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Obblighi informativi: cambiano le modalità di comunicazione al lavoratore

Il decreto Lavoro interviene in materia di obblighi informativi modificando le previsioni del decreto Trasparenza, che avevano suscitato non poche perplessità per le modalità di attuazione gravanti sul datore di lavoro. Il Legislatore, facendo seguito alle prime indicazioni fornite dall’INL con la circolare n. 4 del 2022, ha semplificato gli adempimenti richiesti prevedendo che alcune informazioni possono essere comunicate al lavoratore con l’indicazione del riferimento normativo o del contratto collettivo, anche aziendale, che ne disciplina le materie. Quali sono le informazioni cui fa espresso riferimento il D.L. n. 48/2023 nell’ottica dell’invocata effettiva semplificazione? E’ uno dei temi del 12° Forum One LAVORO, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrina Per il Lavoro, che si svolge a Modena il 25 maggio 2023.

Il decreto Trasparenza (D.Lgs n. 104/2022), nel recepire la Direttiva UE n. 2019/1152, avrebbe dovuto attuarne i princìpi di trasparenza, informazione, conoscenza e prevedibilità con riferimento al rapporto di lavoro. Invece, a causa della sua formulazione, ha suscitato non poche perplessità, per le sue modalità di attuazione formalistiche e ridondanti gravanti sul datore di lavoro. In effetti, in base alle previsioni del decreto Trasparenza, entrato in vigore il 13 agosto del 2022, il datore di lavoro avrebbe dovuto inondare di informazioni il lavoratore dal momento dell’assunzione, entro tempi brevissimi, con la redazione di separati e specifici allegati al contratto di lavoro. Tutto ciò con notevole impiego di risorse umane a ciò dedicate e con il rischio di errori materiali nella gran mole del “flusso” informativo richiesto. Ma procediamo con ordine, partendo dalla prima versione del decreto Trasparenza, per poi soffermarci sui primi chiarimenti di prassi e sulle necessarie modifiche introdotte dal decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023) varato il 1° maggio 2023. Tale ultimo decreto ha semplificato gli adempimenti richiesti, a scanso di ogni equivoco interpretativo.

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Breve excursus Il decreto Trasparenza, nell’apportare modifiche all’art. 1 del D.Lgs. 152/97, aveva soppresso la possibilità di rinvio al CCNL per le informazioni a corredo del contratto di lavoro con la conseguenza che, in base al tenore letterale della norma, il datore di lavoro/committente restava onerato per intero degli obblighi di informativa senza possibilità alcuna di rimando o rinvio espresso alle disposizioni contrattuali e/o di legge applicate. Tale aggravio, di certo, era anche privo di utilità per il lavoratore/collaboratore, nei cui confronti il dettaglio delle informazioni - per intero declinate e riportate testualmente dalle clausole del contratto applicato e dalla legge - si traduceva, come detto, nella consegna di corposi allegati, con una sequenza di formule di difficile comprensione nel loro insieme. L’effetto finale di tale complicazione, nonostante l’invocata finalità di trasparenza, era un rapporto di lavoro che si caratterizzava per una “burocratizzazione corrispettiva” tra il soggetto datore ed il soggetto lavoratore. Inoltre, questa scelta formalistica del legislatore risultava opinabile anche perchè la suddetta Direttiva Europea, all’art. 4, consentiva scelte legislative nazionali diverse e più consone alla nostra già avanzata e garantista tradizione ordinamentale volta all’attuazione di una reale trasparenza informativa. Infatti, lo stesso articolo autorizzava, nella stesura del contratto, il rinvio alla legislazione, alle disposizioni amministrative e regolamentari oppure ai contratti collettivi per la disciplina di dettaglio (prova, formazione, congedi, retribuzione, orari). Allo stesso tempo, si raccomandava agli Stati membri di fornire modelli attuativi per essere di ausilio e facilitare l’assolvimento degli obblighi nonché per evitare che, nell’attuazione della Direttiva, si creassero ostacoli alla realtà delle micro, piccole e medie imprese. La circolare n. 4/22 dell’INL Le criticità connesse all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 104/22 (ed alla necessità di ottemperare ai relativi obblighi a partire dal 13 agosto 2022) hanno indotto l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (deputato per legge alla verifica degli adempimenti ed all’applicazione dell’apparato sanzionatorio in caso di riscontrata violazione) alla scelta di soluzioni applicative più flessibili rispetto all’opzione formalistica del nostro legislatore. L’INL, infatti, con la circolare n. 4 del 10 agosto 2022, premessa la trattazione del quadro applicativo e delle diverse fattispecie disciplinate dal decreto, ha riconosciuto la possibilità di fornire le informazioni normativamente richieste anche rinviando alla contrattazione collettiva. Eventualità, quest’ultima, prevista (per come già osservato) dalla Direttiva ma trascurata dal decreto Trasparenza, che avrebbe dovuto recepirne le finalità in linea con la nostra legislazione interna. In particolare, nella circolare si è affermato (distinguendo a monte tra informazioni di base e informazioni di dettaglio) che “ fermo restando che con la consegna del contratto individuale di lavoro o di copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro il lavoratore deve essere già informato sui principali contenuti degli istituti di cui all’art. 1 ( ad esempio: orario di lavoro giornaliero per n. giorni alla settimana; importo retribuzione mensile per n. delle mensilità etc.) la relativa disciplina di dettaglio potrà essere comunicata anche attraverso il rinvio al contratto collettivo applicato o ad altri documenti aziendali qualora gli stessi vengano contestualmente consegnati al lavoratore ovvero messi a disposizione secondo le modalità di prassi aziendale.” Le novità introdotte dal decreto Lavoro Il decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023), così rubrica l’art. 26: “Semplificazioni in materia di informazioni e di obblighi di pubblicazione in merito al rapporto di lavoro.” La scelta legislativa è stata chiara e netta con l’introduzione di espresse modifiche all’art. 1 del D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 152. In particolare, il nuovo comma 5 bis prevede che “le informazioni di cui al primo comma, lettere h), i), l), m), n), o), p), e r) possono essere comunicate al lavoratore, ed il relativo onere ritenersi assolto, con l’indicazione del riferimento normativo o del contratto collettivo, anche aziendale, che ne disciplina le materie.” Quanto all’oggetto delle informazioni richiamate dalla norma, si precisa che trattasi di quelle informazioni di dettaglio che vanno oltre le informazioni base (soggetto, oggetto della prestazione, luogo di lavoro) da rendersi all’atto dell’assunzione. Occorre dunque domandarsi che portata abbiano le informazioni cui fa espresso riferimento il decreto nell’ottica dell’invocata effettiva semplificazione. Sono le stesse informazioni individuate dall’INL ed in particolare: la durata del periodo di prova; il diritto a ricevere la formazione; la durata del congedo per ferie nonché degli altri congedi retribuiti e relative modalità di determinazione e di fruizione; la procedura, la forma ed i termini del preavviso in caso di recesso del datore di lavoro o del lavoratore; l’importo iniziale della retribuzione o, comunque, il compenso e i relativi elementi costitutivi con l’indicazione del periodo e delle modalità di pagamento; la programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione; le condizioni per i cambiamenti di turno; le informazioni da rendersi in caso di lavoro in tutto o, in gran parte, imprevedibile (relative alla variabilità della programmazione); l’ammontare minimo garantito delle ore retribuite; le ore e i giorni di riferimento in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le proprie prestazioni; il periodo minimo di preavviso cui il lavoratore ha diritto prima dell’inizio della prestazione e il termine (se consentito dalla tipologia contrattuale o pattuito) entro cui il datore di lavoro può annullare l’incarico; gli enti e gli istituti che ricevono i contributi previdenziali ed assicurativi dovuti dal datore di lavoro e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso. Inoltre, lo stesso art. 26 del decreto Lavoro prevede: “dopo il comma 6, è inserito il seguente: 6-bis. Ai fini degli adempimenti di cui al comma 1 del presente articolo e della uniformità delle comunicazioni, il datore di lavoro è tenuto a consegnare o a mettere a disposizione del personale, anche mediante pubblicazione sul sito web, i contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali, nonché gli eventuali regolamenti aziendali applicabili al rapporto di lavoro.” Importante è il riferimento espresso della norma agli eventuali regolamenti aziendali già richiamati nel corpo della circolare INL n. 4/2022, ai fini degli adempimenti di cui al decreto. Pure i regolamenti dovranno infatti essere consegnati o messi a disposizione altresì mediante pubblicazione sul web. Giova rammentare che i regolamenti aziendali rientrano nell’ampia nozione degli atti unilaterali datoriali di cui all’art. 2104 c.c., statuente l’obbligo di osservare le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore o dai suoi collaboratori al fine di conformare la prestazione lavorativa alle esigenze dell’impresa. Meccanismi di tutela: le ipotesi controverse Di particolare interesse è il Capo IV del Decreto Legislativo intitolato “Misure di tutela”. La Direttiva Europea prevede, infatti, che gli Stati membri provvedano ad assicurare ai lavoratori: il diritto di ricorso; una protezione da trattamento o conseguenze sfavorevoli; una protezione contro il licenziamento; che sul datore di lavoro o sul committente incomba l’onere di provare che i motivi addotti a fondamento del licenziamento o degli altri provvedimenti, non siano riconducibili all’esercizio dei diritti previsti dal Decreto. L’art. 12, attuando la Direttiva in parte qua, ha previsto meccanismi di risoluzione rapida delle controversie, con la possibilità di promuovere il tentativo di conciliazione facoltativo ex art. 410 c.p.c., la conciliazione in sede sindacale ex art. 411 c.p.c. e forme di conciliazione ed arbitrato ai sensi degli artt. 412 e 412 quater c.p.c.. Ipotesi particolare è quella disciplinata dall’art. 13 il quale, in attuazione della Direttiva sul meccanismo della protezione del dato, prevede una sanzione amministrativa ad hoc nel caso di adozione di comportamenti di carattere ritorsivo (o che, comunque, determinino effetti sfavorevoli) nei confronti dei lavoratori (o dei loro rappresentanti) che abbiano presentato un reclamo o che abbiano promosso un procedimento, anche non giudiziario, al fine di garantire il rispetto dei diritti di cui al Decreto. In tal caso, i lavoratori possono rivolgersi all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che applica la sanzione. La denuncia può essere presentata dall’interessato o dall’organizzazione sindacale delegata. Elemento qualificante la fattispecie è l’adozione di comportamenti di carattere ritorsivo. La condotta qualificante di natura “ritorsiva” non era espressamente prevista nella Direttiva. Il termine ritorsione rimanda alla nozione giuridica consolidatasi in giurisprudenza soprattutto con riferimento ai licenziamenti. In particolare, si qualifica ritorsivo l’atto adottato con motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c. ovvero l’atto compiuto con esclusiva finalità ritorsiva o di rappresaglia o di vendetta, integrante, come tale, il motivo illecito che abbia avuto efficacia determinativa della volontà datoriale (Cassazione Civile - Sez Lavoro- 29/05/2022 n. 28399; Cassazione Civile - Sezione Lavoro - 24/01/2023 n. 2117). A complicare le cose, in ordine all’accertamento della natura ritorsiva dell’atto, può concorrere una motivazione meramente formale ed apparente, tale da dissimulare tale natura. In questo caso è necessario che sia previamente accertata l’insussistenza della motivazione formalmente addotta atteso che, in mancanza di ciò, l’eventuale intento di rappresaglia del datore di lavoro non sarebbe di per sé sufficiente (sempre in tema di licenziamento Tribunale di Parma, Sezione Lavoro, Sentenza n. 65 del 16.02.2023). Pertanto, dal punto di vista probatorio, occorre sempre che il provvedimento sia stato determinato esclusivamente da motivo illecito, dovendo la sua nullità essere esclusa ove con il motivo illecito concorra un motivo lecito. La competenza ispettiva I lavoratori possono rivolgersi all’Ispettorato per l’accertamento della condotta ritorsiva e per l’applicazione della sanzione amministrativa speciale. Molti dubbi riguardano la sfera di possibile cognizione dell’Ispettore del Lavoro circa un accertamento da effettuarsi in via amministrativa, che richiede l’acquisizione di elementi di prova sintetizzabili per come segue: - prova dell’adozione di comportamenti effettivamente ritorsivi (ma quid iuris nel caso di finalità ritorsive con omissioni? Ad esempio: mancato riconoscimento economico o giuridico nella gestione del rapporto asseritamente spettante al lavoratore; - prova dell’elemento soggettivo del dolo (coscienza e volontà) ai fini della contestazione dell’illecito amministrativo ex lege 689/81 ma con l’ulteriore elemento (richiesto dalla costante giurisprudenza) del motivo illecito determinante; - prova nel nesso di causalità tra la richiesta del dato informativo ed il comportamento ritorsivo adottato; - prova di un effetto sfavorevole nella sfera giuridica del lavoratore (la norma non specifica se l’effetto sfavorevole debba essere necessariamente di natura economica); A parere dello scrivente, in sede di vigilanza ispettiva (amministrativa) INL, l’acquisizione di tutti i suddetti elementi di prova, necessari ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo e degli elementi oggettivi della fattispecie sanzionatoria, creerà non poche difficoltà operative. Ciò, ovviamente, in ragione della intrinseca complessità dell’accertamento da compiere, il quale non può esaurirsi in un giudizio documentale ma implica una valutazione da effettuarsi nel contraddittorio perfetto tra datore di lavoro e lavoratore (soprattutto per la rilevanza probatoria del motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., di cui si è detto). Se ne conclude che un tale accertamento potrà compiutamente svolgersi pressochè esclusivamente innanzi al competente Giudice del Lavoro e che la tutela ispettiva di natura sanzionatoria prevista dalla norma sarà di difficile applicazione. Protezione contro il licenziamento o contro il recesso del committente e onere della prova L’art. 14 del D.Lgs. n. 104/22 stabilisce che sono vietati i licenziamenti e i trattamenti pregiudizievoli adottati dal datore di lavoro e dal committente, in conseguenza dell’esercizio dei diritti di informazione e di trasparenza da parte del lavoratore. Si tratta, anche in questo caso, di condotte ritorsive del datore di lavoro/committente che rientrano nello schema di tutela dei contratti dell’art. 1345 c.c., schema che si applica pacificamente ai lavoratori autonomi e subordinati. Il comma 2 dell’art. 14 prevede una particolare procedura nel caso di motivi non contestuali al provvedimento di estromissione adottato o alle misure equivalenti al licenziamento. In questo caso, il lavoratore può fare espressa richiesta dei motivi adottati e il datore di lavoro (o il committente) fornisce, per iscritto, tali motivi entro sette giorni dall’istanza. Sono, tuttavia, necessarie talune precisazioni. L’art. 14, conformemente alle previsioni del decreto Trasparenza, si applica ai lavoratori subordinati ma anche ai collaboratori coordinati e continuativi ed ai prestatori di lavoro occasionale. Lo stesso articolo fa espressamente salva la disciplina dell’art. 2 della Legge n. 604/66, che prevede, per tutti i lavoratori subordinati, la contestualità della motivazione del licenziamento, la cui assenza comporta l’inefficacia del licenziamento stesso, quale vizio formale. A parere dello scrivente, la non contestualità dei motivi addotti può, pertanto, riguardare gli atti non tipizzati, quali le misure equivalenti al licenziamento incidenti sulla ampia platea dei lavoratori autonomi, parasubordinati e occasionali. In questi casi l’atto non sarà inefficace per mancanza dei motivi addotti, ma se ne potranno chiedere espressamente i motivi e la conseguenza della loro accertata invalidità sarà la nullità dell’atto stesso ex art. 1418 c.c. L’art. 14, inoltre, per espressa previsione della Direttiva attuata, prevede altra disciplina speciale in tema di onere della prova nel caso di violazione di cui al comma 1 ossia nei casi in cui il lavoratore/prestatore assuma violato il proprio diritto di informazione e diritto alla trasparenza, denunciando l’adozione di atti risolutivi del rapporto di lavoro ritenuti frutto di ritorsione. In questo caso, vi è una inversione dell’onere della prova, nel senso che sarà il datore di lavoro/committente a dover provare che i motivi addotti a fondamento del licenziamento (o degli altri provvedimenti equivalenti adottati a carico del lavoratore) non siano riconducibili a quelli di cui al comma 1, lesivi dei diritti tutelati. Viene ribadita, nello stesso comma 3 dell’art. 14 in parola, la regola generale di cui all’ art. 5 della Legge n. 604/66 il quale, ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, prevede l’onere della prova a carico del datore di lavoro. Si tratta di una scelta prevista a monte nella Direttiva Europea e di forte impatto in quanto, dal punto di vista processuale, sarà sufficiente al lavoratore descrivere in punto di fatto gli elementi che asseritamente integrino gli estremi di un comportamento ritorsivo (peraltro, come detto, non necessariamente tipizzato) perchè il datore di lavoro sia onerato della prova contraria. Quali le tutele accordate al lavoratore, nel caso in cui il datore di lavoro/committente non sia stato in grado di assolvere all’onere probatorio imposto e si versi nell’ipotesi della nullità degli atti vietati e ritorsivi di cui al comma 1? Sarà utile, a tali fini, qualificare il provvedimento datoriale in termini generali (ossia sotto il profilo del nomen iuris) e, ferma restando la generale applicazione dell’art 1418 c.c. in tema di nullità per violazione di norme imperative, qualificarlo nel dettaglio alla stregua di atto di risoluzione con effetti di estromissione, per come previsto dalla norma stessa. In questi casi, ove si tratti di lavoro subordinato, si applicherà la disciplina dei licenziamenti con riferimento alla data di assunzione del lavoratore e la tutela sarà quella apprestata dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e dall’art. 2 del D.Lgs. n. 23/2015. Nel caso di lavoro autonomo con recesso unilaterale del committente si applicherà invece l’art. 1418 c.c.Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione Pubblica di appartenenza.
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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/05/22/obblighi-informativi-cambiano-modalita-comunicazione-lavoratore

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