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Archivio newsLicenziamenti collettivi: legittima la disciplina del Jobs Act
Nella sentenza n. 7 depositata il 22 gennaio 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato la legittimità dei licenziamenti collettivi in applicazione della disciplina prevista dai decreti attuativi del Jobs Act. Sono state infatti dichirate non fondate le questioni relative agli articoli 3, primo comma, e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 7 del 22 gennaio 2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 3, primo comma, e 10 del decreto legislativo attuativo del Jobs Act n n. 23 del 2015che ha introdotto il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio. Licenziamenti collettivi Nella fattispecie si trattava di licenziamenti collettivi operati in violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero, a fronte dei quali era stata prevista una tutela indennitaria, compensativa del danno subito dal lavoratore, ma non più la tutela reintegratoria nel posto di lavoro, in applicazione di quanto previsto in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La legge di delega aveva, infatti, escluso, per i “licenziamenti economici” di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, e aveva previsto un indennizzo economico, limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato. Criteri di scelta dei lavoratori La Corte ha ritenuto che il riferimento contenuto nella legge di delega ai “licenziamenti economici” riguardi sia quelli individuali per giustificato motive oggettivo, sia quelli collettivi. Nella sentenza viene sottolineato che il riferimento temporale alla data di assunzione consente di differenziare le situazioni: la nuova disciplina dei licenziamenti è orientate ad incentivare l’occupazione e a superare il precariato ed è pertanto prevista solo per i “giovani” lavoratori. Il legislatore non era tenuto, sul piano costituzionale, a rendere applicabile questa nuova disciplina anche a chi era già in servizio. La Corte ha ritenuto poi inadeguata la tutela indennitaria di importo pari al numero di mensilità, dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, determinato dal giudice in base ai criteri indicati da questa Corte nella sentenza n. 194 del 2018, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità. La norma dunque dovrà essere oggetto di revisione nel suo complesso. Copyright © - Riproduzione riservata
Corte Costituzionale, sentenza 22/01/2024, n.7