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Archivio newsLavoro all’estero: retribuzioni convenzionali applicabili anche in caso di trasferte italiane
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 428 del 2023, ha fornito chiarimenti in merito alla possibilità di coordinare lo speciale regime di tassazione previsto per il reddito di lavoro dipendente prodotto all’estero con il contestuale svolgimento di attività lavorativa anche in Italia. In particolare, con riferimento al disposto di cui all’art. 51, comma 8-bis del TUIR, l’Amministrazione finanziaria ha precisato come lo speciale regime previsto è applicabile anche laddove il lavoratore distaccato all’estero svolga alcuni giorni di trasferta in Italia, nell’interesse esclusivo della società distaccataria estera.
L’Amministrazione finanziaria, con la risposta ad interpello n. 428/2023, è tornata a pronunciarsi sull’ambito di applicazione dell’art. 51, comma 8-bis del TUIR, rendendo importanti ed innovativi chiarimenti in ordine alla possibilità di coordinare lo speciale regime di tassazione ivi previsto per il reddito di lavoro dipendente prodotto all’estero con il contestuale svolgimento di attività lavorativa anche in Italia. Normativa di riferimento L’art. 51, comma 8-bis del TUIR, dispone che: “in deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398”. La norma è stata oggetto di più interventi della prassi amministrativa i quali, ad esempio, hanno chiarito che: - ai fini del conteggio dei giorni di permanenza del dipendente all’estero rilevano il periodo di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi; - il sostituto d’imposta può applicare la tassazione su base convenzionale a partire dalla prima retribuzione erogata in tutte le ipotesi in cui il contratto sottoscritto con il lavoratore preveda la sua permanenza all’estero per un periodo superiore a 183 giorni. Ove vengano meno le condizioni di cui al comma 8-bis citato le rettifiche possono essere operate in sede di conguaglio; - nell’ipotesi in cui il contratto di lavoro preveda che il rapporto di lavoro sia svolto a tempo parziale, la retribuzione convenzionale può essere ridotta proporzionalmente alla riduzione dell’orario di lavoro. Per quel che interessa le presenti note, occorre, poi, soffermarsi su due condizioni contenute nel citato comma 8-bis: ci si riferisce alla circostanza che l’attività lavorativa debba essere svolta esclusivamente all’estero e che il lavoratore debba soggiornare nello Stato straniero per più di 183 giorni in un periodo di 12 mesi. In particolare, alla luce del primo dei menzionati requisiti non sarebbe astrattamente possibile svolgere alcuna attività lavorativa in Italia. Recente prassi amministrativa Il caso sottoposto all’Agenzia delle Entrate riguardava un lavoratore italiano distaccato in Germania, presso la consociata estera del proprio datore di lavoro, pur mantenendo la propria residenza fiscale in Italia. Alla luce della natura manageriale dei compiti affidati al dipendente, che era peraltro responsabile dell'intera attività della consociata a livello globale, il medesimo veniva chiamato a svolgere l'attività lavorativa in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto in Germania, presso la distaccataria, per tutta la durata del distacco. Sennonché, nell’ambito di tale distacco e nell’interesse esclusivo della distaccataria, il dipendente era chiamato ad effettuare trasferte in vari Paesi esteri diversi dalla Germania, tra cui l’Italia. In siffatto contesto, l’Amministrazione finanziaria veniva chiamata a chiarire se i predetti giorni di lavoro svolti in Italia, in regime di trasferta e nell’interesse della società distaccataria tedesca, fossero da ritenersi ostativi rispetto alla tassazione del reddito di lavoro dipendente prodotto all’estero sulla base delle cc.dd. retribuzioni convenzionali, in applicazione dell’art. 51, comma 8-bis. Come sopra accennato, in base ad una lettura rigorosa dei presupposti applicativi dell’art. 51, comma 8-bis in commento, quindi, i giorni di lavoro svolti in Italia, in regime di trasferta, sarebbero potuti risultare in aperto contrasto con i prescritti requisiti di continuità ed esclusività dell’attività lavorativa all’estero. Orbene, con la risposta in commento l’Agenzia delle Entrate ha precisato che “tale circostanza non sembra far venir meno il carattere di esclusività e di continuità del rapporto di lavoro presso una Consociata estera. Conseguentemente, fermo restando la prestazione dell'attività lavorativa all'estero per un periodo superiore a 183 giorni l'anno e nel presupposto che, come dichiarato dall'Istante, siano rispettate tutte le altre condizioni previste dalla disposizione in commento, si ritiene che, nel caso di specie, il reddito possa essere determinato ai sensi dell'articolo 51, comma 8¬bis, del Tuir”. Considerazioni conclusive Ciò che, nel caso sottoposto all’attenzione dell’Amministrazione, sembra “salvare” l’applicabilità dell’art. 51, comma 8-bis è il fatto che l’attività svolta in Italia, in regime di trasferta, risponda all’interesse esclusivo della società distaccataria estera, senza alcuna cointeressenza del datore di lavoro italiano, e, peraltro, senza che la stessa sia insita nel ruolo ricoperto dal dipendente presso la distaccataria. Il principio, d’altra parte, si trova espresso, ancorchè in senso contrario, anche nell’ambito dei chiarimenti forniti sul regime impatriati allorquando, con la circolare n. 17/2017, è stato specificato che i giorni di trasferta di durata inferiore ai 183 giorni non sono ostativi all’applicazione del regime. Con maggior dettaglio, l’Agenzia ha ritenuto che “l’attività di trasferta, in quanto resa nell’interesse e a benefico esclusivo del datore di lavoro non possa essere scissa da quella prestata nel territorio dello Stato”. Ci si chiede se medesime conclusioni possano essere raggiunte allorquando la prestazione in Italia non sia resa nell’ambito di una trasferta in senso stretto, ma, ad esempio, sulla base di un accordo di smart o remote working. La precedente prassi amministrativa non sembra lasciare aperture in tal senso, ma l’interpello oggetto delle presenti note potrebbe aprire una nuova strada interpretativa. Copyright © - Riproduzione riservata