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Archivio newsWhistleblowing: concessione della tutela cautelare a favore di un whistleblower. In quale caso?
Il Tribunale di Milano, per la prima volta, ha concesso una tutela cautelare ad un whistleblower coinvolto in una serie querelle di oltre cinque anni, tra procedimenti disciplinari, penalizzazioni e licenziamenti. Una svolta giudiziaria che potrebbe servire da precedente significativo per fornire protezione concreta a coloro che, come nel caso del whistleblower, mettono a rischio la propria posizione per far emergere attività illegali. Anche alla luce della recente riforma del whistleblowing con il D.Lgs. n. 24/2023, la decisione sembra indicare una nuova attenzione della magistratura alla figura dell'informatore. Quali sono i fatti che hanno condotto la sezione Lavoro del Tribunale di Milano a concedere per la prima volta una tutela cautelare?
Il 20 agosto 2023, il Tribunale di Milano ha concesso per la prima volta una tutela cautelare ad un whistleblower dopo una lunga querelle di oltre cinque anni che ha visto il lavoratore coinvolto in una serie di procedimenti disciplinari, penalizzazioni e persino licenziamenti. Il provvedimento ha sospeso gli ultimi provvedimenti disciplinari adottati nei confronti del whistleblower (licenziamento e sospensione dalla paga e dal servizio per dici giorni, nonché ogni altra disposizione disciplinare connessa alle stesse), ordinandone la reintegrazione nell'azienda. I giudici hanno stabilito che la situazione in cui vive il lavoratore, che è stato privato della retribuzione per anni, comporta un danno giuridicamente rilevante sia economico che psicofisico. Inoltre, i recenti documenti della difesa hanno messo in dubbio le accuse mosse dall'azienda, il che ha rafforzato il fumus boni juris necessario per la tutela cautelare. Una svolta che potrebbe servire da precedente significativo per fornire protezione concreta a coloro che, come nel caso del whistleblower meneghino, mettono a rischio la propria posizione per far emergere attività illegali. Anche alla luce della recente riforma del whistleblowing con il D.Lgs. n. 24/2023, la decisione sembra indicare una nuova attenzione della magistratura alla figura dell'informatore. Per il Tribunale di Milano, in tema di whistleblowing, non si applica la tutela cautelare prevista dalla nuova disciplina in materia atteso che, secondo la prospettazione dello stesso Tribunale il comma 1 (uno) dell’art. 24 del D.Lgs. n. 24/2023 non ha natura processuale e quindi non trova quindi applicazione il principio “tempus regit actum”, ragione per la quale tale tutela (D.Lgs. n. 24/2023) è reclamabile, per il Tribunale di Milano, a favore di un whistleblower solo per fatti contestati a tale figura dall’azienda in conseguenza delle denunce/esposti/segnalazioni presentate dallo stesso dopo il 14/7/2023. La sentenza del Tribunale di Milano Cinque anni e mezzo. Il tempo necessario al whisitleblower meneghino dopo un incredibile querelle disciplinare/penale/civile, per poter rientrare in azienda. Questa la triste storia di un uomo per bene che, pur avendo fatto una cortesia alla propria azienda ed al suo azionista unico, denunciando una truffa ai danni degli stessi, si è trovato coinvolto in quattro procedimenti disciplinari, due procedimenti penali e due procedimenti per licenziamento disciplinare oltre ad aver subito la sospensione della paga e dal servizio, quale cortese accessorio ai procedimenti disciplinari instaurati dall’azienda. Il che ha comportato che per oltre 4 anni il whistleblower è “sopra vissuto” solo grazie ai costanti aiuti economici dei propri famigliari. Tanto per capire l’iter che ha subito il whistleblower si illustra brevemente la struttura della procedura disciplinare cui sottostanno gli auto ferro tranvieri. Ricevuta la contestazione disciplinare il lavoratore in proprio o a mezzo dei propri procuratori, presenta le proprie “giustificazioni”. A seguito della presentazione delle proprie giustificazioni l’azienda commina o meno una sanzione. Se comminata la sanzione l’autoferrotranviere ricorre dapprima al consiglio di disciplina, organo terzo all’azienda, formato da 3 sindacalisti, tre funzionari dell’azienda e un presidente nominato dall’azionista di maggioranza, che può revocare/modificare/confermare o meno la sanzione disciplinare inflitta dall’azienda. Nel caso che interessa il whistleblower meneghino il consiglio di disciplina ha confermato due volte la destituzione dal servizio del lavoratore. Da una prima destituzione del servizio il whistleblower era già uscito vincitore ottenendo la reintegra; tuttavia, successivamente al primo provvedimento di reintegra l’azienda ha riattivato due procedimenti disciplinari, entrambi successivi alla denuncia fatta dal whistleblower, che hanno portato, nonostante le giustificazioni assunte dal lavoratore l’azienda a comminare altre due destituzioni dal servizio. Il consiglio di disciplina, cui il whistleblower si è rivolto con i propri procuratori, ha da una parte confermato la destituzione e dall’altra comminato una sanzione (rimasta sospesa) dalla paga e dal servizio per dieci giorni. Entrambe le sanzioni sono state quindi impugnate dai procuratori del whistleblower davanti il Tribunale di Milano sezione Lavoro. L’organo giurisdizionale meneghino ha applicato, per la prima volta in Italia, una tutela cautelare in ragione della previgente normativa e pertanto la due delibere di destituzione (licenziamento) e sospensione di dieci giorni dalla paga e dal servizio, nonché l’ulteriore provvedimento cautelare di sospensione dal servizio e dalla paga, nonché tutti i provvedimenti aziendali presupposti e/o conseguenti sono stati sospesi con conseguente reintegra, dopo oltre quattro (4) anni del lavoratore in azienda. Concessione della tutela cautelare Ma quali sono i fatti che hanno condotto la sezione Lavoro del Tribunale di Milano a concedere per la prima volta una tutela cautelare, tenuto conto che la stessa tutela cautelare invocata dal whistleblower ora unitamente anche all’impugnazione delle sanzioni disciplinari inflitte (licenziamento/dieci (10) giorni di sospensione dalla paga e dal servizio) nel mese di luglio dell’anno in corso, 18 mesi prima era stata respinta sempre dal Tribunale di Milano, sezione Lavoro? Secondo il Tribunale di Milano, ora rispetto al passato, le circostanze di fatto sono “mutate” per quanto concerne il periculum in mora trovandosi il whistleblower a fare fronte non a due semplice contestazioni disciplinari (ancora da definirsi) riattivate dall’azienda in coincidenza con l’esito vittorioso della prima impugnazione del licenziamento comminato per delle minacce a propri superiori mai proferite, bensì ad un ulteriore destituzione dal servizio (licenziamento) unita alla sospensione dal servizio e dalla paga per dieci giorni. Per la sezione Lavoro del Tribunale di Milano è fatto obiettivo ed non opinabile che “ ... un lavoratore percipiente un reddito medio, coinvolto in una vicenda giudiziaria, della durata (sin qui) di cinque anni e mezzo, privato della retribuzione per un arco di tempo così protratto, si trovi in una condizione di dissesto economico e di disagio psico-fisico ...”. (corsivo ns, ndr). La circostanza, sempre secondo il Tribunale di Milano, che il whistleblower, grazie all’esito vittorioso relativo alla prima destituzione dal servizio (licenziamento) abbia ricevuto in un anno una somma pari a circa cinquantamila euro (50.000 euro) nulla toglie all’evidente difficoltà della situazione vissuta dal lavoratore che si palese astrattamente idonea a causare un pregiudizio giuridicamente rilevante e non solo di natura patrimoniale. E rispetto al fumus boni iuris? Il Tribunale di Milano sezione lavoro lo ha ritenuto sussistente in ragione della produzione documentale eseguita dalla difesa del lavoratore. Rispetto alla destituzione dal servizio (licenziamento) con la produzione in atti da parte della difesa del whistleblower di un nuovo documento (perizia) che sconfessava palesemente altra produzione posto dall’azienda a sostegno della contestazione disciplinare sfociata per l’appunto nella destituzione ad opera del consiglio di disciplina. Rispetto alla sospensione dalla paga e dal servizio (sanzione sospesa dall’azienda e che sarebbe stata riattivata in caso di reintegra da parte del lavoratore) sconfessando, la difesa del whistleblower, documentalmente l’assunto dell’azienda secondo cui questa avrebbe richiesto solo il 22 gennaio 2019 “... copia forense del supporto informatico contenuto nel fascicolo del PM relativamente al procedimento penale RGNR ...” producendo un verbale di riconsegna (dalla procura della repubblica all’azienda stessa, tra l’altro presso la sua sede) da cui risultava che l’Azienda era in possesso dal 2017 dell’hard disk. Questi i fatti e i motivi che hanno condotto il Tribunale di Milano, sezione lavoro, a concedere la tutela cautelare richiesta dalla difesa del whistleblower, forse sintomo di una nuova sensibilità, emersa, oltre che nella Legislazione, anche nella giurisprudenza. Copyright © - Riproduzione riservata