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Conviventi di fatto nelle aziende familiari: quali sono le tutele previdenziali

L’Ispettorato Nazionale del lavoro si esprime sul ruolo del convivente di fatto nel mondo previdenziale. L’INL, infatti, con la nota n. 879 del 23 maggio 2023, fornendo una risposta a un quesito dell’Ispettorato territoriale del Lavoro di Cosenza, chiarisce i limiti della convivenza di fatto (more uxorio) nel campo previdenziale e, in particolare, in quello delle aziende familiari. Nella nota, l’Ispettorato si pronuncia sulla riconducibilità, ovvero sulla inquadrabilità, della posizione lavoristico-previdenziale del convivente more uxorio quale collaboratore e/o coadiuvante familiare. La nota è interessante anche perché analizza le recenti aperture della Cassazione Penale su questo tema. Quali sono ad oggi gli obblighi e i diritti in campo previdenziale di questi lavoratori? E quali le possibili evoluzioni interpretative?

Con una risposta a un quesito dell’Ispettorato territoriale del Lavoro di Cosenza sui limiti della convivenza di fatto (more uxorio) nella disciplina lavoristica, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro si pronuncia sulla riconducibilità, ovvero sulla inquadrabilità o meno, della posizione lavoristico-previdenziale del convivente more uxorio quale collaboratore e/o coadiuvante familiare. Lo fa con la nota protocollo n. 879 del 23 maggio 2023. La nota, pur riaffermando quanto già espresso da INPS e Ministero del Lavoro, pone l’accento su una questione essenziale per chi si occupa del rapporto tra la società che cambia e le leggi/norme. La necessità di seguire il percorso giurisprudenziale che molto spesso recepisce prima del legislatore i cambiamenti della società, che sovente vengono ad esso presentati dall’attività ispettiva che, a sua volta, si trova a contatto immediato con i cambiamenti e le richieste della società. Criticità e dubbi interpretativi di ispettori del lavoro e consulenti In sottofondo c’è il ruolo di chi si trova sul campo (ispettori e consulenti sui due lati) e deve gestire molto spesso gli effetti della società che cambia e le modifiche nella cultura sociale, che, a mano a mano, si creano in un quadro fatto di regole non più adatte. Un ruolo che chiama a proporre la necessità dell’aggiornamento delle regole sia al giudice che al legislatore.

Tutto questo è racchiuso nella conclusione della nota, che si esprime dicendo che: “tenuto conto della fisiologica inconciliabilità dei tempi di Giustizia con il rispetto della stringente tempistica procedimentale ispettiva, si propende per la conferma delle istruzioni operative (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e INPS) ad oggi vigenti, impregiudicate difformi valutazioni che sia la scrivente che gli Uffici in indirizzo dovranno effettuare in seguito alla luce della possibile evoluzione del quadro giurisprudenziale”.
Questo vuol dirci, operativamente, che su questo tema dovremo seguire il dibattito giurisprudenziale e le pronunce di legittimità per poter adeguare, eventualmente, le azioni da suggerire alle aziende o ai clienti. Interessante qui sarebbe fare un parallelo con gli obblighi deontologici di aggiornamento che i vari ordini e le varie associazioni pongono a carico dei loro aderenti. Con questa chiave di lettura torniamo, però, al tema della nota, che ripercorre quanto sinora prodotto dagli atti amministrativi e dalla giurisprudenza sul tema del convivente di fatto. Qui ci preme ribadire due concetti: il primo è che gli atti amministrativi, quali le circolari INPS, vincolano solo gli appartenenti all’Amministrazione e non hanno valore equiparabile alle norme (anche se in molti virtualmente credono alla loro equiparazione); il secondo è che gli atti giudiziari si esprimono sul singolo caso, non avendo un valore erga omnes, ma solo in taluni casi di indirizzo. Questa è una premessa necessaria perché la nota, per rispondere al quesito, fa riferimento a una circolare INPS e ad alcune sentenze. Infatti, la nota dell’INL mette al centro dei suoi ragionamenti la circolare n. 66 del 2017 emessa dall’INPS, che ha presentato un panorama completo sul rapporto tra unioni civili e convivenza di fatto. Unioni civili e tutele previdenziali Il documento dell’INPS in relazione alle unioni civili si rifà e commenta la legge n. 76 del 2016, ricordando che le unioni civili sono costituite da “due persone maggiorenni dello stesso sesso... (omissis) ... mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni”. Sempre la legge n. 76/2016, all’art. 1, chiarisce le implicazioni di tipo contributivo, affermando che: “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184”.
Questa equiparazione ha come conseguenza l’estensione delle tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma e societaria anche ai coadiuvanti uniti al titolare da un rapporto di unione civile. Dunque, dal punto di vista operativo, in presenza di questa unione, il titolare dell’azienda è tenuto ad effettuare, mediante il sistema ComUnica, le prescritte comunicazioni, qualora indichi come proprio collaboratore colui al quale è unito civilmente, identificandolo, nel campo relativo al rapporto di parentela, quale coniuge.
Oltre a ciò, alle unioni civili si applica l’art. 230 bis, c.c., che disciplina l’impresa familiare e i diritti e gli obblighi dei relativi partecipanti e, per l’effetto, il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare deve essere equiparato al coniuge, con tutti i conseguenti diritti ed obblighi di natura fiscale e previdenziale. Convivenze di fatto Per le convivenze di fatto, il quadro è molto diverso anche se la fonte di normazione è sempre la stessa, ovvero la legge n. 76 del 2016. Le convivenze di fatto consistono in unioni stabili tra due persone maggiorenni, legate da vincoli affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Le norme relative a questa fattispecie, pur definendo alcune tutele specifiche, come, ad esempio, natura sanitaria e abitativa, non la equiparano a un parente o a un affine entro il terzo grado, né estendono, dal punto di vista previdenziale, gli stessi diritti/obblighi di copertura previsti per il familiare coadiutore o per il collaboratore familiare. Per il convivente di fatto varranno, quindi, altri elementi, quali, ad esempio, la valutazione dell’esistenza di altri tipi di rapporto, come quelli di natura autonoma o subordinata. A questo riguardo, ricordiamo l’art. 230 ter del Codice civile, ove si attribuisce al convivente “che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente” il diritto di “partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato”, a meno che non sussista già tra le parti un rapporto di subordinazione o di società.
Questo articolo, interpretato letteralmente, ci dice la circolare n. 66 richiamata, non ha alcuna conseguenza in ordine all’insorgenza dell’obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome, mancando i necessari requisiti soggettivi, dati dal legame di parentela o affinità rispetto al titolare.
A tutto questo, secondo la nota dell’INL, deve aggiungersi la giurisprudenza di legittimità civile (Cass. n. 22405/2004; Cass. n. 4204/1994), che esclude, dal punto di vista previdenziale, l’equiparazione di status tra il coniuge e, per assimilazione normativa, le parti unite civilmente e il convivente more uxorio. Conclusioni In conclusione, quindi, ad oggi nessuna equiparazione può essere fatta tra convivente civile e parente (ovvero coadiutore e collaboratore familiare). La nota si poteva fermare su questa conclusione ed invece prosegue, e qui l’interesse al tema del cambio nella cultura della società e alla necessità del costante aggiornamento sui temi culturali che abbiamo richiamato all’inizio, precisando che le SS.UU. penali hanno iniziato un possibile percorso di assimilazione tra coniuge e convivente, con la sentenza n. 10381/2021. Un percorso ancora non seguito civilmente e che, forse presto, le Sezioni Unite Civili dovranno affrontare, visto che alle stesse è stato recentemente rivolto un quesito: “... Se l’articolo 230-bis, comma 3, c.c. possa essere evolutivamente interpretato (in considerazione dell’evoluzione dei costumi, nonché della giurisprudenza costituzionale e della legislazione nazionale in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso) in chiave di esegesi orientata sia agli artt. 2, 3, 4 e 35, Cost. sia all’art. 8, CEDU, come inteso dalla Corte di Strasburgo, nel senso di prevedere l’applicabilità della relativa disciplina anche al convivente more uxorio, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da un grado accertato di stabilità ...”. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/06/12/conviventi-aziende-familiari-tutele-previdenziali

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