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Archivio newsEnti del Terzo settore e imprese sociali: quali sono le modifiche al differenziale retributivo
Novità per i soggetti che prestano attività lavorativa in favore degli enti del Terzo settore e delle imprese sociali. La legge di conversione del decreto Lavoro, in particolare, introduce dei correttivi al differenziale retributivo disponendo che, in presenza di comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale, il rapporto è stabilito in uno a dodici. In maniera speculare, la disciplina del trattamento retributivo dei lavoratori dipendenti è stata modificata in sede di conversione anche relativamente alle imprese sociali. Qual è l’effetto delle novità sulla gestione del rapporto di lavoro?
Tra le diverse disposizioni contenute al suo interno, il decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023, convertito con legge n. 85/2023) interviene nell’ambito dell’attività lavorativa prestata in favore degli enti del Terzo settore (ETS) e delle imprese sociali. Il lavoro negli enti del Terzo settore Gli enti del Terzo settore (ETS), individuati nell’art. 4 del D.Lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo settore), possono realizzare il proprio scopo sociale anche avvalendosi dell’attività lavorativa dei soci o dei terzi, esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento e in relazione alla tipologia di attività svolta. A tal riguardo, il Codice sopramenzionato rivolge particolare attenzione al trattamento normativo e retributivo applicabile ai lavoratori. Nello specifico, l'art. 16 prevede che i lavoratori degli ETS hanno diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015, più precisamente: - in ciascun ente del Terzo settore, la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non può essere superiore al rapporto uno a otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda; - è obbligatorio dar conto del rispetto di tale parametro nel proprio bilancio sociale o, in mancanza, nella relazione di missione. Tale disposizione è finalizzata a contrastare pratiche di concorrenza sleale e vuole impedire, altresì, che all’interno di tali enti si realizzino fenomeni di sperequazione retributiva. La norma va letta in combinato disposto con altre disposizioni contenute nello stesso Codice che vietano la distribuzione, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominate a fondatori, associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associativo. In particolare, l’art. 8, comma 3, elenca una serie di attribuzioni economiche che si presumono riconducibili alla distribuzione indiretta di utili, tra le quali la corresponsione a lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del 40% rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale di cui all’art. 5, comma 1, lett. b), g), h) (interventi e prestazioni sanitarie, formazione universitaria e post-universitaria e ricerca scientifica di particolare interesse sociale). La retribuzione, quindi, fermo restando il rinvio ai contratti collettivi di cui al citato art. 51, va determinata nel rispetto di tali parametri e gli ETS devono darne conto nel proprio Bilancio sociale o, in mancanza, nella relazione di missione ex art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 117/2017. L’intervento del decreto Lavoro I correttivi apportati dal decreto Lavoro assumono particolare rilievo, tanto più se letti nella prospettiva di evitare limitazioni al potenziale di crescita e occupazione che contraddistingue l’economia sociale e le attività svolte nel Terzo settore. Difatti, nonostante la ratio perequativa e antifraudolenta delle disposizioni citate, queste ultime rischiano di scoraggiare il ricorso a lavoratori con professionalità altamente qualificate, spesso indispensabili alla realizzazione degli obiettivi dell’Ente, nella misura in cui la rigidità del parametro “uno a otto” impedisce negoziazioni contrattuali più adeguate a tali profili. Al riguardo, l'art. 29 del D.L. n. 48/2023 ha disposto che tale regola incontra una deroga in presenza di “comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale” di cui all'art. 5, comma 1, lettere b), g) o h). Di fatto, la novella ha esteso la “clausola di salvezza”, prevista dal menzionato art. 8 con riferimento alla destinazione del patrimonio e assenza di lucro degli ETS e ha disapplicato la regola generale secondo cui la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti degli ETS non può essere superiore al rapporto di uno a otto. I correttivi al differenziale retributivo dopo la conversione in legge La legge n. 85/2023, nel convertire con modificazioni il decreto Lavoro, all’art. 29 dispone che in presenza di comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale di cui all’art. 5, comma 1 (quindi non più con esclusivo riferimento alle attività indicate nelle lettere b), g) o h)) il rapporto è stabilito in uno a dodici. Negli stessi termini, il riferimento alle lettere b), g) o h) viene espunto anche dall’art. 8 del Codice, che così assume una portata più ampia. Di fatto, le comprovate esigenze che consentono la corresponsione di retribuzioni o compensi superiori del 40% rispetto ai valori della contrattazione collettiva, non si limitano più alle specifiche tipologie declinate nelle lettere citate, ma ricomprendono tutte le attività elencate nell’art. 5. In buona sostanza, la norma prevede la derogabilità al principio secondo il quale la differenza retributiva tra i lavoratori dipendenti degli ETS non può essere superiore al rapporto uno a otto (elevato da uno a dodici in presenza di comprovate esigenze). Vale la pena osservare che il Ministero del Lavoro, con nota direttoriale n. 2088 del 27 febbraio 2020 ha precisato che le condizioni previste per la derogabilità del vincolo richiedono un nesso eziologico logico e coerente, che ricorre nelle ipotesi in cui il superamento dei predetti limiti rappresenti l’unica strada percorribile dall’ETS per l’acquisizione di una professionalità ritenuta oggettivamente necessaria ai fini dell’implementazione delle specifiche attività di interesse generale e funzionale allo sviluppo dell’oggetto sociale. A tale proposito, lo stesso Ministero si è espresso affermando la necessità di supportare tali acquisizioni con adeguata documentazione (curriculum del lavoratore e deliberazione assunta dal competente organo sociale). Infine, in maniera speculare, la disciplina del trattamento retributivo dei lavoratori dipendenti è stata modificata in sede di conversione anche relativamente alle imprese sociali. Le modifiche si estendono, infatti, all’art. 3, comma 2 del D.Lgs. n. 112/2017 (Imprese Sociali) dalla cui lettera b) scompaiono i riferimenti alle lettere b), g) e h) riferite alle attività di interesse generale elencate nell’art. 2 del medesimo decreto. Anche in questo caso, la presenza di comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze per lo svolgimento di attività di interesse generale, giustifica la deroga al rapporto uno a otto, elevandolo a “uno a dodici” (art. 13). Copyright © - Riproduzione riservata