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Archivio newsRegime lavoratori impatriati: nuove regole con qualche restrizione in più rispetto al passato
Cambiano le regole, con qualche restrizione, per l’accesso al regime dei lavoratori impatriati dal 1° gennaio. Il D.Lgs. n. 209 del 2023, per l’attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, prevede, in primo luogo, una riduzione della detassazione dal 70% al 50% circoscritta ai soli redditi da lavoro dipendente e assimilati, nonché da lavoro autonomo, con un tetto annuo di 600.000 euro. La revisione operata dal Governo incide anche sulle condizioni di accesso al trattamento agevolativo: sarà richiesta, infatti, la condizione dell’elevata qualificazione o specializzazione del lavoratore e un periodo di residenza all’estero di almeno 3 anni. Inoltre, il lavoratore dovrà impegnarsi a risiedere in Italia per almeno 4 anni, pena la decadenza dall’agevolazione. Quali sono gli effetti delle nuove regole? Come si applicano?
Tra le previsioni contemplate dal D.Lgs. n. 209/2023, per l’attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, vi è anche un intervento che ridisegna profondamente la disciplina del regime dei lavoratori impatriati di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 e all’art. 5 del D.L. n. 34/2019, vale a dire le agevolazioni applicabili a quei contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia per svolgere attività di lavoro dipendente, autonomo o di impresa. Invero, sino ad oggi i lavoratori che acquisivano la residenza fiscale nel nostro Paese dopo almeno due anni trascorsi effettivamente all’estero potevano beneficiare di un consistente abbattimento, nella misura del 70% o addirittura del 90%, dei redditi imponibili relativi ad attività di lavoro o di impresa svolte prevalentemente in Italia, per un periodo massimo di 10 anni. Sulla tematica si è assistito, soprattutto nei tempi più recenti, ad un acceso contrasto tra l’Amministrazione finanziaria - che dava letture restrittive e, in certi casi, fantasiose, della disposizione di legge - e la platea di “nuovi” contribuenti, attratti in Italia dal miraggio di una quasi integrale detassazione dei propri redditi e spesso destinatari di contestazioni e dinieghi da parte del Fisco. I principali punti di contrasto hanno riguardato il requisito del biennio di residenza all’estero (in uno alla sua dimostrazione) e l’attività di lavoro svolta in Italia, sotto il profilo della novità e autonomia del rapporto di lavoro rispetto alle precedenti esperienze lavorative del malcapitato contribuente. E tali incertezze interpretative si sono puntualmente presentate in sede di preparazione della bozza di decreto delegato per l’attuazione della riforma fiscale, pubblicato il 28 dicembre 2023 in Gazzetta Ufficiale, e le istanze, giunte da più parti, per un ripensamento di quello che si delinea in ogni caso come un vero e proprio restringimento delle maglie per l’accesso all’agevolazione in esame. Regime dei lavoratori impatriati: nuove regole dal 1° gennaio Le regole applicabili dal 1° gennaio 2024, dunque, prevedono in primo luogo una riduzione del beneficio fiscale, poiché la detassazione passerà dal 70% al 50% (solo nel caso in cui l’impatriato abbia un figlio minore a carico, ugualmente residente in Italia, la detassazione è stabilita al 60%), sarà circoscritta ai soli redditi da lavoro dipendente e assimilati nonché da lavoro autonomo e con un tetto annuo di 600.000 euro. La revisione operata dal Governo incide anche sulle condizioni di accesso al trattamento agevolativo: sarà richiesta, infatti, la condizione dell’elevata qualificazione o specializzazione del lavoratore e un periodo di residenza all’estero di almeno 3 anni (contro i 2 attualmente previsti). Inoltre, il lavoratore dovrà impegnarsi a risiedere in Italia per almeno 4 anni, pena la decadenza dall’agevolazione ed il conseguente recupero del differenziale di imposte non versate, oltre interessi. Ridotta anche la durata della detassazione: chi si trasferirà dal 2024 potrà beneficiare del trattamento di favore per soli 5 anni, con esclusione della proroga introdotta con D.L. n. 34/2019. Solo nell’ipotesi in cui l’aspirante impatriato abbia acquistato una casa - destinata a divenire l’abitazione principale - entro il 31 dicembre 2023 (requisito, ormai, di difficile pianificazione) o abbia proceduto all’acquisto nei dodici mesi precedenti il trasferimento, la durata degli incentivi sale a 8 periodi di imposta complessivi. Di fondamentale rilevanza, perché costituisce una novità del testo definitivo rispetto alle bozze circolate fino ai primi giorni di dicembre, è la previsione del requisito di un periodo di permanenza all’estero più lungo per l’accesso dei lavoratori impiegati in Italia dallo stesso datore o dallo stesso gruppo di imprese. Sono state superate, infatti, le iniziali chiusure - in linea con l’attuale prassi dell’Agenzia delle Entrate - al riconoscimento dei benefici per i lavoratori che rientrano da un periodo di distacco o che, comunque, vengono in Italia per lavorare alle dipendenze del medesimo datore di lavoro o soggetto appartenente allo stesso gruppo societario. Dal 2024, l’impatriato che presterà attività a favore dello stesso soggetto presso il quale lavorava all’estero prima del trasferimento, o altra entità del medesimo gruppo, sarà ammesso a beneficiare della detassazione se la precedente permanenza all’estero è pari, almeno: - a sei periodi d’imposta, se non sussiste un precedente impiego in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al gruppo. - a sette periodi d’imposta, qualora il lavoratore sia stato alle dipendenze in Italia, prima dell’espatrio, dello stesso soggetto oppure di un soggetto dello stesso gruppo. Come detto, si tratta di un importante temperamento rispetto ai propositi originari che, nel dichiarato intento di arginare condotte di abuso - come per esempio il trasferimento temporaneo di lavoratori all’estero tra società affiliate per il biennio minimo necessario ad integrare i presupposti previsti dalla normativa - avrebbero portato all’introduzione di una clausola di esclusione per tutte le fattispecie di trasferimento di dipendenti tra società affiliate, richiedendo l’instaurazione di un nuovo rapporto con un nuovo datore di lavoro. Effetti del trasferimento della residenza anagrafica entro il 31 dicembre 2023 L’approvazione e la seguente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.Lgs. n. 209/2023, ha concesso infine uno sprint finale ai soggetti che integravano i requisiti previsti dalla disciplina nella geometria risultante dal D.L. n. 34/2019: chi, infatti, ha trasferito la residenza anagrafica entro il 31 dicembre 2023 potrà beneficiare, anche iniziando l’attività di lavoro nell’anno successivo (dunque nel 2024), del “vecchio” regime dei lavoratori impatriati. Un’ultima chance per tutti i soggetti che avevano fatto affidamento sulla normativa in vigore, e non hanno potuto soggiornare in Italia per più di 183 giorni nel 2023, che tuttavia fa sorgere qualche dubbio per quanti non hanno mai cancellato la residenza anagrafica potendo ugualmente beneficiare degli incentivi al rientro anche sulla scorta dei chiarimenti espressi dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020. Considerazioni conclusive Come anticipato, il D.Lgs. n. 209/2023 disegna un vero e proprio “nuovo regime impatriati” con l’abrogazione dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 e dell’art. 5, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del D.L. n. 34/2019. Pur meritevole di plauso, l’equilibrio raggiunto con l’attenuazione delle menzionate rigidità ascrivibili all’impostazione iniziale dello schema di decreto, ne risulta una disciplina certamente meno interessante di quella in vigore fino alla fine del 2023, con l’effetto di tradire l’obiettivo di incentivo all’ingresso di lavoratori nel nostro Paese per rilanciarne la competitività. Peraltro, la novellata regolamentazione lascia aperte questioni applicative che potranno, nel prossimo futuro, creare nuove incertezze che porteranno ancora una volta alla strada del contenzioso tra contribuenti e Agenzia delle Entrate. Copyright © - Riproduzione riservata