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Archivio newsSalario minimo. Cosa possono fare la contrattazione collettiva e il legislatore
Il tema del salario minimo torna ad essere centrale nel dibattito politico e ancorato alla mera quantificazione del prezzo dell’ora. E’ assente un dato che definirei dirimente: il potere d’acquisto dei salari fra le diverse aree del Paese. La questione deve essere presa in considerazione dal legislatore, ma, prima ancora, dalla contrattazione collettiva con l’introduzione a livello nazionale di elementi perequativi su base territoriale, affinché il lavoratore percepisca una retribuzione che abbia pari potere d’acquisto a seconda del luogo in cui viene resa la prestazione. In alternativa, l’approccio da parte del legislatore potrebbe essere quello di intervenire sulla leva fiscale, erogando fringe benefit su base regionale. Ma ferma restando l’attuazione della Direttiva UE 2022/2041, è auspicabile che venga inaugurata una stagione di riforme organiche, dove il tema del salario minimo diventi la logica conseguenza di un percorso di riforma complessiva.
Dopo un breve periodo nel quale il dibattito sembrava essersi sopito il tema del salario minimo torna ad essere centrale nel dibattito politico a seguito dell’approvazione del disegno di legge di delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2022-2023, ma anche della proposta in 7 punti presentata da una parte consistente delle forze di opposizione in Parlamento per la disciplina del salario minimo legale, il cui importo è stato individuato in 9 euro lordi l’ora. Il tema del salario minimo non può esaurirsi nell’individuazione di un importo orario al di sotto del quale non è possibile parlare di una retribuzione sufficiente, ma dovrà riguardare ben altri interrogativi in discussione ormai da anni. Nell’analisi di questa materia occorrerebbe in primo luogo verificare a quale parametro di riferimento si intende fare riferimento quando si discute dell’argomento. In altre parole, se si fa riferimento al TEM (trattamento economico minimo) ovvero al TEC (trattamento economico complessivo). Già solo questa scelta cambia drasticamente la prospettiva del limite legale al salario minimo e di quanti e quali contratti collettivi oggi in Italia già superano quella soglia. Ancora un’analisi sul salario minimo che voglia essere completa non può prescindere dall’elevatissimo grado di copertura della contrattazione collettiva nel nostro Paese ed anche dal sistema di relazioni sindacali che negli ultimi ottant’anni ha caratterizzato la dinamica della contrattazione collettiva. Ancora, vi è il tema del rapporto fra l’individuazione di un importo minimo legale ed il principio espresso dall’art. 36 Cost. che fino ad oggi, per il tramite della diretta applicazione da parte della giurisprudenza lavoristica, ha rappresentato una norma di chiusura del sistema tutte le volte in cui la contrattazione collettiva non ha garantito una retribuzione per il lavoratore che fosse aderente al dettato costituzione.Sul punto, a cura di chi scrive, leggi anche Adeguatezza della retribuzione: il dibattito è sempre aperto Sempre nel novero delle questioni che presiedono ad un approccio complessivo al tema del salario minimo non può non essere tenuto in considerazione che il dibattito politico - così come la contrattazione collettiva - rimane ancorato alla mera quantificazione del prezzo dell’ora, senza tenere in nessuna considerazione gli elementi legati alla produttività. In questo senso sarebbe necessario pensare, come più volte auspicato, un modello di subordinazione differente che prenda atto del superamento dell’idea per cui tutto si risolve nella mera messa a disposizione del tempo e delle energie lavorative. Tutti temi, quelli appena accennati, che sono direttamente ed indirettamente legati all’idea del salario minimo che, però, non possono trovare una risposta univoca ed immediata men che mai in prese di posizioni aprioristiche dell’una o dell’altra parte politica e nemmeno nell’individuazione di un valore del costo dell’ora. Questo non significa essere favorevoli o contrari ad un intervento legislativo sul punto, peraltro, del tutto condivisibile dal punto di vista etico e sociale, ma mettere in evidenza le correlazioni di sistema. A bene vedere, infatti, le misure che negli anni i diversi Governi hanno messo in campo hanno raggiunto l’obiettivo di ridurre l’emarginazione derivante dalla povertà e, conseguentemente, attenuare il conflitto sociale più duro e violento. Pur riconoscendo il valore sociale di quanto messo in campo fin ora, quello che trovo manchi, ancora una volta, sia un disegno complessivo sul lavoro e conseguentemente anche sul reddito da lavoro. Ritornando ai limiti presenti nel dibattito sul salario minimo ed alle prospettive del dibattito sul punto, trovo sia assente un dato che definirei dirimente, quello del potere d’acquisto dei salari. Si è, infatti, scelto, non è chiaro quanto scientemente o meno, di non affrontare il tema delle differenze nel potere d’acquisto del medesimo salario fra diverse aree del Paese. Quello appena sottolineato non è un tema marginale in un Paese in cui alcune ricerche hanno evidenziato la sussistenza differenziale sul costo della vita fra le diverse aree del Paese che tocca punte del 30% al netto dei costi per le esigenze abitative. In altre parole, una retribuzione che sia “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” come vuole il dettato costituzionale, potrebbe subire rilevanti differenze fra le diverse aree del Paese. Nella riflessione politica sul tema del salario sia esso legale o contrattuale questo tema è rimasto sempre marginale per non dire assente - fatti salvi alcuni casi isolati - così come lo è stato nella contrattazione collettiva che nel tempo ha sempre scelto di non interviene, trincerandosi dietro l’esistenza, o meglio la pretesa esistenza, di un principio di parità di trattamento o di equità della retribuzione sconosciuto al dettato costituzione. Muovendo da questi presupposti è possibile ed auspicabile che la questione sia presa in considerazione dal Legislatore, ma, prima ancora, dalla contrattazione collettiva con l’introduzione a livello nazionale di elementi perequativi su base territoriali. Non si tratta di un ritorno alle “gabbie salariali”, quella è una stagione ormai ampiamente conclusa. Ciò di cui si discute è la possibilità che la contrattazione collettiva introduca elementi integrativi che facciano si che il lavoratore percepisca una retribuzione che abbia pari potere d’acquisto a seconda del luogo in cui viene resa la prestazione. Laddove la contrattazione collettiva dovesse risultare indifferente ad istanze di equità come quelle rappresentate, l’unico strumento sarebbe l’intervento del Legislatore, anche in occasione di futuri interventi normativi sul salario minino. Sotto questo profilo l’approccio al tema da parte del Legislatore potrebbe essere quello di intervenire sulla leva fiscale per l’erogazione di fringe benefit su base regionale. In altre parole, l’effettività del trattamento retributivo nel complesso ben potrebbe passare attraverso un regime fiscale differenziato dei benefit. Tale impostazione renderebbe superabili anche le questioni attinenti alla parità di trattamento vigente nell’alveo del pubblico impiego. Volendo trarre alcune brevi conclusioni sullo stato attuale della discussione in tema di salario minimo - rimanendo avulsi dai campanilismi - è possibile affermare che, ferma restando l’attuazione della Direttiva UE 2022/2041, occorre fare delle scelte di campo su questa materia che non siano limitate ad aspetti specifici, ma è auspicabile che venga inaugurata una stagione di riforme organiche dove il tema del salario minimo diventa la logica conseguenza di percorso di riforma complessiva, che abbia quale filo conduttore quello della valorizzazione delle nuove esigenze dell’individuo e della sua produttività. Copyright © - Riproduzione riservata