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Archivio newsNuove misure per lavoro e previdenza dal 2024. Ma lontane da operazioni “di sistema”
Sono parecchie le norme destinate ad incidere sui rapporti di lavoro, privato e pubblico, e soprattutto sulla legislazione previdenziale contenute nella legge di Bilancio 2024. Si tratta, per lo più, di misure che vanno nella direzione di incoraggiare la produttività del lavoro - e qui ci si sarebbe aspettato forse qualche ulteriore incentivo - e di tutelare le lavoratrici - con disposizioni non sempre di generale applicazione ed alcune anche limitate nel tempo. Per quanto riguarda la disciplina previdenziale, si assiste all’ennesima serie di aggiustamenti e modifiche che ricalibrano le tante soluzioni che consentono un’uscita anticipata dal lavoro rispetto al pensionamento di vecchiaia. Insomma, sembra che anche per il 2024 il legislatore si sia tenuto lontano da operazioni “di sistema”, limitandosi a prevedere misure di incentivo, che richiedono una risposta da parte delle imprese: solo il tempo però potrà dire se si tratterà di interventi destinati a incontrare il successo (o, comunque, una certa diffusione) o se, viceversa, il loro effetto pratico sarà al contrario limitato.
Con la legge di Bilancio 2024 (legge 30 dicembre 2023, n. 213) il Parlamento ha provveduto non solo all’assegnazione ai singoli ministeri dei fondi disponibili nell’ambito del bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024, ma ha altresì dettato nel lungo articolo 1 (che si compone di oltre 560 commi) alcune norme destinate ad incidere sui rapporti di lavoro, privato e pubblico, e soprattutto sulla legislazione previdenziale. Nel primo senso, si conferma il taglio del cuneo contributivo per la quota a carico dei lavoratori dipendenti, con una quota di esonero che oscilla fra il 6% (per le retribuzioni mensili imponibili fino a 2.692 euro) e il 7% (per quelle di importo inferiore e fino a 1.923 euro). Nello stesso senso viene confermata ancora una volta la detassazione di elementi retributivi aggiuntivi con funzione di fringe benefits (con un importo fino a 2.000 euro per i lavoratori con figli a carico e fino a 1.000 per la generalità dei lavoratori dipendenti, innalzando in questo modo una soglia che risaliva a molti anni addietro, quando ancora la moneta corrente era rappresentata dalle lire). Parimenti viene confermato anche il regime agevolato per gli elementi retributivi aggiuntivi rispetto alla retribuzione ordinaria, con una imposizione al 5% (e con un limite di reddito agevolato pari a 3.000 euro lordi), ma solo per i lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano percepito nell’anno redditi di importo non superiore a euro 80.000. Si tratta di misure che, seppure negli stretti margini consentiti dall’esigenza di pareggio del bilancio dello Stato (e non senza qualche ambiguità), vanno nella direzione di incoraggiare la produttività del lavoro, che in Italia resta molto bassa a fronte di una permanente rilevante porzione di lavoro manifatturiero. In questo senso, ci si sarebbe aspettato forse qualche ulteriore incentivo o l’eliminazione (o l’innalzamento) dei limiti reddituali, a fronte non solo del risorgere dell’inflazione, ma anche del maggiore dinamismo che si è recentemente registrato nei rapporti collettivi, sia fra i metalmeccanici, sia nel settore del credito, dove l’aumento davvero senza precedenti della retribuzione base (che si è raggiunto per iniziativa della ormai più importante banca italiana) potrebbe innescare una corsa al rialzo, quale non si conosceva oramai da quasi trent’anni, capace di mettere in crisi quelle realtà che hanno margini di profitto meno estesi e che si gioverebbero non poco di misure generalizzate di decontribuzione o detassazione. Si deve comunque registrare lo stanziamento di tre miliardi di euro per l’anno 2024 e di cinque per l’anno successivo, per il rinnovo contrattuale dei lavoratori del settore pubblico che ancora rimangono in attesa del contratto per il triennio 2022-2024 (sebbene il sindacato lamenti l’insufficienza di questi importi, che non sarebbero allineati all’effettiva incidenza della perdita di potere di acquisto conseguente all’inflazione). Si registrano poi due misure dirette a favorire la riscossione dei contributi previdenziali: in primo luogo si prevede una più stretta collaborazione fra l’Agenzia delle Entrate e l’INPS, mediante l’accesso delle rispettive banche dati, per contrastare il fenomeno dell’evasione contributiva in relazione al lavoro domestico di colf e badanti. In secondo luogo, a decorrere da luglio 2024, si interviene sulla compensazione dei crediti di INPS e INAIL mediante un (futuro) decreto della Direzione dell’Agenzia delle Entrate, cui spetterà definire le modalità tecniche per l’attivazione di questa misura. Un capitolo importante, come ogni anno, spetta poi alla disciplina previdenziale, con l’ennesima serie di aggiustamenti e modifiche che ricalibrano le tante soluzioni che consentono un’uscita anticipata, rispetto al pensionamento di vecchiaia. Sembra così consolidarsi una prassi che era stata, invece, abbandonata subito dopo la riforma “Dini” del 1995, quando, dopo aver definito criteri generali per tutti, si lasciò sostanzialmente immutata la legislazione per un decennio, anche al fine di evitare un permanente conflitto politico, generato dalle tante richieste di speciali regimi di favore. Non mancano, però, innovazioni di portata generale. In questo senso, con la legge di Bilancio del 2024 si addolciscono (specie per i redditi più bassi) i requisiti per l’accesso alla pensione, di modo che con un’anzianità contributiva minima pari almeno a 20 anni la pensione potrà essere conseguita comunque prima del raggiungimento dell’età della vecchiaia, quando l’importo dell’assegno lordo mensile sia almeno pari all’importo dell’assegno sociale. Si tratta di una modifica di sicuro rilievo, non foss’altro perché il requisito era stato già previsto nel 1995 (seppure in riferimento ad un’età di pensionamento di 65 anni) e poi incrementato dalla legge di riforma del 2011 (cosicché nel 2023 si richiedeva che la pensione fosse pari almeno ad una volta e mezzo l’assegno sociale, perché questa potesse essere liquidata prima dei 71 anni). Per il resto, si rimodula (in maniera davvero molto articolata) l’accesso anticipato per le pensioni di più elevato importo, dettando una disciplina più favorevole per le donne con due o più figli (mentre nulla viene previsto a riguardo per gli uomini, con misura che potrebbe però non passare un vaglio di costituzionalità, ove un giudice ne richiedesse verifica in tal senso). Altri minori aggiustamenti sono previsti per il regime opzione donna, per l’APE sociale e per quota 103, nell’ambito di una generalizzata proroga della normativa delle misure già confermate con la legge di Bilancio 2023. Si prevede poi una nuova speciale ipotesi, limitata in via sperimentale al biennio 2024-2025, di riscatto previdenziale secondo il metodo contributivo, al fine di coprire (fino ad un massimo di cinque anni) periodi (anche non consecutivi) non coperti da contribuzione, ricadenti tra il momento del versamento del primo impiego e quello dell’ultimo accredito. Si tratta, come si comprende dalle ulteriori previsioni, di una misura alternativa ai fondi di solidarietà che si sono sperimentati nell’ultimo decennio, perché qui l’onere economico che consente un più rapido pensionamento (e cioè un “incentivo all’esodo”) per i lavoratori del settore privato, potrà essere sostenuto dal datore di lavoro, con deduzione dal reddito di impresa (o, nel caso di professionista, dal reddito da lavoro autonomo). Parimenti si prevede una proroga per i liberi professionisti che, talora anche per ragioni di reddito, sono iscritti alla “quarta” gestione speciale dell’INPS (insieme ai “collaboratori”, seppur con un’aliquota ridotta al 24%) e che provvedono al versamento dei contributi in autoliquidazione: infatti, si stabilizza l’indennità straordinaria “di continuità reddituale e operativa” (in acronimo, ISCRO), chiamata in sostanza a svolgere la medesima funzione della NASpI e della DIS-COLL, in caso di calo del fatturato. Modeste sono state, infine, rispetto al disegno originario, le modifiche che si sono registrate nel settore pubblico, per alcune categorie di lavoratori (dipendenti enti locali, o dal sistema sanitario, o per gli insegnanti di asili e scuole elementari parificate e per gli ufficiali giudiziari). Infatti, è rimasta invariata quella parte della legge che reca modifica della tabella che indicava i rendimenti annuali delle quote versate prima della riforma del 1995; qui, a seguito delle proteste che soprattutto i medici avevano manifestato, semplicemente si è limitata la riforma solo a quanti abbiano accesso anticipato alla pensione, di modo che le norme non si applicano alle ipotesi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o per il raggiungimento dell’anzianità massima di servizio (e misure speciali sono state previste per trattenere in servizio medici e infermieri sino al 70° anno di età). Non si registra ancora una reazione a riguardo, né da parte dell’INPS (quanto al numero di domande già presentate), né da parte delle associazioni sindacali interessate; ma è sicuro che molti sono stati i pensionamenti “dell’ultim’ora” indotti dalla paura di una riduzione importante all’assegno mensile, per quanti erano incerti se rimanere in servizio ancora per qualche anno. Le maggiori novità che si registrano riguardano così alcune misure dirette a tutelare le lavoratrici: si tratta di disposizioni solo apparentemente di generale applicazione, poiché in alcuni casi la platea delle beneficiarie è assai limitata dalla presenza di speciali condizioni, necessarie ai fini della maturazione del diritto. Viene così aumentata (al 60% della retribuzione media) l’indennità (prima pari al 30%) corrisposta per il secondo mese di congedo parentale e fino al sesto anno di vita del bambino (con una misura percentuale ancora maggiore, ma solo per il 2024). Si riconosce poi un’importante decontribuzione per lavoratrici con figli. Si tratta, tuttavia, di una misura sperimentale (solo per il periodo 2024-2026), limitata alle donne lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato con tre o più figli. In questo caso la quota dei contributi INPS a carico della lavoratrice è azzerata fino al compimento del 18° anno di età del figlio minore (ma entro un limite annuo di 3.000 euro). Per il solo 2024, poi, lo stesso beneficio è esteso anche alle lavoratrici madri di due figli (e fino al compimento del 10° anno di età del figlio minore). Altro beneficio è poi previsto per le imprese che assumono donne disoccupate, vittime di violenza e a cui sia stato riconosciuto il reddito “di libertà”, al fine di allontanarle dal coniuge, mentre sono comunque incrementati i fondi per le pari opportunità e il contrasto alla violenza contro le donne. Insomma, sembra che anche per il 2024 il legislatore si sia tenuto lontano da operazioni “di sistema”, limitandosi soprattutto a prevedere misure di incentivo, che quindi richiedono una risposta da parte dei singoli o delle imprese: solo il tempo però potrà dire se si tratterà di interventi destinati a incontrare il successo (o, comunque, una certa diffusione) o se, viceversa, il loro effetto pratico sarà al contrario limitato. Copyright © - Riproduzione riservata