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Archivio newsVaccinazioni Covid: obbligo non irragionevole e non sproporzionato
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 185/2023 del 5 ottobre 2023, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito alla normativa che ha imposto l’obbligo vaccinale (anti SARS-CoV-2), pena la sospensione dall’albo, indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie diversi dagli operatori sanitari, ed in particolare agli iscritti nell’albo dei Chimici e dei Fisici, senza alcuna verifica rispetto alle concrete tipologie di svolgimento della professione. Il legislatore ha infatti effettuato una scelta di carattere generale basata su categorie predeterminate, individuate progressivamente sulla base dell’evoluzione della pandemia a cui si è, poi, affiancato un criterio integrativo legato non alla natura dell’attività professionale, ma al luogo di svolgimento dell’attività lavorativa. La non fondatezza delle questioni va ricercata nella genetica transitorietà della disciplina nonché nella previsione di elementi di flessibilizzazione e monitoraggi che consentivano l’adeguamento delle misure all’evoluzione della situazione di fatto che tali misure erano destinate a fronteggiare.
Il Tribunale di Genova ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera) del d.l. n.172 del 2021, come convertito, «nella parte in cui impone l’obbligo vaccinale (anti SARS-CoV-2), pena la sospensione dall’albo, indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie diversi dagli operatori sanitari, ed in particolare agli iscritti nell’albo dei Chimici e dei Fisici, o comunque lo impone senza alcuna verifica rispetto alle concrete tipologie di svolgimento della professione». Il giudice rimettente sostiene la violazione dell’art. 3 della Costituzione, per contrasto con il principio di ragionevolezza e il principio di uguaglianza, in quanto, rispetto alla finalità della disciplina, ossia tutela della salute pubblica e mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, si imporrebbe un obbligo vaccinale indiscriminato, basato sulla sola nomenclatura «professioni sanitarie», che includerebbe anche coloro che non svolgono relazioni di cura con i pazienti e che sarebbero, invece, assimilabili ad altre categorie esenti dall’obbligo. Viene lamentata inoltre la violazione degli artt. 2 e 4 della Costituzione, «in quanto tali soggetti vengono limitati nel proprio diritto al lavoro (e dello sviluppo della propria personalità): non solo per l’aspetto di diritto personale a poter contribuire con la propria attività professionale allo sviluppo della società, ma anche per gli aspetti più concreti ed economici, essendo queste persone, nel caso che per qualsiasi ragione non intendano vaccinarsi, private della possibilità di trarre reddito e mantenere sé stessi e la propria famiglia con la propria attività professionale». Sentenza della Corte Con la sentenza n. 185/2023 del 5 ottobre 2023, la Corte Costituzionale evidenzia innanzi tutto che le questioni sottoposte ad esame devono necessariamente essere analizzate tenendo conto della peculiarità delle condizioni epidemiologiche esistenti al momento dell’introduzione dell’obbligo vaccinale e, in particolare, della gravità e dell’imprevedibilità del decorso della pandemia (sentenza n. 14 del 2023). In tale contesto, nella gestione dell’emergenza sanitaria, il legislatore, a seguito della scoperta di un vaccino ritenuto, alla luce delle conoscenze medico-scientifiche allora disponibili, idoneo a ridurre la diffusione della circolazione del virus, ha operato una chiara scelta in favore di una diffusa vaccinazione. Con riguardo alla perimetrazione dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, il legislatore ha quindi effettuato una scelta di carattere generale basata su categorie predeterminate, individuate progressivamente sulla base dell’evoluzione della pandemia. La prima categoria è stata quella degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario, sulla base di un criterio inerente, con tutta evidenza, alla natura dell’attività professionale svolta.A tale primo criterio di portata generale si è, poi, affiancato, tra gli altri, un criterio integrativo legato non alla natura dell’attività professionale, ma al luogo di svolgimento dell’attività lavorativa. L’obbligo è stato così esteso a coloro che svolgevano le loro attività, in luoghi deputati alla cura e alla diagnosi: strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie e strutture sanitarie e sociosanitarie. Secondo la Corte l’imposizione dell’obbligo vaccinale per categorie predeterminate di soggetti rappresenta una scelta non irragionevolmente mossa dall’esigenza di garantire linearità e automaticità all’individuazione dei destinatari, così da consentire un’agevole e rapida attuazione dell’obbligo e da prevenire il sorgere di dubbi e contrasti in sede applicativa. Non è secondario, poi, che l’individuazione direttamente per legge dei destinatari dell’obbligo vaccinale sia coerente con l’esigenza di determinare con certezza i soggetti la cui libertà di autodeterminazione venga compressa nell’interesse della comunità. Alle considerazioni sulla non irragionevolezza della scelta dell’imposizione dell’obbligo vaccinale per categorie va aggiunto che essa risulta non sproporzionata. Ciò che questa Corte ha già avuto modo di affermare quando ha sottolineato la portata della conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, rappresentata dalla sospensione del rapporto lavorativo, peraltro priva di conseguenze di tipo disciplinare, e la natura transitoria dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, correlata alla sua rigorosa modulazione in stretta connessione con l’andamento della situazione pandemica in corso. In coerenza con la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 14 del 2023 e n. 5 del 2018), depongono nel senso della non fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale la genetica transitorietà della disciplina nonché la previsione di elementi di flessibilizzazione e monitoraggi che consentivano l’adeguamento delle misure all’evoluzione della situazione di fatto che tali misure erano destinate a fronteggiare. Alla luce di tutte le considerazioni la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione. Copyright © - Riproduzione riservata
Corte Costituzionale, sentenza 05/10/2023, n. 185/2023