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Archivio newsWelfare aziendale: ha solo il ruolo di comprimario nel compito di ridurre il cuneo fiscale?
Sul welfare aziendale, il legislatore è intervenuto recentemente sia nel decreto Lavoro che nella legge di Bilancio 2024: ci si chiede se queste misure rispondano ad una logica di promozione del welfare aziendale o vadano considerate alla stregua di un puro alleggerimento selettivo del cuneo fiscale a vantaggio dei nuclei familiari. Si può senz’altro affermare che il legislatore affida al welfare aziendale un ruolo di comprimario nel compito di ridurre il cuneo fiscale. Senza dimenticare che sono plurime le dimensioni del welfare aziendale così come lo sono le diverse policies del legislatore, che il welfare aziendale non è estraneo alla finalità sociale e che fino a quando non venga significativamente alleggerita la fiscalità gravante sul lavoro, il ricorso al welfare aziendale sarà un’irrinunciabile valvola di sfogo.
Nel 2023 il legislatore è intervenuto due volte in materia di welfare aziendale. L’art. 40 del Decreto lavoro (D.L. n. 48/2023, convertito con modificazioni dalla legge n. 85/2023) ha innalzato, per il 2023, la soglia di esenzione fiscale accordata dall’art. 51, comma 3, del T.U.I.R, per l’erogazione di beni e servizi a favore dei lavoratori dipendenti, dall’importo originario di euro 258,23, a quello assai più sostanzioso di euro 3.000, limitatamente ai genitori con figli fiscalmente a carico, ma riconoscendo il beneficio anche a fronte di somme erogate o rimborsate ai lavoratori per il pagamento delle utenze domestiche relative al servizio idrico, all’energia elettrica e al gas. Per tutti gli altri soggetti restava in vigore la soglia storica di euro 258,23. L’art. 1, comma 16-18, della legge di Bilancio 2024 (legge 29 dicembre 2023, n. 213), per l’anno 2024 ha “rimodulato” soggettivamente, quantitativamente e finalisticamente l’esenzione, abbassando a 2.000 euro l’importo defiscalizzato per i dipendenti con figli a carico; innalzandola a 1.000 per la generalità degli altri soggetti; e infine, aggiungendo tra le misure incentivate anche l’affitto della prima casa e gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa. Si discute se i cennati interventi legislativi rispondano a una logica di promozione del welfare aziendale, o se invece vadano considerate alla stregua di un puro alleggerimento selettivo del cuneo fiscale a vantaggio dei nuclei familiari.Non esiste una nozione generale, né tantomeno legale, di welfare aziendale. Se si prescinde dalla nozione “allargata” o “normativa”, in cui la finalità virtuosa si manifesta sul piano delle condizioni e del contesto di lavoro, della conciliazione, anche di genere, tra vita lavorativa ed extra-lavorativa, e perfino delle esternalità socio-economiche ed etiche dell’attività d’impresa; se, cioè, ci si pone nella prospettiva dello scambio lavoristico, il welfare aziendale può identificarsi con forme di compensazione del lavoro che rispondono alla finalità di soddisfare bisogni non adeguatamente soddisfatti né dalla retribuzione monetaria, né dal welfare pubblico: in considerazione di tale connotazione “virtuosa”, il legislatore equipara tale prestazioni a strumenti di previdenza negoziale, sottraendoli alla base imponibile fiscale e contributiva. Esiste poi una nozione che si potrebbe definire “generica” di welfare aziendale, quale è quella retrostante alle previsioni di cui all’art. 51, comma 3, del TUIR, le quali, più che incentivare prestazioni datoriali socialmente virtuose, mirano direttamente a incrementare il valore netto della retribuzione, escludendo dalla base imponibile i beni e i servizi erogati dal datore di lavoro, entro i limiti complessivi sopra ricordati. A queste misure, tradizionalmente denominate fringe benefits e classificate come “retribuzione in natura”, possono assimilarsi quelle contemplate dal comma 4 dello stesso art. 51, le quali, anch’esse prive di una specifica finalità “sociale”, godono di una diversa tipologia di favore fiscale: trattasi, infatti, di benefits - quali la concessione dell’auto aziendale, la concessione di prestiti e di fabbricati in locazione, e la fornitura di servizi gratuiti di trasporto ferroviario - per la cui tassazione viene riconosciuto, in diverse misure e modalità, un significativo abbattimento del valore imponibile. Alla pluralità di dimensioni funzionali del welfare aziendale corrispondono diverse politiche legislative. Il welfare aziendale “corrispettivo” si radica storicamente in quel complesso di erogazioni di beni e servizi, contemplati dall’(attuale) art. 51, comma 2, TUIR, la cui natura retributiva è (ed è sempre stata) dubbia, trattandosi di spettanze, per un verso, “volontarie” e “non obbligatorie” (quali, in origine, le “opere e servizi di utilità sociale”); e per l’altro, strumentali rispetto alla prestazione di lavoro, e quindi rispondenti a un eminente interesse del datore di lavoro (vitto e mensa aziendale; trasporto collettivo). Il privilegio fiscale, peraltro, è concesso, di norma, a condizione che si tratti di erogazioni in natura (salvo diversa disposizione legislativa), riconosciute “alla generalità o a categorie di dipendenti”, e non rivolte a vantaggio soltanto di alcuni e ben individuati lavoratori. A partire dal 2015 inizia un processo di traghettamento dei suddetti benefits nel territorio del welfare negoziale, con l’affiancamento a istituti già conosciuti e normati quali la previdenza complementare e la sanità integrativa. Questo processo, pilotato dalle “leggi di Stabilità” per gli anni tra il 2015 e il 2017, si realizza in primo luogo mercé la contrattualizzazione delle opere e servizi di utilità sociale, realizzata mediante l’eliminazione del requisito della “volontarietà”; e prosegue con il proliferare delle misure ammesse al privilegio fiscale, aggiungendosi all’elenco” di cui all’art. 51, comma 2, TUIR, interventi di importante rilievo sociale quali le spese e i servizi di educazione e istruzione per la famiglia, nonché per l’assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti; i contributi e premi a fronte dell’assicurazione dei dipendenti contro il “rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana” o di “gravi patologie”); le “somme erogate o rimborsate … per abbonamenti di trasporto pubblico territoriale della famiglia”. Per non dire dell’ulteriore valorizzazione compiuta dalle “leggi di Stabilità” per il 2016 e per il 2017, che hanno tentato di mettere il welfare aziendale al traino degli accordi collettivi “di produttività” e della previdenza complementare. Gli interventi dell’ultimo biennio segnano uno sbilanciamento a favore della dimensione lato sensu fiscale del fenomeno: partendo dall’assunto che sul costo del lavoro e sulla retribuzione gravino oneri fiscali, ma soprattutto contributivi, eccessivi, il legislatore affida al welfare aziendale un ruolo di comprimario nel compito di ridurre il cuneo fiscale: tant’è vero, che l’art. 40 del decreto Lavoro, rubricato “misure fiscali per il welfare aziendale”, è ricompreso nell’ambito delle misure del capo IV, dedicate “al sostegno dei lavoratori e per la riduzione della pressione fiscale”. Forse coglie nel giusto chi considera questi interventi legislativi alla stregua di misure di alleggerimento del carico fiscale sulle retribuzioni. Tuttavia, il giudizio sarebbe ingeneroso, per almeno tre ragioni. In primo luogo, va considerato che la dimensione finalistica del welfare aziendale non è priva di sfumature e ambiguità, le quali conducono, forse, alla conclusione che le finalità “virtuose” del welfare aziendale siano quelle che il legislatore, nella sua discrezionalità, giudica tali. In secondo luogo, e in stretto collegamento con quanto appena osservato, quelle di cui all’ultimo decreto Lavoro e all’ultima legge di Bilancio sono, se non misure di sostegno alla natalità, di sicuro misure di sostegno al reddito delle famiglie con figli a carico. In terzo luogo, non mancano nelle predette misure riferimenti finalistici - se si vuole - più ortodossi, quali, oltre al pagamento o al rimborso delle bollette domestiche, l’accollo datoriale del costo dell’affitto della prima casa e degli interessi sul mutuo relativo alla prima casa. Tutto ciò non pare estraneo alla finalità sociale del welfare aziendale, almeno ove si condivida l’idea che, fino a quando non venga significativamente alleggerita la fiscalità gravante sul lavoro, il ricorso al welfare aziendale sarà una irrinunciabile valvola di sfogo. Copyright © - Riproduzione riservata