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Archivio newsFringe benefit fino a 3.000 euro: nuove opportunità ma anche più adempimenti per le imprese
La legge di conversione del decreto Lavoro aumenta fino a 3.000 euro della soglia di defiscalizzazione dei fringe benefit per il 2023, ma solamente per lavoratori e lavoratrici dipendenti con figli fiscalmente a carico. Oltre ai vantaggi per i lavoratori, la misura può essere un’opportunità per molte imprese che vogliono sperimentare il welfare aziendale, ma che non hanno le possibilità organizzative necessarie per lo sviluppo di piani strutturati. Tuttavia, differenziare il trattamento a seconda della presenza dei figli può rappresentare un carico di lavoro maggiore per le imprese poiché dal punto di vista organizzativo e della rendicontazione occorre obbligatoriamente suddividere le scelte e i comportamenti nel campo del welfare sulla base della composizione familiare dei dipendenti. Qual è, invece, il ruolo del PNRR per lo sviluppo del welfare?
Il decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023 convertito in legge n. 85/2023), prevede il finanziamento di 142 milioni nel corso di quest’anno per innalzare fino a 3.000 euro la soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit aziendali per tutti i lavoratori dipendenti con figli. Come confermato anche dalla legge di Bilancio 2023, nell’ultimo periodo anche il Governo vuole dare sempre più importanza a comportamenti volti al benessere sul luogo di lavoro. Ma cerchiamo di riassumere benefici e limiti di questo particolare provvedimento. Welfare aziendale e fringe benefit dopo il decreto Lavoro In genere con welfare aziendale si intendono tutte quelle politiche messe in atto dal datore di lavoro che vanno a migliorare la qualità della vita del personale dipendente. Nel linguaggio comune si fanno rientrare in questa categoria anche quei beni e servizi che in realtà sono fringe benefit. Si tratta di due termini tecnici che indicano cose diverse e che hanno anche un trattamento diverso: è bene quindi approfondirli con la giusta attenzione. E’ utile chiarire che la retribuzione può essere corrisposta in denaro o in natura, cioè sotto forma di beni o servizi. I fringe benefit fanno parte di questa seconda categoria, come definito nella risoluzione n. 55/E/2020 dell’Agenzia delle Entrate. Cioè rientra in questa definizione tutto quello che il datore di lavoro eroga ai propri dipendenti, al di fuori del denaro contante. Questi benefit generalmente rientrano nella sfera del reddito da lavoro dipendente, ma ci sono alcune eccezioni. La norma prevede che al di sotto di una data soglia annua, fissata a 258,23 euro, non concorrano alla formazione del reddito. Per essere chiari all’interno del periodo d’imposta 2023, cioè a partire dal 1° gennaio fino al 31 dicembre, il datore di lavoro decide, per esempio, di erogare 250 euro di buoni spesa. Questa cifra, essendo più bassa del limite fissato dalla legge, sarà completamente esente da tassazione e contribuzione; non andrà quindi ad aggiungersi al reddito per il calcolo delle tasse annue. I 250 euro verranno erogati dal datore di lavoro e percepiti dal dipendente in misura piena, cioè netti, senza alcuna trattenuta. Se il datore di lavoro decidesse invece di erogare 300 euro di buoni spesa, risulterebbero imponibili a tasse e contributi nella loro totalità. In questo caso, infatti, superando il limite di 258,23 euro, verrebbero sommati al reddito annuo. I fringe benefit, però, non sono solo buoni pasto. Rientra in questa categoria ogni servizio che va ad attribuire un vantaggio a un soggetto, al di fuori della retribuzione erogata in busta paga. La concessione di un cellulare aziendale, un computer, ma anche la macchina e ogni altro mezzo che il dipendente può trovarsi a utilizzare anche al di fuori del proprio orario lavorativo. Il decreto Lavoro innalza la soglia a 3.000 euro per il 2023, ma solo per i dipendenti con figli a carico. In assenza di figli a carico resta l'esenzione per i soli beni e servizi assegnati dal datore di lavoro con tetto annuo di 258,23 euro. Per welfare aziendale si intendono in questa categoria tutti quei servizi o prestazioni offerti al dipendente, che possono peraltro essere utilizzate anche dai familiari. Le somme messe a disposizione sono escluse dal reddito di lavoro dipendente, purché siano offerte a tutti i dipendenti, o a gruppi di essi. A questo proposito, c’è una distinzione da fare. Il welfare, infatti, può essere di due tipi: - contrattuale: previsto direttamente dal contratto collettivo applicato in azienda o - aziendale: sulla base dell’iniziativa unilaterale e volontaria del datore di lavoro. La regola base è che il datore di lavoro non può erogare direttamente un importo monetario, ma fornisce appunto beni e servizi e nel cedolino non ci sarà un importo che andrà a concorrere alla formazione del netto in busta paga. È come se i servizi offerti venissero direttamente pagati dal proprio datore di lavoro. Il welfare, per sua natura, ha una valenza socioassistenziale, e riguarda cioè: previdenza complementare, l’assistenza sanitaria integrativa, le utilità non monetarie, come per esempio i fringe benefit. Il datore di lavoro, quindi, potrebbe inserire nel piano la possibilità di usufruire dei fringe benefit, ma solo nel limite imposto dalla legge. Si noti bene che il welfare aziendale per essere definito tale deve coinvolgere tutti i lavoratori, o per lo meno un gruppo. I fringe benefit, invece, possono essere riconosciuti anche a un singolo dipendente. La differenza è che, sebbene negli ultimi anni il legislatore abbia spesso innalzato il limite di non imponibilità dei fringe benefit, la regola generale e su cui bisogna fare affidamento è che possano essere esenti da tasse e contributi i vantaggi che hanno un valore uguale o inferiore a 258,23 euro. Nella maggior parte dei casi il welfare ha dei limiti di esenzione molto più alti, però deve sottostare comunque a una rigida regolamentazione. I piani di welfare vengono sottoscritti per aiutare le famiglie e bilanciare le esigenze lavorative e personali. I fringe benefit, invece, hanno tendenzialmente la valenza di premio per risultati raggiunti o incentivi per il futuro. Nuovo limite di esenzione per i fringe benefit: benefici e limiti La legge di conversione del decreto Lavoro prevede, infatti, un aumento della soglia di defiscalizzazione dei fringe benefit per l’anno in corso, ma solamente per lavoratori e lavoratrici dipendenti con figli a carico. Come per il 2022, anche quest’anno sarà possibile ottenere dalla propria azienda fino a 3.000 euro attraverso questo canale, ma a condizione, appunto, di essere genitori. Sarà inoltre possibile utilizzare questa somma anche per il rimborso delle utenze domestiche di acqua, luce e gas. In totale, il Governo prevede una spesa di 142 milioni di euro per questo intervento. Il Governo ha destinato i margini di bilancio disponibili per finanziare, per l’anno in corso, un nuovo taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi e un innalzamento del limite dei fringe benefit per i lavoratori dipendenti con figli. In questo modo il Governo si propone di perseguire “il duplice scopo di incrementare i redditi reali delle famiglie e al contempo limitare la rincorsa salari-prezzi, che renderebbe la vampata inflazionistica causata dai prezzi energetici e alimentari più sostenuta nel tempo, trasformandola in strutturale”. Differenziare il trattamento dei fringe benefit a seconda della presenza dei figli può rappresentare un carico di lavoro maggiore per le imprese poiché dal punto di vista organizzativo e della rendicontazione, le aziende dovranno obbligatoriamente suddividere le scelte e i comportamenti nel campo del welfare sulla base della composizione familiare dei dipendenti. In alcuni casi sarà un processo automatico, mentre in altri, soprattutto in imprese con molti collaboratori, il processo potrebbe essere più complesso. Vero è che legare questo vantaggio fiscale alla presenza di figli rischia di sminuire il valore del welfare aziendale e di essere considerato come un mezzo per incentivare la natalità e l’occupazione femminile: sicuramente sono un’opportunità rilevante in ottica di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro e anche per la parità di genere sul luogo di lavoro. Però, è altrettanto vero che il welfare aziendale comprende un’ampia gamma di politiche sociali ed è in grado, per sua natura, di innovare il rapporto tra impresa e dipendenti mettendo al centro dello scambio negoziale il benessere della persona. E’ importante che il welfare aziendale vada oltre i fringe benefit e diventi strutturale perché è pur vero che dal 2020 in poi gli interventi normativi in materia si sono limitati ad alzare la soglia dei fringe, peraltro sempre in modo temporaneo. La soglia è stata raddoppiata - sempre con scadenza entro l’anno di riferimento - nel 2020 e nel 2021; poi, nel 2022, è stata alzata prima a 600 euro e, successivamente, a 3.000 euro. I fringe benefit possono essere un’opportunità per molte imprese che vogliono sperimentare il welfare aziendale poiché è semplice, anche le piccole aziende che non hanno le possibilità organizzative necessarie per lo sviluppo di piani strutturati. C’è però il rischio che questi buoni siano utilizzati dalle aziende come una compensazione della retribuzione, piuttosto che come utile occasione per accedere a servizi di natura sociale. C’è infatti differenza tra utilizzare la quota di fringe per voucher spesa e carburante, o comunque altri benefit “accessori”, oppure per servizi riguardanti la famiglia, la cura, l’assistenza e il work-life balance. Per di più, una quota troppo elevata di fringe benefit - come i 3.000 euro dal decreto Lavoro - rischia di disincentivare la costruzione di piani di welfare più complessi e articolati. Con una soglia dei fringe così alta, infatti, per le aziende è molto più facile dare le stesse premialità attraverso buoni acquisto o carburante, che richiedono uno sforzo minore da un punto di vista organizzativo ed economico. In questo modo si perde però l’occasione di immaginare il welfare aziendale come effettivo strumento che abbia al centro bisogni e rischi sociali delle persone e delle famiglie. Le cifre che i datori di lavoro destinano al welfare aziendale vanno a integrare la normale retribuzione ma, rispetto a quest’ultima, hanno un impatto economico maggiore (grazie ai benefici fiscali) e non possono andare a risparmio: devono perciò essere spese dai lavoratori entro l’anno fiscale di riferimento. Il ruolo del PNRR C’è poi da ricordare il possibile ruolo che il PNRR può assumere per lo sviluppo e la valorizzazione del welfare aziendale. Dovremo attenzionare una concreta attuazione nei progetti di alcune Missioni all’interno delle quali il welfare occupazionale può giocare un ruolo strategico. La Missione 5, per la quale sono stanziati quasi 20 miliardi di euro, è dedicata al tema “Inclusione e coesione”. In questo ambito il welfare aziendale può trovare un suo spazio sia alla voce “Politiche per il lavoro” - soprattutto attraverso gli interventi legati alla formazione e al supporto alla parità di genere nel mondo del lavoro - sia a quella “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo Settore”. In generale gli interventi delle imprese potrebbero riguardare gli ambiti legati alla conciliazione vita-lavoro, attraverso misure che possono andare dalla flessibilità oraria (ma anche smart working, telelavoro e servizi di disbrigo pratiche), all’estensione dei congedi parentali e familiari, fino alle previsioni di convenzioni o servizi per i lavoratori con figli (asili nido, borse di studio, doposcuola, colonie estive o invernali, ecc.). Nella Missione 6, che vale 15,6 miliardi di euro ed è dedicata al tema “Salute”, il welfare aziendale può invece essere rilevante in materia di assistenza sanitaria integrativa, in tutte le sue forme. Da segnalare poi che la questione dell’assistenza ai familiari anziani e/o non autosufficienti può invece essere interpretata come trasversale alle due missioni. Anche allo scopo di promuovere una visione il più possibile integrata del problema, il PNRR richiama infatti in più Missioni questo tema: appare evidente che il welfare occupazionale può rappresentare una strategia cruciale per sostenere nuove policy e iniziative legate alla cura delle persone anziane. Infine, la Missione 3, che è dedicata alle “Infrastrutture per la mobilità sostenibile” e per la quale sono previsti 25,4 miliardi di euro, può condurre verso il rafforzamento di interventi di mobility management anche di stampo aziendale: in questo modo possono diffondersi veicoli aziendali condivisi meno inquinanti, sistemi di car o bike sharing o altre azioni incentrate sulla mobilità a basso impatto ambientale. Pur non essendo ancora chiarito l’iter del PNRR nei progetti o le prospettive di attuazione del PNRR a causa dei noti ritardi, ciò che appare sempre più chiaro dagli interventi e dalle decisioni del Governo è che il welfare aziendale è percepito come uno strumento strategico. E però è utile capire e seguire l’iter della proposta di salario minimo di legge poiché la questione welfare aziendale rischia di avere meno risorse disponibili delle imprese per praticare iniziative in materia. Copyright © - Riproduzione riservata