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Esoneri contributivi dipendenti e lavoratrici madri: come si applicano in busta paga

La legge di Bilancio 2024 conferma l’esonero parziale della contribuzione pensionistica per la generalità dei dipendenti, e ne aggiunge uno nuovo a favore delle lavoratrici con figli. Due misure, entrambe di carattere temporaneo, per la cui applicazione in busta paga occorre valutare sia il tenore della norma ma anche i chiarimenti dell’INPS forniti con la circolare n. 27 del 2024. Secondo l’Istituto l’esonero lavoratrici madri risulta strutturalmente alternativo all’esonero della quota dei contributi IVS a carico del lavoratore previsto per il cuneo fiscale a beneficio della generalità dei lavoratori. Quali sono le caratteristiche dei due esoneri? Come devono quindi essere gestiti dai datori di lavoro? E’ uno dei temi del 13° Forum One LAVORO, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrina Per il Lavoro, che si svolge a Modena il 27 febbraio 2024.

Come previsto dalla legge di Bilancio 2024 (L. n. 213/2023), fino al 31 dicembre 2024 i lavoratori dipendenti beneficiano di un esonero parziale della contribuzione pensionistica a loro carico in percentuale differenziata in base alla retribuzione mensile. Caratteristiche dell’esonero contributivo dipendenti In particolare, il beneficio è riconosciuto: - nella misura del 7% se la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non è superiore a 1.923 euro; - nella misura del 6% se la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non supera 2.692 euro. Non spetta alcun beneficio al lavoratore che nel mese superi quest’ultima soglia di retribuzione. L’agevolazione, rivolta alla generalità dei dipendenti, ad eccezione dei lavoratori domestici, è applicata per un massimo di 12 mensilità. Le mensilità aggiuntive sono, quindi, soggette all’ordinario prelievo contributivo. Il beneficio riguarda esclusivamente la quota IVS della contribuzione a carico del lavoratore, fino all’azzeramento, mentre non tocca in alcun modo l’onere a carico del datore di lavoro.

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Questa misura presenta tre rilevanti criticità: 1) non prevede un meccanismo di gradualità; 2) è solo temporanea; 3) produce effetti distorsivi sul reddito del lavoratore rilevante ai fini ISEE. Quanto al primo rilievo va infatti osservato che, se un lavoratore supera anche di un solo euro il limite di retribuzione per l’accesso all’esonero, perde del tutto il beneficio.
Si ipotizzi il caso di un lavoratore che abbia una retribuzione mensile di riferimento di 2.690 euro e di un suo collega con una retribuzione mensile di riferimento di 2.695 euro: il primo potrà contare su un abbattimento contributivo di circa 1.936 euro su base annua, mentre il secondo non potrà avere alcun beneficio. Si determina, pertanto, una significativa sperequazione tra lavoratori con retribuzioni pressoché identiche, senza alcun meccanismo di gradualità.
La misura, inoltre, non ha carattere strutturale, ma è in vigore solo fino al 31 dicembre 2024 ed è finanziata dalla fiscalità generale: l’eventuale rinnovo per l’anno 2025 e per gli anni seguenti richiederebbe di “ipotecare” ingenti risorse delle future leggi di Bilancio. Il mancato rinnovo, invece, determinerebbe per i lavoratori una significativa diminuzione della retribuzione netta che presumibilmente dovrebbe essere colmata dal datore di lavoro con un’erogazione equivalente. In entrambi i casi la temporaneità della misura agevolativa rende impossibile per le aziende la programmazione di piani di sviluppo retributivo per i dipendenti. L’effetto distorsivo, infine, consiste nel fatto che il minor prelievo contributivo genera un incremento dell’imponibile fiscale, cosicché il lavoratore da un lato “restituisce” parte del beneficio sotto forma di maggiori imposte e dall’altro rischia di dover pagare di più le prestazioni sociali e le tariffe collegate all’indicatore ISEE e di subire una diminuzione dell’assegno unico universale. Su un piano più generale, infine, la norma dà un’indicazione ad aziende e lavoratori del tutto antitetica rispetto allo stato precario della previdenza di primo pilastro: nonostante l’esonero della quota a carico del lavoratore, essa dispone che resti ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, accreditando così l’idea che il sistema previdenziale nazionale possa reggersi anche senza il contributo del lavoratore. Tale considerazione, tuttavia, contrasta con la situazione di profondo squilibrio in cui versa il sistema, che rende quindi l’esonero contributivo “sostenibile” solo tramite la copertura da parte della fiscalità generale. Esonero contributivo per le lavoratrici madri Dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 è operativa una nuova tipologia di esonero contributivo a vantaggio delle lavoratrici con 3 o più figli, escluse le lavoratrici domestiche, in forza con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il beneficio è riconosciuto nella misura del 100% del contributo IVS a carico della lavoratrice, fino ad un massimo di 3.000 euro annui, riparametrato su base mensile, fino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo. Secondo il tenore letterale della norma l’agevolazione è compatibile con l’esonero contributivo IVS del 6% o 7% previsto per la generalità dei dipendenti. Si può, pertanto, ipotizzare che una lavoratrice benefici dell’esonero totale delle “mamme” fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo, per fruire nei mesi successivi dell’esonero parziale “generale” del 6% o 7%. L’INPS nella circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 afferma che “La realizzazione del requisito si intende soddisfatta al momento della nascita del terzo figlio (o successivo) e la verifica dello stesso requisito si cristallizza alla data della nascita del terzo figlio (o successivo), non producendosi alcuna decadenza dal diritto a beneficiare della riduzione contributiva in oggetto in caso di premorienza di uno o più figli o dell’eventuale fuoriuscita di uno dei figli dal nucleo familiare o, ancora, nelle ipotesi di non convivenza di uno dei figli o di affidamento esclusivo al padre.” Per il solo anno 2024 l’esonero è riconosciuto anche alle lavoratrici madri di due o più figli fino al mese del compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo. Con riferimento all’anno 2024, continua ancora l’INPS, “Per identità di ratio, il requisito dell’essere madre di due figli si intende perfezionato al momento della nascita del secondo figlio e si cristallizza con riferimento a tale data, essendo irrilevante l’eventuale successiva premorienza di un figlio.” Precisa ancora l’Istituto che “qualora il rapporto di lavoro a tempo indeterminato venga instaurato successivamente alla realizzazione dello status di madre con due o tre figli, l’esonero in trattazione, in presenza dei requisiti legittimanti, troverà applicazione a partire dalla data di decorrenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.” In questa prospettiva è chiara la posizione dell’INPS secondo la quale l’esoneromamme” risulta “strutturalmente alternativo” all’esonero della quota dei contributi IVS a carico del lavoratore previsto per il cuneo fiscale a beneficio della generalità dei lavoratori. Infatti, poiché quest’ultimo spetta per le retribuzioni mensili pari a 2.692 euro, l’onere contributivo massimo che può essere sostenuto dalla lavoratrice, ipotizzando un’aliquota contributiva pari a 9,19%, risulta di 247,39 euro. Detto importo, pertanto, nel singolo mese di paga, è inferiore alla quota contributiva massima che può beneficiare dell’esonero “mamme”, pari a 250 euro mensili (3.000 euro annui/12). Conseguentemente, il beneficio “mamme” nel singolo mese di paga esaurisce l’importo massimo esonerabile sulla quota IVS a carico della lavoratrice e quindi “assorbe” l’esonero di portata generale. Ciò è vero fino al mese in cui viene meno il diritto all’esonero “mamme”, perché ad esempio il figlio più piccolo raggiunge la maggiore età. Ma allora a che serve? A ridurre il prelievo contributivo di meno di 3 euro al mese? Non proprio. L’esonero “mamme” vince sempre sull’esonero generale poiché abbatte il prelievo del 9,19% contro il 6% o il 7%, benché il vantaggio si assottigli fino quasi ad azzerarsi quando la retribuzione mensile si avvicina a 2.692 euro. Tuttavia, mentre le lavoratrici che nel singolo mese superano tale soglia perdono il diritto all’esonero generale sull’intera retribuzione (il meccanismo è infatti “on/off), esse conservano il diritto all’esonero “mamme” - che spetta anche quando la retribuzione mensile è superiore alla soglia - , sia pure nei limiti di importo di 250 euro al mese. Considerazioni conclusive Le misure agevolative descritte, entrambe di carattere temporaneo, sembrano finalizzate a sostenere il potere di acquisto dei salari medio-bassi in un quadro di persistente inflazione, piuttosto che ad incidere in modo strutturale sul cosiddetto “cuneo fiscale”, cioè sul differenziale tra retribuzione lorda, pagata dal datore di lavoro e retribuzione netta, percepita dal lavoratore.
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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/02/12/esoneri-contributivi-dipendenti-lavoratrici-madri-applicano-busta-paga

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