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Mancato rispetto dell’orario di lavoro: quali sanzioni si applicano al datore di lavoro

Il mancato rispetto della disciplina dell’orario di lavoro, da parte del datore di lavoro, può portare all’irrogazione di sanzioni. Ad esempio, nel caso di inosservanze delle disposizioni sulla durata media dell’orario di lavoro, viene prevista, nella generalità dei casi, la comminazione di una sanzione amministrativa da 249 a 1.800 euro. Diverso è, invece, il caso delle ferie non godute poiché il mancato rispetto della normativa determina, oltre alla comminazione di una sanzione amministrativa, anche il pagamento anticipato della contribuzione. Quali possono essere invece le problematiche civilistiche che si riverberano direttamente nel rapporto di lavoro con i singoli collaboratori?

Calcoli, medie aritmetiche, limiti per differenza algebrica e molte possibilità. Questa la disciplina dell’orario di lavoro. E pensare che oramai oltre 25 anni fa, la disciplina dell’orario lavorativo era più banale e meno estensibile (a vantaggio, paradossalmente, della certezza del diritto). Quaranta ore settimanali (tuonava l’art. 13 della fu L. n. 196/1997) oltre a 12 ore di straordinario settimanali di cui al vecchio articolo 5 del R.D.L. n. 692 del 1923. Si è dunque passati da un sistema rigido ad un recepimento di direttive UE, implementate dal nostro legislatore in modo “flessibile” consentendo l’ingresso dell’algebra nella disciplina dell’orario di lavoro. Il D.Lgs n. 66/2003, infatti, introduce la necessità di far fronte a medie (pensiamo al calcolo delle 48 ore massime settimanali nella media di almeno 4 mesi - art. 4), sottrazioni (in 24 ore di attività è necessario avere almeno 11 ore di riposo giornaliero oltre a pause e tempo impiegato per recarsi a lavoro e viceversa - art. 7) e estensioni varie, quali la modifica ad opera del D.L n. 112 del 2008 (convertito in L. n. 147 del 2008), del riposo settimanale riscontrabile “nella media di 14 giornate” (art. 9). In ogni caso il mancato rispetto della disciplina in parola non può portare solo a conseguenze di natura amministrativa (peraltro fortemente ridotte nel 2008) ma produce altresì effetti che si riverberano direttamente nel rapporto di lavoro con i singoli collaboratori, forieri di problematiche civilistiche da esaminare. Entriamo nel merito. Il contesto normativo La disciplina dell’orario di lavoro, come anticipato in apertura, è delegata nell’ordinamento italiano al D.Lgs. n. 66 del 2003, adottato su impulso di matrice comunitaria all’inizio degli anni Duemila (direttive 93/104/CE e 2000/34/CE). Parimenti risulta rilevante, ai fini della materia, il ruolo centrale assunto della contrattazione collettiva sul tema. Infatti, se il D.Lgs. n. 66 del 2003 ne fornisce il contesto normativo, regolamentando in maniera uniforme la generalità dei rapporti di lavoro subordinati, è lo stesso testo di legge a delegare di frequenta una disciplina più di dettaglio alla contrattazione collettiva. Non di rado, si pensi per esempio alla materia del lavoro straordinario (art. 5 D.Lgs. n. 66 del 2003) o alla disciplina delle “pause” (art. 8 D.Lgs. n. 66 del 2003), alla contrattazione collettiva viene demandata non la determinazione di limiti differenti (orario di lavoro) quanto più la definizione delle “modalità” specifiche di esecuzione delle prestazioni oltre l’orario di lavoro, nel primo caso, e di fruizione e durata delle pause, nel secondo caso. Posta la centralità della materia, poiché finalizzata all’introduzione di precisi limiti di durata della prestazione e dal riconoscimento di periodi di riposo affinché il lavoratore possa recuperare e salvaguardare le proprie energie psico-fisiche, appare utile interrogarsi circa le eventuali conseguenze e sanzioni che possono emergere laddove non vengano rispettate le norme in materia di orario di lavoro (termine che, si ribadisce, è da intendersi nell’ampia accezione di cui al decreto legislativo n. 66 del 2003). In generale, le conseguenze relative agli inadempimenti datoriali inerenti tale materia, possono così essere sintetizzate: - comminazioni di sanzioni di tipo amministrativo; - risvolti di tipo civilistico sul rapporto di lavoro. Per quanto attiene all’insorgenza di sanzioni amministrative, l’inosservanza delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 66 del 2003, può determinare conseguenze riparametrate sulla base: - del numero dei lavoratori coinvolti nell’infrazione (tendenzialmente, se superiore a cinque, la sanzione è da ritenersi incrementata); - il numero di “periodi di riferimento” nel quale si manifesta l’infrazione. Per maggiore chiarezza, si riportano di seguito alcuni esempi. Nel caso di inosservanze delle disposizioni sulla durata media dell’orario di lavoro, viene prevista, nella generalità dei casi, la comminazione di una sanzione amministrativa da 249 a 1.800 euro. Tale somma è da ritenersi maggiorata da 960 a 3.600 euro se l’infrazione si riferisce a più di cinque lavoratori oppure se si verifica in almeno tre periodi di riferimento (quattro, sei o dodici mesi). La sanzione comminata verrà poi ulteriormente aumentata, e dunque compresa tra 2.400 e 12.000 euro, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori o se si è verificata in almeno cinque periodi di riferimento. In materia di lavoro straordinario, invece, la sanzione amministrativa potrà essere comminata laddove il datore di lavoro non rispetti le condizioni di ammissibilità del lavoro straordinario (ad esempio, limite di durata superiore a 250 ore annue) oppure laddove non adempia all’obbligo di compensare il lavoro straordinario con le maggiorazioni retributive e/o con i riposi. In entrambi i casi la sanzione amministrativa ammonterà tra i 25 euro e i 154 euro. Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori o si è verificata nel corso dell’anno solare per più di cinquanta giornate lavorative, la sanzione verrà innalzata da 154 euro a 1.032 euro. Si sottolinea altresì come il mancato rispetto del limite quantitativo fissato in 250 ore di lavoro straordinario, rischi di comportare, a cascata, il mancato rispetto dell’orario massimo di lavoro settimanale fissato in 48 ore. Infatti, se l’art. 3 del D.Lgs. n. 66 del 2003, individua la normale durata dell’orario in 40 ore settimanali, l’art. 4 dispone che “la durata media dell’orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario”. Diverso è invece il caso delle ferie non godute poiché il mancato rispetto delle previsioni di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 66 del 2003 determina, oltre alla comminazione di una sanzione amministrativa (parametrata sulla base dei criteri sopra enunciati), anche il pagamento anticipato della contribuzione (del datore di lavoro e del collaboratore) calcolata sul monte ferie “scaduto”. In proposito, infatti, l’art. 10 dispone che il periodo di quattro settimane di ferie maturate dal lavoratore debba essere goduto “per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione”. Sul punto, sebbene l’obbligo contributivo anticipato non sia tutelato da un testo di legge, sono intervenute le circolari INPS n. 134 del 1998 e n. 186 del 1999 che fissano al 30 giugno di ciascun anno il limite massimo entro il quale le ferie maturate nei 18 mesi precedenti dovranno essere necessariamente fruite, pena il pagamento della contribuzione anticipata. I riflessi civilistici sul rapporto di lavoro Vale la pena interrogarsi, a questo punto, in merito a quali possano essere le ulteriori implicazioni che le tematiche sopra esposte, con particolare riferimento all’aspetto del lavoro straordinario e delle ferie non godute, possano avere sul rapporto di lavoro. In primis, è opportuno sottolineare come entrambi gli argomenti possano essere ricondotte al più ampio quadro di salvaguardia e tutela delle energie psico-fisiche del lavoratore, aspetto centrale che, soprattutto negli ultimi anni, sta diventando sempre più rilevante agli occhi del legislatore, complice anche una maggiore consapevolezza dell’esigenza di meglio tutelare la conciliazione di vita e lavoro dei propri dipendenti e una progressiva adozione di sistemi sempre meno focalizzati sulla quantità di ore e sempre più “per obiettivi”. Nello specifico, dobbiamo osservare come: 1) per quanto all’istituto dello straordinario, appare evidente come il ricorso frequente al lavoro non ordinistico (e dunque, tutt’altro che “contenuto” e non riconducibile alle motivazioni di cui al comma 4, lett. a), b), e c)) rischi altresì di configurarsi, laddove costituisca modalità normale di svolgimento della prestazione dell’attività lavorativa, come emolumento non saltuario e, di conseguenza, potenzialmente riconducibile nella definizione dei valori ammessi a concorrere alla formazione del Trattamento di Fine Rapporto (ad esempio). Infatti, l’art. 2120 del Codice Civile dispone che “salvo diversa previsione dei contratti collettivi” il T.F.R. “comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”. Tale circostanza è stata bene compresa dal contratto nazionale del metalmeccanico sin dal 1994 che, nel suo interno, ha incorporato degli “anticorpi” all’attrazione dello straordinario sul TFR. Ma non tutti i contratti nazionali si sono spesi in tal senso. 2) E che dire delle ferie? Tralasciando l’annoso tema contributivo / amministrativo basti pensare come la valutazione stress da lavoro correlato di cui al documento di valutazione dei rischi ex D.Lgs. n. 81/2008 consideri i contatori elevati di ferie non godute come “campanelli di allarme” tendenti alla “stressogenia” aziendale. Il tutto senza considerare le innumerevoli tematiche riferibili a comportamenti aziendali non ossequiosi di quel diritto alla salute che rappresenta il fondamento della fruizione delle ferie (ecco perché sono indisponibili). Il tutto senza considerare un dettaglio. Il mondo del lavoro si sta spaccando in due macro sistemi. Un primo, caratterizzato dalla necessità di dare rilevanza ancora al tempo, alle ore, ai minuti di lavoro (pensiamo al metalmeccanico, al manifatturiero, ai servizi ristorativi, alla persona, etc). Un secondo, quello cavalcato dalla spinta digitale e tecnologica, che sta puntando verso l’irrilevanza del tempo e dello spazio (evolvendo per certi verso quello che il vero smart working dovrebbe essere) della prestazione di lavoro, sempre meno locatio operarum e sempre (in parte) più locatio operis. Si salveranno solo le ferie nell’orario di lavoro? vedremo… Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/09/26/mancato-orario-lavoro-sanzioni-applicano-datore-lavoro

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