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Tutele per i lavoratori esposti da agenti cancerogeni. L’Italia è pronta?

Il legislatore deve attuare i principi e i criteri direttivi per l’esercizio della delega per il recepimento della Direttiva UE2022/431 volta a modificare la Direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro. Non nego che mi sarei atteso principi e criteri direttivi più ampi rispetto ai due evocati: obblighi specifici del datore di lavoro, anche in materia di formazione ovvero informazione, nonché aggiornamento dell’attuale sistema di sorveglianza sanitaria. Lo si potrà sempre fare in sede di approvazione della legge di recepimento della Direttiva. Perché oggi, purtroppo, sul fronte dei tumori professionali, sembra essere tornati al secolo scorso. Ecco perché deve esserci un effettivo, penetrante, recepimento della Direttiva 2022/431.

Ogni occasione mi sembra propizia per riaccendere la speranza in iniziative atte a risollevare le sorti della sicurezza del lavoro nel nostro Paese. Appena ieri, abbiamo cercato di cogliere, e valorizzare, alcuni aspetti delle modifiche apportate dal decreto Lavoro al TUSL. Oggi è la volta dello schema di disegno di legge recante delega al Governo per il recepimento di direttive europee. A destare interesse è, infatti, l’art. 6, in quanto contempla principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega per il recepimento della Direttiva (UE) 2022/431 volta a modificare la Direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro. Si tratta di un interesse che non sorprende. Basti por mente che, stando al terzo considerando della Direttiva 2022/431, alla luce dei dati scientifici più recenti, le sostanze tossiche per la riproduzione possono avere effetti nocivi sulla funzione sessuale e sulla fertilità di uomini e donne in età adulta, nonché sullo sviluppo della progenie, e, quindi, analogamente agli agenti cancerogeni o mutageni, le sostanze tossiche per la riproduzione sono estremamente preoccupanti, in quanto possono avere effetti gravi e irreversibili sulla salute dei lavoratori. Di qui l’estensione del campo di applicazione della Direttiva 2004/37 alle sostanze tossiche per la riproduzione al fine di migliorare la coerenza con il regolamento (CE) n. 1907/2006 e di garantire un analogo livello di protezione minima. Del resto, già l’art. 245, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008 affida alla Commissione consultiva tossicologica nazionale il compito di individuare periodicamente le sostanze cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione che, pur non essendo classificate ai sensi del D.Lgs. n. 52/1997, rispondono ai criteri di classificazione ivi stabiliti. Certo, non nego che mi sarei atteso dall’art. 6 dello schema di disegno di legge principi e criteri direttivi più ampi e impegnativi rispetto ai due evocati: obblighi specifici del datore di lavoro, anche in materia di formazione ovvero informazione, alla luce dei nuovi livelli di rischio individuati; aggiornamento dell’attuale sistema di sorveglianza sanitaria, al fine del suo adeguamento alla valutazione dello stato di salute dei lavoratori adibiti ad attività nelle quali sono o possono essere esposti a specifici agenti cancerogeni, mutageni o sostanze tossiche per la riproduzione durante il lavoro. Emblematica è l’apertura dell’UE alla produzione di farmaci pericolosi contenenti una o più sostanze che rispondono ai criteri per essere classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione conformemente al regolamento (CE) n. 1272/2008. Con l’avvertenza - segnalata nei considerando 11 e 12 della Direttiva 2022/431 - che lavoratori, datori di lavoro o autorità preposte all’applicazione della legge non hanno agevolmente accesso a informazioni chiare e aggiornate in merito al fatto che i farmaci rispondano o meno a tali criteri, e che, pertanto, al fine di fare chiarezza sull’uso e sui rischi connessi alla manipolazione di tali farmaci pericolosi, è necessario adottare misure per aiutare i datori di lavoro a identificarli. Non senza contare che, in sede di valutazione dei rischi, il datore di lavoro sarà inevitabilmente chiamato a garantire che la sostituzione di farmaci pericolosi non vada a scapito della salute dei lavoratori. Mi aspetto, d’altra parte, che, in sede di approvazione della legge di recepimento, vengano approfonditi più temi, e, segnatamente, lo stesso profilo relativo alla sorveglianza sanitaria. Prezioso sarebbe un aggiornamento dell’attuale sistema di sorveglianza sanitaria che contempli la necessità, e non la mera opportunità attualmente evocata nell’art. 242, comma 6, del D.Lgs. n. 81/2008, che la sorveglianza sanitaria prosegua anche dopo la cessazione dell’attività lavorativa senza oneri economici e organizzativi a carico del lavoratore interessato. Ma a far spicco è per conto nostro un problema efficacemente evocato dall’UE, ma non ripreso nel disegno di legge di recepimento. Mi riferisco all’art. 1, paragrafo 10, lett. c), della Direttiva 2022/431 che così modifica l’art. 14, paragrafo 8, primo comma, della Direttiva 2004/37: “tutti i casi di cancro e di effetti nocivi sulla funzione sessuale e sulla fertilità delle lavoratrici e dei lavoratori adulti o sullo sviluppo della loro progenie che, in conformità delle leggi o delle prassi nazionali, risultino essere stati causati dall’esposizione a un agente cancerogeno, mutageno o a una sostanza tossica per la riproduzione durante l’attività lavorativa, devono essere notificati all’autorità responsabile”. Ecco una norma che ravvisa nella comunicazione all’autorità una scelta strategica di fondo, volta a potenziare a fini preventivi l’applicazione concreta della disciplina in tema di esposizione lavorativa ad agenti cancerogeni o mutageni, o a sostanze tossiche per la riproduzione. E si badi che l’art. 14, paragrafo 8, della Direttiva 2004/37, nel secondo comma così come modificato dalla Direttiva 2017/2342, continua a prevedere che “gli Stati membri tengono conto delle informazioni di cui al presente paragrafo nelle loro relazioni presentate alla Commissione ai sensi dell’articolo 17 bis della direttiva 89/391/CEE”. Relazioni di grande spessore preventivo, visto che forniscono “una valutazione dei vari aspetti relativi all’attuazione pratica delle varie direttive nonché, ove appropriati e disponibili, dati disaggregati per genere”, e che, sulla loro falsariga, “la Commissione effettua una valutazione complessiva dell’attuazione delle direttive in questione per quanto riguarda la loro rilevanza, delle ricerche e delle nuove conoscenze scientifiche verificatisi nei diversi ambiti”. Tanto che “la Commissione informa il Parlamento europeo, il Consiglio, il Comitato economico e sociale europeo e il comitato consultivo per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro dei risultati di tale valutazione e, se del caso, di tutte le iniziative volte a migliorare il funzionamento del quadro normativo”. Sapientemente, la Direttiva (UE) 2017/2398, nell’ottavo considerando, reputa “necessario che gli Stati membri raccolgano dati appropriati e coerenti presso i datori di lavoro per garantire la sicurezza dei lavoratori e assicurare loro un’assistenza adeguata”. E spiega: “Gli Stati membri sono tenuti a fornire informazioni alla Commissione ai fini delle sue relazioni sull’attuazione della Direttiva 2004/37/CE. La Commissione sostiene già le migliori prassi in materia di raccolta dei dati negli Stati membri e dovrebbe proporre, se del caso, ulteriori miglioramenti di tale raccolta in applicazione della Direttiva 2004/37/CE”. La posta in palio è determinante. Alla fine degli anni ottanta, una nota rivista italiana di medicina del lavoro segnalò che, nel nostro Paese, l’eziologia occupazionale dei tumori era largamente misconosciuta, e ci invitò ad andare alla ricerca dei tumori professionali perduti negli archivi degli ospedali e dei comuni. E dire che la sentenza pronunciata nel 1979 dalla Corte di cassazione sull’Ipca di Ciriè aveva spazzato ogni dubbio: il tumore causato dal lavoro deve essere vagliato dal magistrato penale quale possibile reato di lesione personale colposa o omicidio colposo; e, prima ancora, deve essere portato a conoscenza del magistrato penale mediante referto da parte dei medici. Purtroppo, a lungo, le cose andarono diversamente. Fu necessario attendere la pronuncia della Cass. 19 settembre 1997, n. 10750, che confermò la condanna del costruttore di un noto palazzo di Torino per omicidio colposo in danno di un lavoratore addetto ad operazioni di coibentazione con uso di prodotto contenente amianto e deceduto per mesotelioma pleurico. Oggi, purtroppo, sul fronte dei tumori professionali, sembra di essere tornati al secolo scorso. Allarmano i comportamenti tesi a depotenziare il sistema di sorveglianza delle patologie tumorali professionali in Italia, sia attraverso il mancato supporto alle attività connesse alla registrazione delle neoplasie occupazionali in alcune Regioni italiane, sia attraverso la mancata notifica all’Autorità giudiziaria dei casi di tumore professionale, certi o sospetti. Pressante è l’esigenza di andare in tutto il Paese alla ricerca dei tumori professionali, e di evitare che restino sepolti negli archivi dei comuni e degli ospedali. Lo scopo è quello di celebrare i processi penali a carico dei responsabili e di far risarcire le vittime e i loro congiunti, ma anche quello di scoprire luoghi insospettati e insospettabili di esposizione a rischi di cancro. In questa prospettiva, appare indispensabile stabilire obblighi di comunicazione dei casi di tumori di sospetta origine professionale che disancorino l’osservanza di tali obblighi da controproducenti discrezionalità e che siano assistiti da un adeguato regime sanzionatorio. È troppo sperare in un effettivo, penetrante, recepimento della Direttiva 2022/431? Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/07/01/tutele-lavoratori-esposti-agenti-cancerogeni-italia-pronta

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