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Appalti pubblici: una legge regionale non può stabilire principi o regole diversi e contrastanti rispetto a quelli fissati dallo Stato

E’ illegittima costituzionalmente la norma della Regione Puglia che prevede l’obbligo di costituire un deposito cauzionale, pari allo 0,5 per cento dell'importo del maggior costo presunto, a favore dell'Amministrazione entro quindici giorni dall'apposizione delle riserve sui documenti contabili con conseguente decadenza dal diritto di far valere le riserve nel caso di mancato deposito delle somme entro il termine indicato. Con la Sentenza n. 132 del 27 giugno 2023 la Corte Costituzionale ha stabilito che la disciplina, nel suo contenuto, nella ratio e nelle finalità che persegue, vìola il limite del “diritto privato”, confluito, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, nella competenza legislativa statale esclusiva relativa alla materia «ordinamento civile».

La Corte d’appello di Bari ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con riguardo alla materia «ordinamento civile». In particolare, la disposizione censurata stabilisce che «Qualora, a seguito dell’iscrizione delle riserve da parte dell’impresa sui documenti contabili, l’importo economico dell’opera variasse in aumento rispetto all’importo contrattuale, l’impresa è tenuta alla costituzione di un deposito cauzionale a favore dell’Amministrazione pari allo 0,5 per cento dell’importo del maggior costo presunto, a garanzia dei maggiori oneri per l’Amministrazione per il collaudo dell’opera. Tale deposito deve essere effettuato in valuta presso la Tesoreria dell’ente o polizza fidejussoria assicurativa o bancaria con riportata la causale entro quindici giorni dall’apposizione delle riserve. Decorso tale termine senza il deposito delle somme suddette, l’impresa decade dal diritto di far valere, in qualunque termine e modo, le riserve iscritte sui documenti contabili. Da tale deposito verrà detratta la somma corrisposta al collaudatore e il saldo verrà restituito all’impresa in uno con il saldo dei lavori». Il giudice a quo ha motivato in ordine alla non manifesta infondatezza, sostenendo che la disposizione censurata regoli «profili concernenti l’ordinamento civile che è materia che ricomprende al suo interno la disciplina sulla stipulazione e sull’esecuzione dei contratti». Il rimettente aggiunge che si tratta «di un ambito di competenza esclusiva dello Stato, poiché viene in rilievo l’esigenza, sottesa al principio costituzionale di uguaglianza, di assicurare, in relazione agli aspetti di pertinenza ad esso, l’uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale». Pertanto, il legislatore regionale non potrebbe in alcun modo stabilire principi o regole diversi e contrastanti rispetto a quelli fissati dallo Stato.Sentenza della Corte Nella sentenza n. 132 del 27 giugno 2023, la Corte Costituzionale evidenzia che con precedenti sentenze, aveva già specificando le condizioni che consentono a una disposizione regionale, che intersechi la materia privatistica, di superare il vaglio di legittimità costituzionale in riferimento all’«ordinamento civile». In particolare l’intervento deve essere connesso con una materia di competenza regionale, deve essere marginale e deve risultare conforme al principio di ragionevolezza, proprio nel rispetto del principio di eguaglianza, che incarna la ratio del limite medesimo. L’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 introduce, con una disciplina di rilievo tutt’altro che marginale, istituti propri del diritto privato e, in specie, del diritto contrattuale: - sotto il profilo dell’oggetto, regola profili che attengono all’efficacia e all’esecuzione del contratto pubblico d’appalto, fasi nelle quali l’amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte e agisce non avvalendosi di poteri autoritativi, bensì nell’esercizio della propria autonomia privata; - introduce una autonoma e peculiare disciplina che imputa all’appaltatore i costi di collaudo correlati alla verifica delle riserve, così incidendo sull’efficacia del contratto. Nello specifico, a copertura dei costi, prevede un onere di prestare garanzie reali o personali, stabilendo che, ove l’appaltatore non ottemperi a esso, consegue la decadenza dalle pretese iscritte a riserva, che possono attenere tanto alla corretta esecuzione del contratto, quanto alla eventuale responsabilità contrattuale della stazione appaltante e proprio il meccanismo della decadenza dimostra poi che la norma ha il potere di incidere sul diritto a far valere il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali e su quello al risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, potendo cagionare l’estinzione di tali diritti, che nell’autonomia privata rinvengono la loro fonte. E questo è senza dubbio precluso al legislatore regionale. In sostanza la disposizione censurata, oltre a regolare istituti propri del diritto privato, non trova alcuna corrispondenza nella legislazione statale: né in quella vigente al momento dell’emanazione della legge regionale e neppure in quella emanata in via successiva, fermo restando che l’illegittimità costituzionale della disposizione opera ab initio. A seguito di quanto rilevato la Corte dichiara quindi l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001, poiché nell’ambito che disciplina, nel suo contenuto, nella ratio e nelle finalità che persegue, vìola il limite del “diritto privato”, confluito, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, nella competenza legislativa statale esclusiva relativa alla materia «ordinamento civile». Copyright © - Riproduzione riservata

Corte Costituzionale, Sentenza 27/06/2023, n. 132/2023

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/06/28/appalti-pubblici-legge-regionale-non-stabilire-principi-regole-diversi-contrastanti-fissati-stato

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