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Contratti a termine: come individuare e motivare le causali di natura tecnica, organizzativa o produttiva

Il decreto Lavoro prevede che, in assenza di regolamentazione da parte della contrattazione collettiva, l’apposizione del termine ai contratti superiore ai 12 mesi, ma non eccedente i 24 mesi, è determinato dalle parti contraenti che devono motivare e giustificare nel contratto le ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo. Una decisione che prevede, da parte del datore di lavoro, alcune valutazioni al fine di evitare possibili contenziosi. La causale presente nel contratto individuale dovrà, infatti, essere specifica con riferimento al fabbisogno reale dell’impresa legato all’intensificazione dell’attività, che dovrà essere anche essere temporaneo. Quale strumento potenzialmente deflattivo del contenzioso, potrebbe essere utile la certificazione del contratto di lavoro a termine.

Il decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023) ha rimesso al centro la contrattazione collettiva nella gestione del contratto a tempo determinato, al fine di superare le “rigidità” a tale formula contrattuale introdotte dall’ormai superato decreto Dignità. In assenza di regolamentazione collettiva, il ruolo centrale lo assumono le parti che dovranno andare a motivare (e giustificare) nel contratto le ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo. Una sorta di ritorno al passato ovvero all’art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001 che tanto contenzioso ha creato. Ma in assenza di regolamentazione collettiva, quali accorgimenti saranno necessari per individuare le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva tra le parti? Come motivare e che grado di dettaglio dare? Fermo restando la acausalità per i primi 12 mesi del rapporto (che è rimasta tale e non oggetto di modifica), con il decreto Lavoro viene modificato l’impianto relativo alle casuali che giustificano l’apposizione di un termine superiore, comunque non eccedente i 24 mesi. Viene, infatti, previsto che l’apposizione del termine superiore ai 12 mesi (sia in caso di stipula ma anche di proroga e rinnovo), ma non eccedente i 24 mesi sarà possibile: a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015; b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; b-bis) in sostituzione di altri lavoratori. In una sorta di “gerarchia” nelle causali, il ruolo principale lo assume la contrattazione collettiva, in primis quella definita dall’art. 51 del D.Lgs. 81/2015 che avrà il ruolo di tipicizzare le causali. Qualora i contratti collettivi di cui all’art. 51 non abbiano specifiche previsioni che diano seguito al rinvio operato dal decreto legge, l’individuazione delle condizioni che legittimano l’apposizione del termine superiore a 12 mesi viene rimessa agli accordi tra le parti nel contratto individuale di lavoro. Resta in ogni caso la causale collegata all’esigenza di natura sostitutiva. Cosa fare in assenza della contrattazione collettiva? In questo caso il decreto Lavoro consente alle parti contraenti il rapporto di lavoro di individuare le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano l’apposizione del termine oltre i 12 mesi (e in tutti i casi di rinnovo). Tale possibilità incontra però due limiti. Il primo è di tipo temporale: le parti avranno infatti la facoltà di individuare le specifiche ipotesi solo entro il termine del 30 aprile 2024, trascorso il quale viene meno tale possibilità; a tal fine, si ritiene che il termine del 30 aprile 2024 deve intendersi come ultimo giorno per la formalizzazione dell’atto, fermo restando che il rapporto di lavoro potrà comunque andare e produrre i propri effetti oltre tale termine. Il secondo limite è di “sostanza”: oltre i 12 mesi sarà possibile andare solo per “per esigenze di natura tecnica organizzativa o produttiva individuate dalle parti”. Tale formulazione richiama quella adottata dal legislatore con il D.Lgs. n. 368/2001, con il quale si consentiva “l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo …”). Formulazione che fu occasione di notevole contenzioso e che ha dato seguito a copiosa giurisprudenza in materia. Ma quali accorgimenti si dovranno avere al fine di evitare contenziosi sulle ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo individuate tra le parti? Il fulcro della risposta sta proprio nel grado di analiticità con il quale il datore di lavoro dovrà descrivere le motivazioni che hanno portato l’azienda ad utilizzare detta tipologia contrattuale che si ricorda essere una sorta di eccezione rispetto al contratto di lavoro che rappresenta la forma comune del rapporto di lavoro. Riprendendo quanto la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito in vigenza del D.Lgs. n. 368/2001 e che a parere di chi scrive potrà essere di riferimento anche ora, l’apposizione di un termine al contratto di lavoro imporrà al datore di lavoro l’onere di indicare in modo specifico “le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e l’utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa” (Cassazione n. 22496/2019). Più recentemente (Cassazione civile sez. lavoro n. 6737/2023) la Corte ha chiarito che “l'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, nel testo ratione temporis vigente, impone al datore di lavoro l'onere di indicare nel contratto in modo circostanziato e puntuale le ragioni che giustificano il ricorso al rapporto a tempo determinato, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l'immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto”. In pratica, la causale che dovrà risultare dal contratto individuale dovrà essere specifica non solo al fabbisogno che dovrà essere reale, ma tale fabbisogno dovrà anche essere temporaneo. Inoltre, la specificità della ragione giustificatrice del termine sussisterà quando gli elementi indicati nel contratto di lavoro consentiranno di identificare e di rendere verificabile l’esigenza aziendale che legittima la previsione della clausola (Cassazione n. 208/2015). Per tale ragione l’eventuale riferimento ad una intensificazione dell’attività (assolutamente legittima e giustificata) andrà accompagnata da altri dati di conoscenza, come, ad esempio l’indicazione delle mansioni rilevanti, l’ambito territoriale ove verrà svolta l’attività lavorativa e il periodo temporale in considerazione, che consentono l’individuazione della ragione organizzativa ed il susseguente controllo, da parte dell’eventuale giudice, della sua effettività e della inerenza alla assunzione. Sarà, infatti, quest’ultimo che nel verificare la specificità, potrà utilizzare tutti i dati risultanti dal contratto e, altresì, valutare ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, come, ad esempio il riferimento ad “un’intensificazione dell’attività”. L’indicazione di dati e informazioni circa la conoscibilità delle tangibili esigenze di natura organizzativa, produttiva o tecnica, che vanno ad enfatizzare l’effettività della causale addotta dal datore di lavoro, non potrà che rendere quantomeno “difendibile” il contratto a tempo determinato e ridurre così, ai minimi termini, un eventuale contenzioso con il lavoratore. Va da sé che le ragioni giustificatrici dovranno essere persistenti per tutta la durata del rapporto di lavoro, proroghe comprese. Viceversa, l’inserimento di una causale generica che richiama in maniera esemplificativa la ragione tecnica, organizzativa e produttiva (es. picco di lavoro) renderà sommaria l’esigenza identificata nell’accordo individuale con aumento esponenziale del rischio di disconoscimento del contratto a termine e di una sua rimodulazione a tempo indeterminato. Alla luce di quanto sopra, quale strumento potenzialmente deflattivo del contenzioso, si consiglia la certificazione del contratto di lavoro a termine sottoscritto tra le parti per una durata superiore ai 12 mesi. Tale strumento, regolamentato dagli art. 75 e ss del D.Lgs. n. 276/2003 consiste in una procedura di carattere volontario finalizzata ad attestare che il contratto che si vuole sottoscrivere abbia i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla legge volta alla riduzione del contenzioso in materia di qualificazione di alcuni contratti di lavoro. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/05/24/contratti-termine-individuare-motivare-causali-natura-tecnica-organizzativa-produttiva

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