News
Archivio newsParità di trattamento: anche i padri possono beneficiare di un’integrazione della loro pensione di invalidità
Con la sentenza del 14 settembre 2023 nella causa C.113/22, la Corte di Giustizia UE ricorda anzitutto che, qualora una discriminazione, contraria al diritto dell'Unione, sia stata constatata e finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, i giudici nazionali e le autorità amministrative nazionali sono tenuti a disapplicare qualsiasi disposizione nazionale discriminatoria, senza attendere che quest’ultima sia eliminata dal legislatore. Pertanto, essi devono applicare agli appartenenti del gruppo sfavorito, nel caso di specie i padri, lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria, nel caso di specie le madri. L’affiliato di sesso maschile deve poter beneficiare anche di un adeguato risarcimento in denaro, idoneo a compensare integralmente i danni effettivamente subìti a seguito della discriminazione. Tale risarcimento deve prendere in considerazione le spese sostenute dall’affiliato, inclusi gli onorari e le spese di avvocato.
Nella Causa n. C-113/22 la Corte di Giustizia UE ha esaminato la direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale. La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra DX, padre di due figli, da un lato, e l’Instituto Nacional de la Seguridad Social (INSS) (Istituto nazionale della previdenza sociale, Spagna) e la Tesorería General de la Seguridad Social (TGSS) (Tesoreria generale della previdenza sociale, Spagna), dall’altro, in merito al rifiuto, da parte di tale istituto, di concedere a DX un’integrazione della pensione di cui beneficiavano, in forza della normativa nazionale, solo le donne che avessero avuto almeno due figli biologici o adottati. Il Caso In particolare, con sentenza del 12 dicembre 2019, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha considerato che l’integrazione della pensione concessa dalla Spagna unicamente alle madri beneficiarie di una pensione di invalidità, qualora avessero due o più figli (biologici o adottati), ad esclusione dei padri che si trovassero in una situazione analoga, poteva costituire una discriminazione diretta fondata sul sesso, contraria alla direttiva sulla parità di trattamento. Basandosi su tale sentenza, un padre di due figli ha chiesto alla previdenza sociale spagnola, nel novembre 2020, di riconoscere il suo diritto all’integrazione della prestazione per invalidità permanente assoluta che egli percepiva da novembre 2018. Poiché la sua domanda è stata respinta, egli ha agito in giudizio. Con una prima sentenza, è stato riconosciuto il suo diritto all’integrazione della pensione di cui trattasi, mentre la domanda di risarcimento che il padre aveva presentato in parallelo è stata respinta. Tanto il padre, quanto le autorità spagnole hanno impugnato tale sentenza dinanzi alla Corte superiore di giustizia della Galizia (Spagna). Tale giudice si chiede se una prassi consistente nel rifiutare in ogni caso di concedere agli uomini l’integrazione della pensione di cui trattasi, finché non intervenga l’adeguamento della normativa spagnola discriminatoria alla sentenza della Corte del 12 dicembre 2019, costringendo questi ultimi ad agire in giudizio per richiederla, debba essere considerata come una discriminazione distinta dalla discriminazione posta in evidenza in detta sentenza. Esso si chiede altresì se, qualora fosse accertata una violazione del diritto dell’Unione, sia possibile riconoscere al padre un indennizzo supplementare e in quale misura. Sentenza della Corte Con la sentenza del 14 settembre 2023, la Corte di Giustizia ricorda anzitutto che, qualora una discriminazione, contraria al diritto dell'Unione, sia stata constatata e finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, i giudici nazionali e le autorità amministrative nazionali sono tenuti a disapplicare qualsiasi disposizione nazionale discriminatoria, senza attendere che quest’ultima sia eliminata dal legislatore. Pertanto, essi devono applicare agli appartenenti del gruppo sfavorito, nel caso di specie i padri, lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria, nel caso di specie le madri. La Corte considera poi che la decisione di rifiuto, adottata in applicazione di una tale prassi amministrativa, può comportare, oltre alla discriminazione oggetto della sentenza 12 dicembre 2019, una ulteriore discriminazione nei confronti degli affiliati di sesso maschile, poiché solo gli uomini devono quindi far valere in giudizio il loro diritto all’integrazione della pensione di cui trattasi, circostanza che, in particolare, li espone ad un termine più lungo per ottenere tale integrazione, nonché, se del caso, a spese aggiuntive. Di conseguenza, il giudice nazionale adito di un ricorso proposto contro una tale decisione di rifiuto non può limitarsi a riconoscere all’affiliato di sesso maschile interessato il diritto all’integrazione della pensione di cui trattasi con effetto retroattivo. Infatti, una tale decisione non porrebbe rimedio ai danni derivanti da tale ulteriore discriminazione. L’affiliato di sesso maschile deve poter beneficiare anche di un adeguato risarcimento in denaro, idoneo a compensare integralmente i danni effettivamente subìti a seguito della discriminazione. Tale risarcimento deve prendere in considerazione le spese sostenute dall’affiliato, inclusi gli onorari e le spese di avvocato. Copyright © - Riproduzione riservata
Corte di Giustizia UE, Sentenza 14/09/2023, causa C-113/22