creditore, sospende l'esecutività della diffida ed è deciso nel termine di sessanta giorni dalla presentazione. La diffida acquista automaticamente efficacia di titolo esecutivo, senza alcun ulteriore provvedimento da parte del dirigente di sede o da parte dell’ufficio, in presenza delle seguenti circostanze: - trascorsi 30 giorni dalla notifica, salvo che non sia promosso un tentativo di conciliazione o sia presentato ricorso al direttore dell’ufficio che ha adottato l’atto; - in caso di mancato raggiungimento di un accordo in sede conciliativa, attestato da apposito verbale; - in caso di rigetto del ricorso. Impugnazione giudiziale Con l’ordinanza n. 23744 del 2022 la Corte di Cassazione ha affermato che la diffida accertativa, ancorché abbia acquisito valore di titolo esecutivo, non impedisce al datore di promuovere un’azione giudiziale volta a contestare l’accertamento in essa contenuto. Gli Ermellini, difatti, affermano che, nonostante la diffida abbia acquisito valore di titolo esecutivo, non si determina un passaggio in giudicato dell'accertamento in essa contenuto che, pertanto, può sempre essere contestato dalle parti. Difatti, la mancata opposizione alla diffida accertativa od il rigetto della stessa in via amministrativa, non precludono in alcun modo al datore di contestare in giudizio l'esistenza del diritto in essa riportato. Traendo spunto da questa decisione che pone fine alla diatriba giurisprudenziale dell’autonoma impugnabilità della diffida accertativa, il Tribunale di Castrovillari (CS), con la sentenza n. 622 del 13/04/2023, osserva, tuttavia, che né la legge né la Cassazione indicano quali siano gli strumenti di tutela giurisdizionale previsti a favore delle parti che intendono impugnare il provvedimento in questione. Per colmare questa lacuna, il Giudice del lavoro calabrese, sulla scorta delle pronunce giurisprudenziali di merito intervenute su questa materia, ricostruisce in via sistematica le seguenti azioni giurisprudenziali che sono esperibili tanto da parte del datore di lavoro destinatario della diffida, quanto dal lavoratore che, peraltro, potrebbe avere recriminazioni sul contenuto del provvedimento predisposto in via amministrativa. A) Azione di accertamento negativo del credito patrimoniale innanzi al Giudice del lavoro.Posto che la diffida accertativa, sebbene validata, è priva di immediata lesività, l’azione di accertamento negativo si pone come una contromisura con cui il datore/debitore diffidato (non ancora esecutato) attiva una tutela “anticipata”, chiedendo al giudice di accertare l’insussistenza totale o parziale del credito dedotto in diffida. Nelle more del giudizio di accertamento negativo, non va esclusa la possibilità, per il datore di lavoro, di promuovere un’azione cautelare ex art. 700 c.p.c. finalizzata ad ottenere la sospensione dell'efficacia esecutiva della diffida accertativa, dimostrando la fondatezza della domanda (fumus bonis iuris) e la sussistenza di un pregiudizio imminente ed irreparabile (periculum in mora). Poiché la questione riguarda diritti soggettivi, la giurisprudenza di merito ha affermato l’appartenenza alla giurisdizione del giudice ordinario della cognizione della relativa domanda giudiziale. Più precisamente, trattandosi di crediti retributivi, è ormai pacifica la competenza del Giudice del Lavoro e l’applicazione del rito in materia di controversie di lavoro.B) Opposizione all'esecuzione ovvero opposizione agli atti esecutivi ex artt. 615, 617 e 618-bis c.p.c..In presenza di un processo esecutivo illegittimamente intrapreso o anche solo minacciato, lo strumento adottabile è quello delle opposizioni, attraverso cui si contestano l’an ed il quomodo dell’azione esecutiva; Ove il lavoratore abbia intrapreso un’azione esecutiva, la tutela del datore di lavoro contro l’efficacia di un titolo esecutivo può essere esperita attraverso il rimedio dell’art. 615 c.p.c., che consente di contestare il credito del procedente sul piano sostanziale, nell’ambito di un vero e proprio giudizio di cognizione, al fine di negare il diritto del creditore istante di procedere in executivis. Il datore di lavoro potrà procedere, in via preventiva, con l’opposizione proposta contro l’atto di precetto (art. 615, co. 1, c.p.c.) che annuncia la volontà del creditore di procedere ad esecuzione, oppure successivamente, quando l’esecuzione è già iniziata (art. 615, co. 2, c.p.c.). Difatti, l'opposizione al precetto sarà la sede nella quale il destinatario della diffida non solo potrà far valere le proprie ragioni, ma anche ottenere la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo. Inoltre, il datore di lavoro potrà procedere con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c. (c.d. opposizione formale), al fine di far rilevare eventuali irregolarità formali del titolo esecutivo (diffida accertativa validata) o del precetto. Essendo la diffida accertativa uno strumento azionato dal personale ispettivo a favore del lavoratore creditore, l’unico legittimato passivo è rappresentato dal lavoratore (titolare del credito indicato nella diffida e quindi beneficiario del diritto accertato) e non l’ITL che ha emesso il provvedimento. Pertanto, il contraddittorio giudiziario andrà instaurato esclusivamente nei confronti del lavoratore. Diversamente, il ricorso verrà dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione passiva e conseguentemente rigettato (cfr. Trib. Cuneo Sent. del 12/9/2012; Trib. Ferrara Sez. Lav. 08/10/2013; Trib. Ferrara- Sez. Lav. Ord. del 24/5/2013; Trib. Ravenna Sent. n. 562/2012).Le seguenti considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenzaCopyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/04/22/diffida-accertativa-strumenti-tutela-utilizzabili

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