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Regime impatriati: esistono limiti all’applicazione retroattiva?

La prassi ministeriale ha da tempo chiarito che il regime impatriati, di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015, debba essere applicato, a pena di decadenza, al più tardi tramite la dichiarazione dei redditi relativa al singolo periodo d’imposta agevolabile. Entro quali limiti può essere prevista un’applicazione retroattiva, anche a fronte di un certo orientamento della giurisprudenza di merito? Sarebbe, quindi, necessario un allineamento effettivo della prassi amministrativa con la normativa, al fine di alimentare il proliferare dei contenziosi tra contribuenti e amministrazione finanziaria.

Il D.Lgs. n. 147/2015, all’art. 16, ha introdotto un regime di parziale esenzione del reddito di lavoro dipendente, autonomo e d’impresa prodotto in Italia dai contribuenti che trasferiscano la propria residenza fiscale nel nostro Paese ai sensi dell’art. 2 del TUIR e che si siano qualificati come fiscalmente residenti all’estero per i due periodi d’imposta antecedenti detto trasferimento. Regima impatriati: modalità applicative Per quanto riguarda le modalità applicative di tale agevolazione, con la circolare n. 17/E del 2017 l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che, in linea di principio, i lavoratori dipendenti con sostituto d’imposta italiano debbono farne richiesta scritta al datore di lavoro, che provvede ad applicare la detassazione direttamente in busta paga, calcolando le ritenute IRPEF sul reddito di lavoro dipendente già ridotto nella misura prevista dall’art. 16 citato. In via residuale, “nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia potuto riconoscere l’agevolazione, il contribuente può fruirne, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, direttamente nella dichiarazione dei redditi”. Con la successiva circolare n. 33/E del 2020, inoltre, l’Amministrazione finanziaria aveva precisato che “nelle ipotesi in cui l’impatriato non abbia formulato alcuna richiesta al proprio datore di lavoro nel periodo di imposta in cui è avvenuto il rimpatrio, né ne abbia dato evidenza nelle relative dichiarazioni dei redditi, i cui termini di presentazione risultano scaduti, per detti periodi di imposta, l’accesso al regime è da considerarsi precluso”. Ciò in quanto, a detta dell’Amministrazione finanziaria, dal carattere opzionale del regime impatriati discenderebbe che la dichiarazione dei redditi rivestirebbe, per il lavoratore impatriato, la natura di atto negoziale non liberamente emendabile tramite una successiva dichiarazione integrativa a favore. Dubbi sulla posizione dell’Amministrazione Le conclusioni raggiunte dall’Amministrazione, tuttavia, non appiano convincenti. Difatti, la formulazione letterale dell’art. 16 citato non prevede alcuna specifica regolamentazione in ordine alle modalità di fruizione delle agevolazioni in esame, né stabilisce, a tal fine, alcun preciso termine ordinatorio o perentorio. In altre parole, non viene espressamente contemplata, nella chiara lettera dell’art. 16 in commento, alcuna specifica causa di decadenza connessa alla mancata fruizione delle agevolazioni predette entro la scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi. Ed invero, come accennato, detta presunta causa di decadenza è stata prevista non da un atto avente forza di legge, bensì da un documento di prassi, cui certo non può riconoscersi funzione nomofilattica. E ciò, vieppiù, considerato che la Corte di Cassazione è ferma nel ritenere che la prassi ministeriale non può essere eretta a rango di fonte di diritto e non può imporre al contribuente adempimenti non previsti dalla legge; meno che meno istituire cause di revoca della agevolazione fiscale non contenuta in una norma di legge. Tant’è che anche la giurisprudenza di merito, con alcune recenti pronunce, ha nettamente sconfessato l’impostazione ministeriale, affermando come, rispetto al regime impatriati, la dichiarazione dei redditi rivesta la natura di semplice dichiarazione di scienza, liberamente emendabile dal contribuente, entro gli ordinari termini di accertamento. Secondo tale diversa impostazione, quindi, in ipotesi di mancata applicazione del regime impatriati per uno o più anni di spettanza, sarebbe ben possibile rivendicarne la spettanza in via retroattiva, tramite la presentazione di una dichiarazione integrativa a favore ovvero, in alternativa, tramite una specifica istanza di rimborso. Considerazioni conclusive Quanto appena esposto in ordine alle modalità applicative rappresenta l’ennesima querelle interpretativa sorta in relazione al regime impatriati. Gli orientamenti espressi nella prassi ministeriale formatasi in materia, difatti, risultano spesso lontani dal tenore letterale (e, talvolta, dalla ratio) del disposto di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015, introducendo requisiti soggettivi (si pensi ai chiarimenti formatisi in relazione ai lavoratori che rientrano in Italia dopo un periodo di distacco all’estero) e cause di decadenza non espressamente previsti dal legislatore. Il che, inevitabilmente, finisce per svilire i principi di certezza del diritto e legittimo affidamento, alimentando il proliferare dei contenziosi tra contribuenti e amministrazione finanziaria che, peraltro, conducono spesso al ribaltamento, in sede giurisdizionale, degli orientamenti ministeriali. Non può che auspicarsi un allineamento effettivo della prassi amministrativa non solo alla ratio della normativa in commento, ma altresì al trend di progressiva semplificazione che nel corso degli ultimi anni ha interessato la legislazione volta ad attrarre capitale umano nel nostro Paese. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/08/07/regime-impatriati-esistono-limiti-applicazione-retroattiva

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