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Trasferte di lavoro: quando è obbligatorio retribuire il tempo di viaggio per raggiungere la sede?

Secondo la regola generale il tempo impiegato per raggiungere la sede di lavoro, quella contrattuale ma anche quella prescelta per la trasferta, non rientra nell’orario di lavoro e non dà diritto alla retribuzione, salvo diversa previsione del contratto collettivo. È facoltà, infatti, della contrattazione aziendale prevedere la forfetizzazione dei tempi di viaggio e/o del trattamento economico. Occorre anche considerare gli orientamenti giurisprudenziali in materia e la posizione espressa dal Ministero del Lavoro con alcuni interpelli. In definitiva, quali sono gli obblighi ha il datore di lavoro per il tempo che il lavoratore impiega per raggiungere il luogo di svolgimento della trasferta?

All’atto dell’assunzione il datore di lavoro ha l’obbligo di indicare il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa che pertanto diventa uno degli elementi essenziali del contratto di lavoro subordinato, anche alla luce degli obblighi di trasparenza previsti dal D.Lgs. n. 104/2022. Nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, il datore di lavoro ha la facoltà di inviare il proprio collaboratore in trasferta in luoghi differenti rispetto alla normale sede di lavoro contrattualmente definita. Al verificarsi di tale situazione il datore di lavoro ha l’obbligo di rimborsare le spese sostenute dal lavoratore, analiticamente o forfettariamente oltre al tempo di viaggio ma solo se previsto dal CCNL applicato al rapporto di lavoro. E qualora il CCNL nulla preveda, che obblighi ha il datore di lavoro per il tempo che il lavoratore impiega per raggiungere il luogo di svolgimento della trasferta? Definizione di “tempo di viaggio” Il “tempo di viaggio” coincide con il tempo necessario al lavoratore per recarsi sul luogo in cui la prestazione lavorativa deve essere resa qualora inviato in trasferta. Si ricorda che la legge non fornisce una definizione di trasferta ma l’orientamento prevalente della giurisprudenza la considera come lo spostamento temporaneo del luogo di svolgimento del rapporto di lavoro, con rientro certo presso la sede originaria. Per quanto riguarda il tempo impiegato per raggiungere la sede di svolgimento dell’attività lavorativa, il principio generale è che tale intervallo di tempo non possa considerarsi come impiegato nell’esplicazione dell’attività lavorativa vera e propria e pertanto non rientrare nella definizione di orario di lavoro con conseguente diritto alla retribuzione per il lavoratore. L’art. 8, comma 3 del D.Lgs. n. 66/2003 (Testo unico sull’orario di lavoro) prevede che “Salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi, rimangono non retribuiti o computati come lavoro ai fini del superamento dei limiti di durata i periodi di cui all'articolo 5 regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955, e successivi atti applicativi, e dell'articolo 4 del regio decreto 10 settembre 1923, n. 1956, e successive integrazioni”. I regi decreti citati dal legislatore (che quest’anno compiono il secolo di vita) prevedono che “non si considerano come lavoro effettivo…il tempo impiegato per recarsi al posto di lavoro” (art. 5, R.D. n. 1955/1923) e che “non si considerano come lavoro effettivo e non sono compresi nella durata massima normale della giornata di lavoro prescritta dall'art. 1 del R.D. legge…Il tempo per l'andata al campo o al posto di lavoro e quello per il ritorno, in conformità delle consuetudini locali”. (art. 5 R.D. N. 1956/1923).

La norma pertanto stabilisce il principio generale secondo cui il tempo impiegato per raggiungere la sede di lavoro (quella contrattuale ma anche quella prescelta per la trasferta) non rientra nell’orario di lavoro e non dà diritto alla retribuzione, salvo diversa previsione del contratto collettivo.
Contrattazione collettiva Per quanto riguarda la contrattazione collettiva, il CCNL metalmeccanica industria per esempio prevede che “Al fine di prevedere lo svolgimento del normale orario di lavoro presso il luogo in cui è richiesta la prestazione lavorativa, al lavoratore comandato in trasferta, ad esclusione del personale direttivo, spetta un compenso per il tempo di viaggio, preventivamente approvato dall’azienda, in base ai mezzi di trasporto dalla stessa autorizzati per raggiungere la località di destinazione e viceversa, nelle seguenti misure: a) la corresponsione della normale retribuzione per tutto il tempo coincidente col normale orario giornaliero di lavoro in atto nello stabilimento o cantiere di origine; b) la corresponsione di un importo pari all’85 per cento per le ore eccedenti il normale orario di lavoro di cui al punto a) con esclusione di qualsiasi maggiorazione ex art. 7, Sezione quarta, Titolo III (lavoro straordinario, notturno e festivo). È facoltà della contrattazione aziendale prevedere la forfetizzazione dei tempi di viaggio e/o del trattamento economico. Il compenso per il tempo di viaggio effettuato al di fuori del normale orario di lavoro continua ad essere escluso dal calcolo della retribuzione spettante per tutti gli istituti contrattuali e/o di legge. Ma nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva nulla dica? In tale ipotesi vi sono contrastanti opinioni: - da un lato vi è chi sostiene che il tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro rimane sempre estraneo all’attività lavorativa vera e propria e non deve essere retribuito; - dall’altro vi è chi sostiene, invece, che le ore di viaggio non coincidenti con l’orario di lavoro, non devono essere retribuite, mentre vanno retribuite in modo pieno le ore di viaggio coincidenti con l'orario di lavoro (queste ultime devono essere pertanto retribuite come se fossero regolarmente lavorate). Orientamenti giurisprudenziali Sul tema si è espressa anche la giurisprudenza che ha affermato che “Salvo diverse previsioni contrattuali, il tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta non può considerarsi come impiegato nell'esplicazione dell'attività lavorativa vera e propria, non facendo parte del lavoro effettivo, e non si somma quindi al normale orario di lavoro, così da essere qualificato come lavoro straordinario, tanto più che l'indennità di trasferta è in parte diretta a compensare il disagio psicofisico e materiale dato dalla faticosità degli spostamenti suindicati.” (Cass. n. 5359/2001). La stessa giurisprudenza ha riconosciuto al diritto alla retribuzione per il tempo di viaggio nel caso in cui lo stesso sia funzionale rispetto alla prestazione. In particolare, la Cassazione (n. 5701/2004) ha affermato che “Il tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e propria - e va quindi sommato al normale orario di lavoro come straordinario - allorché sia funzionale rispetto alla prestazione; in particolare, sussiste il carattere di funzionalità nel caso in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta inviato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa.” E ancora (Cass. n. 5496/2006) “Il tempo per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e propria (e va, quindi, sommato al normale orario di lavoro come straordinario), allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione; in particolare, sussiste il carattere di funzionalità nei casi in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa. Analogo carattere deve riconoscersi, in generale, in tutte le ipotesi in cui il lavoratore sia obbligato dal datore di lavoro, per ragioni inerenti alla prestazione, a risiedere in un determinato luogo, sì che lo spostamento da questo alla sede aziendale per lo svolgimento delle ordinarie attività lavorative è senz'altro computabile nell'orario di lavoro.” EsempiPrimo casoIl lavoratore parte direttamente dalla propria abitazione per raggiungere la località della trasferta. Stando agli orientamenti, il tempo di viaggio non è considerato orario di lavoro (almeno quello non coincidente con l’orario normale di lavoro), salvo diversa disposizione collettiva o individuale. A meno che non si dimostri comunque la funzionalità del tempo di viaggio rispetto alla prestazione.Secondo casoIl lavoratore parte dalla propria abitazione per recarsi presso la sede aziendale, da cui poi partirà per raggiungere la sede della trasferta. Stando a tale orientamento giurisprudenziale, il tempo di viaggio dall’abitazione alla sede di lavoro abituale non è orario di lavoro, mentre il tempo di viaggio tra la sede di lavoro abituale e il luogo di trasferta, deve essere considerato orario di lavoro, in quanto funzionale alla prestazione Pertanto, sulla base dei principi giurisprudenziali sopra citati il tempo viaggio: a) non deve essere retribuito salvo diversa previsione del contratto collettivo; b) deve essere retribuito qualora sia funzionale rispetto alla prestazione ovvero nei casi in cui il lavoratore è obbligato a presentarsi in sede e da lì partire per la trasferta. La posizione del Ministero del Lavoro Sul tema si è espresso anche il Ministero del Lavoro con due risposte di interpelli (13 e 15 del 2010) con il quale ha affrontato la questione del tempo viaggio qualora il lavoratore si deva recare in un “punto di raccolta” (Interpello n. 13/2010) ovvero della gestione del tempo viaggio (Interpello n. 15/2010) Per la prima questione Il Ministero del Lavoro, rispondendo ad un quesito dell’ANCE citando due sentenze di legittimità (Cass. 11 aprile 2003, n. 5775 e Cass. 22 marzo 2004, n. 5701) ritiene che: a) se i lavoratori prima di recarsi al cantiere si incontrano, per propria comodità, presso un punto di raccolta, l'orario di lavoro decorre dal momento in cui sono operanti presso il cantiere; b) se i lavoratori prima di recarsi al cantiere si devono incontrare (ad esempio per prendere l'attrezzatura ovvero per mettersi a disposizione del datore di lavoro), presso un punto di raccolta, l'orario di lavoro decorre dal momento in cui si trovano presso il punto di raccolta. Con il secondo interpello, secondo il Ministero, conformemente all'orientamento giurisprudenziale maggioritario (Cass. 3 febbraio 2000, n. 1220, Cass. 10 aprile 2001, n. 5359, Cass. 3 febbraio 2003, n. 1555, Consiglio di Stato 24 dicembre 2003, n. 8522), le ore di viaggio in occasione di trasferta non rientrano nel concetto di orario di lavoro e, pertanto, non devono essere retribuite, in quanto indirettamente dall'indennità di trasferta. Il Ministero precisa: a) per orario di lavoro si intende qualsiasi periodo nel quale il lavoratore è al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni (art. 1, lett. a), del D.lgs. n. 66/2003); b) il tempo di viaggio per recarsi al lavoro non rientra nel concetto di orario di lavoro (art. 8, comma 3 D.lgs. n. 66/2003, articolo 5, R.D. n. 1955/1923, art. 4, R.D. n. 1956/1923); c) "pertanto il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta non costituisce esplicazione dell'attività lavorativa e il disagio che deriva al lavoratore è assorbito dall'indennità di trasferta" (così testualmente la risposta a interpello n. 15/2010). A tali principi generali sono previste secondo il Ministero le seguenti deroghe: a) la contrattazione collettiva (art. 8, comma 3, del D.lgs. n. 66/2003) può stabilire che le ore di viaggio (totalmente o parzialmente) possono essere considerate come effettivo servizio in quanto mera modalità di espletamento delle prestazioni lavorative (es. CCNL Metalmeccanici Confindustria); b) laddove le ore di viaggio siano esplicazione dell'attività lavorativa in quanto la funzionalità del tempo impiegato per il viaggio è strettamente correlata alla prestazione lavorativa (così Cass. 22 marzo 2004, n. 5701). Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/08/23/trasferte-lavoro-obbligatorio-retribuire-tempo-viaggio-raggiungere-sede

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