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Archivio newsIngresso in Italia di lavoratori altamente qualificati. A che punto siamo e cosa serve ancora fare
La direttiva europea n. 2021/1883, che l’Italia deve recepire entro il 18 novembre 2023, prevede l’ingresso e il soggiorno nei paesi dell’Unione europea di cittadini provenienti da paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati. Un flusso di lavoratori richiesto soprattutto dalle imprese italiane che soffrono da tempo di carenza di personale. Ma le nuove disposizioni saranno sufficienti a garantire il libero accesso e la permanenza di lavoratori qualificati? Potrebbero non esserlo se non vengono previsti anche servizi e strumenti capaci di attrarre e di trattenere il personale specializzato (come corsi di lingua o la possibilità di ottenere accesso incentivato ad asili o all’abitazione): il rischio (elevato) è di assistere alla partenza di tecnici e operai venuti in Italia verso altri territori più dinamici.
Alla fine dello scorso luglio è stato dato avvio ai lavori parlamentari necessari a recepire la direttiva europea n. 2021/1883 del 20 ottobre 2021 sull’ingresso e sul soggiorno nei paesi dell’Unione europea di cittadini provenienti da paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati. Il termine ultimo per conformarsi agli obblighi europei è fissato al 18 novembre 2023, di modo che non è difficile ipotizzare che entro la fine dell’anno un ulteriore tassello verrà ad aggiungersi alla disciplina sulla immigrazione dei lavoratori stranieri. Non si tratta, a dire il vero, di una novità assoluta, perché già la direttiva n. 2009/50/CE aveva introdotto per la prima volta una disciplina di favore per i lavoratori altamente qualificati, aggiornando i requisiti e le procedure finalizzate al rilascio del titolo di soggiorno unico per tutta l’Europa, denominato Carta blu, dando vita così a ipotesi nelle quali i lavoratori stranieri possono accedere al mercato del lavoro italiano, al di fuori delle quote annuali. Si viene così a creare un canale parallelo ed alternativo al periodico del “decreto flussi”, che spesso, o è mancato completamente, o è stato emanato con grave ritardo (anche se i due ultimi governi su questo aspetto sono apparsi più rispettosi delle norme, tanto che le quote da ultimo previste hanno durata non più annuale, ma triennale). Ai lavoratori stranieri provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione europea è concesso, dunque, esercitare in Italia un'attività di lavoro subordinato o anche autonomo in maniera non occasionale quando l'esercizio di tali attività non sia riservato dalla legge ai cittadini italiani. Le attività riservate sono, tipicamente, quelle per l’esercizio delle quali è necessario il possesso di un titolo accademico e il superamento di un esame di abilitazione. Tuttavia, i titoli conseguiti presso atenei di Paesi terzi possono essere oggetto di riconoscimento, specie quando essi riguardino tecnici specializzati e cioè, che abbiano frequentato un corso di durata almeno biennale di istruzione superiore, sia presso università, sia nell’ambito del sistema degli istituti tecnologici superiori (ITS Academy, recentemente normato dalla legge n. 99 del 2022). Le ipotesi di ingresso in Italia si riferiscono sia al lavoro subordinato, nel rispetto di ogni altra previsione di legge, sia anche all’esercizio di attività in proprio. Con riguardo a quest’ultima ipotesi, infatti, non ci si deve dimenticare che lo straniero che intenda esercitare in Italia una attività industriale, professionale, artigianale o commerciale, ovvero costituire società di capitale o di persone (o anche solo accedere a cariche societarie) può avere libero accesso al mercato del lavoro italiano, purché dimostri di disporre di risorse adeguate per l'esercizio dell'attività che intende intraprendere in Italia e di essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana per l'esercizio della singola attività. Infine, si deve anche dimostrare di disporre di idonea sistemazione alloggiativa e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria. Quando queste condizioni siano state verificate, i lavoratori autonomi possono avere accesso al territorio italiano facendo così fronte alla carenza di personale che sempre più spesso viene lamentata dalle imprese italiane. Anche i subordinati sono interessati alle norme ora in esame, quando siano anch’essi altamente qualificati. Si tratta spesso di lavoratori già connessi al mercato del lavoro perché, ad es., impiegati presso consociate estere di imprese italiane o in appalti gestiti per conto di queste ultime al fuori dei confini nazionali. Si danno poi i casi di ricercatori scientifici o docenti universitari destinati a partecipare a progetti condotti in Italia o a svolgere un incarico accademico; di personale artistico e tecnico per spettacoli di vario tipo; o anche di soggetti che soggiornano per motivi di formazione professionale o che (provenendo da paesi terzi) vengano ad essere temporaneamente collocati presso la filiale italiana nell’ambito di una operazione di distacco transnazionale, così da poter tornare ai paesi di provenienza dopo aver appreso il modus operandi della casa-madre. In ogni caso è sicuro che questi lavoratori non vengono a “cercare fortuna” in Italia, come un tempo si era soliti dire, perché l’ingresso e l’esercizio dell’attività lavorativa specializzata è comunque condizionata al rilascio del nulla osta al lavoro da parte dello sportello unico per l’immigrazione e alla stipula del contratto di soggiorno per lavoro. Grazie alla direttiva che si appresta ad essere trasposta, al lavoratore straniero così autorizzato allo svolgimento dell’attività lavorativa (e alla sua famiglia) verrà rilasciato dal questore competente uno speciale permesso di soggiorno denominato “Carta blu UE” che consentirà poi allo stesso di muoversi liberamente all’interno di tutti i paesi dell’Unione. Proprio tenendo a mente questa libertà di movimento, che viene riconosciuta a tutti gli stranieri che vengono in Italia per lavorare, non ci si deve nascondere che, nel recepire la direttiva, sarebbe bene che, oltre a conformare la disciplina interna oggi vigente alle previsioni dell’Unione europea, ci si preoccupasse di mettere in campo servizi e strumenti capaci di attrarre e di trattenere il personale specializzato (come corsi di lingua o la possibilità di ottenere accesso incentivato ad asili o all’abitazione), poiché, in assenza d questi, grande è il rischio di assistere poi alla partenza di tecnici e operai venuti in Italia e poi trasferitisi in altri territori più dinamici. Può essere, per chi si trovi ad essere disoccupato, una ricetta dura da digerire, ma è certo che le imprese italiane soffrono da tempo di carenza di personale e non si vede perché l’Italia debba respingere tanti lavoratori interessati a costruire il loro futuro nel nostro Paese. 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