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Omesso versamento di ritenute previdenziali: cambiano le sanzioni e la notifica della violazione

La sanzione amministrativa applicabile in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali, già prevista da 10.000 a 50.000 euro, è ora fissata da una volta e mezza a quattro volte l'importo omesso. Lo prevede il decreto Lavoro, che introduce così un regime più favorevole del quadro sanzionatorio. Prevista anche una deroga all’ordinario procedimento di contestazione e notificazione della omissione e degli estremi della violazione. Come si applicano nello specifico le modifiche introdotte dal Legislatore?

Tra le novità del decreto Lavoro, sono previste importanti novità sulle sanzioni amministrative in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali. L’art. 23, comma 1, del D.L. n. 48/2023 interviene, modificandolo, sull’art. 2, comma 1-bis, del D.L. n. 463/1983, convertito dalla legge n. 638/1983. La sanzione amministrativa applicabile ai sensi di tale disposizione, già prevista da euro 10.000 a 50.000 euro, è ora fissata da una volta e mezza a quattro volte l'importo omesso. Inoltre, il successivo comma 2 dell’art. 23 in parola, introduce una deroga all’ordinario procedimento di contestazione e notificazione della omissione e degli estremi della violazione di cui all’art. 14 della legge n. 689/1981. Ma analizziamo il quadro regolatorio della materia, soffermandoci su come si innestano le ultime modifiche introdotte dal legislatore. Omesso versamento delle ritenute previdenziali L’art. 2, comma 1-bis, del D.L. n. 463/1983, conv. dalla legge n. 638/1983, prevede che l'omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l'importo omesso non è superiore a 10.000 euro annui, si applica la sanzione amministrativa da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso; fino al 4 maggio 2023, cioè prima delle modifiche apportate dall’art. 23, comma 1, del D.L. n. 48/2023, la sanzione amministrativa era stabilita da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore di lavoro, in ogni caso, non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione. Tale quadro sanzionatorio si rende applicabile anche al settore agricolo (cfr. art. 1, comma 1172, legge n. 296/2006) nonché ai committenti sui compensi dei soggetti alla gestione separata (cfr. art. 39, legge n. 183/2010). Va ricordato altresì che, prima del 6 febbraio 2016, data di entrata in vigore del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, la condotta del datore di lavoro era perseguibile penalmente a prescindere dall’importo delle ritenute omesse, fermo restando la non punibilità nel caso di versamento dell’importo entro tre mesi. L’art. 3, comma 6, del D.Lgs. n. 8/2016 ha infatti sostituito il comma 1-bis dell’art. 3 del D.L. n. 463/1983, disponendo la depenalizzazione dell’omissione introducendo una soglia annuale entro la quale si applica invece una sanzione amministrativa. L’art. 8 del D.Lgs. n. 8/2016 prevede che le sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse prima della sua entrata in vigore ed in tal caso, secondo quanto dispone il successivo articolo 9, entro 60 giorni dalla notificazione degli estremi della violazione l'interessato è ammesso al pagamento in misura ridotta, pari alla metà della sanzione, oltre alle spese del procedimento. Prevede infine l’art. 6 che nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge n. 689/1981. Per l’applicazione del suddetto regime intertemporale l’INPS ha fornito indicazioni col messaggio n. 3516 del 27 settembre 2022. La giurisprudenza di legittimità è intervenuta in relazione a diversi aspetti relativi alla suddetta fattispecie di reato di omissione del versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali. La Corte di cassazione ha stabilito che l’obbligo del versamento delle ritenute nasce solo al momento della effettiva corresponsione della retribuzione sulla quale le ritenute debbono essere operate (Cass. pen. Sez. unite 28/05/2003, n. 27641) ed ha altresì enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l’importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi (periodo 16 gennaio-16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell’anno precedente e nel novembre dell’anno in corso)”. (Cass. pen. Sez. unite 07/03/2018, n. 10424). Dopo la depenalizzazione del reato, l’INPS è intervenuta con la circolare n. 121 del 5 luglio 2016 fornendo indicazioni alle sedi ai fini della determinazione dell’importo di euro 10.000 annui individuati come discrimine per l’identificazione della fattispecie di illecito penale o amministrativo, precisando che l’arco temporale da considerare per il controllo sul corretto adempimento degli obblighi contributivi è quello che intercorre tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre di ciascun anno (anno civile). Tenuto conto delle singole scadenze legali degli adempimenti dovuti dai datori di lavoro e committenti, i versamenti che concorrono alla determinazione della soglia di euro 10.000 annui – si legge - sono quelli relativi al mese di dicembre dell’anno precedente all’annualità considerata (da versare entro il 16 gennaio) fino a quelli relativi al mese di novembre dell’annualità considerata (da versare entro il 16 dicembre). Puntualizza l’istituto che, tale interpretazione, nel rispetto del tenore letterale della norma che definisce il limite di euro 10.000 annui, vincola l’avvio del procedimento di contestazione dell’omesso versamento delle ritenute ad un processo di consuntivazione necessario per la determinazione del valore complessivo dell’omissione. Accertato l’omesso versamento, l’istituto procede (rectius: deve procedere) all’accertamento della violazione ed a prescindere dall’importo omesso, il datore di lavoro potrà provvedere al pagamento delle ritenute entro tre mesi al pagamento dell’importo ai fini della non punibilità, ovvero della non assoggettabilità alla sanzione amministrativa. Nel caso di sanzione amministrativa, l’accertamento deve avvenire ai sensi dell’art. 14 della legge n. 689/1981. Retroattività In via generale, alle sanzioni amministrative regolate dalla legge n. 689/1981 si applica la sanzione vigente al tempo della violazione (tempus regit actum) senza applicazione, dunque, dello ius superveniens più favorevole. Considerando quanto previsto dall’art. 1, comma 2, della legge n. 689/1981, infatti, che come noto dispone che le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati, il principio del favor rei o del principio di retroattività in melius non si applica alle sanzioni amministrative regolate dalla legge n. 689/1981 (cfr. Corte cost. n. 63/2019 e n. 193/2016), salvo ovviamente disposizioni transitorie che regolino diversamente il regime sanzionatorio applicabile alle violazioni riferite ai periodi di omissione precedenti. L’art. 23 del D.L. n. 48/2023 pur non prevedendo disposizioni transitorie relative alla fattispecie in esame nella relazione illustrativa allegata al disegno di legge di conversione del decreto-legge (Atto Senato n. 685) emerge che si ritiene applicabile il regime più favorevole (salvo non sia già avvenuto il pagamento). Più specificamente - si legge nella relazione - “la natura punitiva della sanzione amministrativa permette l'equiparazione della sanzione amministrativa a quella penale, con conseguente applicazione del principio della retroattività in bonam partem (art. 2, comma 2, c.p.). Per effetto dell'introduzione della norma, sotto il profilo sanzionatorio, più mite, si potrà pertanto procedere direttamente all'irrogazione della sanzione così come rimodulata dalla novella legislativa (iura novit curia), restando valido il procedimento di notifica delle diffide già operata dall'Istituto.”. Invero, l’assenza di un regime transitorio è sottolineata dal Dossier n. 93 del Servizio studi della Camera e del Senato presente nei già citati lavori di conversione del D.L. n. 48/2023, nel quale si legge che “considerato che nell'ordinamento, per le sanzioni amministrative, tale principio di retroattività in bonam partem è posto - come rilevato anche nella sentenza della Corte costituzionale n. 193 del 6-20 luglio 2016 - solo nell'ambito di alcune discipline specifiche, come quella tributaria, quella valutaria e quella sulla responsabilità amministrativa degli enti privati in relazione a reati, invita a valutare l'opportunità di definire in termini espliciti tale profilo transitorio.”. Ad ogni modo, l’INPS ha preso atto della volontà del legislatore contenuta nella suddetta relazione confermando nel messaggio n. 1901 del 23 maggio 2023 quanto aveva già anticipato il Direttore Centrale delle Entrate dell’istituto, Antonio Pone intervenendo il 18 maggio scorso alla web tv dei consulenti del lavoro, ovvero che il regime più favorevole del quadro sanzionatorio in parola sia da ritenersi applicabile retroattivamente. L’istituto, infatti, ritiene sostenibile un’equiparazione della sanzione amministrativa a quella penale con conseguentemente applicazione del già citato principio della retroattività in bonam partem. Pertanto, gli uffici competenti procederanno - secondo le indicazioni del messaggio - anche alla rideterminazione in via di autotutela delle sanzioni amministrative già applicate secondo i nuovi parametri. Il documento di prassi dell’istituto fornisce altresì precise indicazioni alle strutture legali affinché tengano conto del nuovo provvedimento sanzionatorio che dovrà essere emesso dal Direttore della Struttura territoriale su loro richiesta con le attività processuali da svolgere in relazione alla causa già pendente. Notifica omissione La seconda novità è quella prevista dall’art. 23, comma 2, del D.L. n. 48/2023 che introduce una deroga al procedimento dettato dall’art. 14 della legge n. 689/1981, che impone all’INPS un termine perentorio di novanta giorni dall’accertamento (trecentosessanta per i residenti all’estero) per la notifica della violazione agli interessati ove questa non sia stata contestata immediatamente. A seguito della nuova disposizione, si prevede che per le violazioni riferite ai periodi di omissione dal 1° gennaio 2023, gli estremi della violazione devono essere notificati, in deroga all'art. 14 della legge n. 689/1981, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’annualità oggetto di violazione. Considerata l’interpretazione circa le annualità da considerare rilevanti ai fini del discrimine tra l’illecito penale e quello amministrativo (v. supra), il suddetto regime derogatorio di notificazione si applicherà dunque alle omissioni dell’annualità 2023 e quindi alle notificazioni a partire dal 2024, data in cui l’istituto sarà in grado di accertare le omissioni dei datori di lavoro e committenti dell’anno interessato. Fino all’annualità 2022, invece, continuerà ad applicarsi l’ordinaria disciplina prevista dall’art. 14 della legge n. 689/1981 e quindi i termini perentori entro cui l’istituto deve aver proceduto (o deve, nei casi in cui non siano spirati i termini di decadenza) alla notificazione dell’omissione pena l’illegittimità della successiva ordinanza ingiunzione notificata al datore di lavoro. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/05/26/omesso-versamento-ritenute-previdenziali-cambiano-sanzioni-notifica-violazione

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