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Archivio newsFringe benefit: chiarita l’applicazione dei nuovi limiti per il 2024
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 5/E del 2024, è intervenuta in materia di fringe benefit fornendo specifiche indicazioni sull’applicazione dei nuovi limiti relativi al valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti. Con particolare riferimento alle somme erogate direttamente o rimborsate al lavoratore dal datore di lavoro per l’affitto della prima casa o quelle per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa, l’Agenzia ha chiarito che per la nozione di prima casa rileva la nozione di abitazione principale. Ulteriori chiarimenti riguardano la conservazione della documentazione che giustifica le somme spese o rimborsate, l’alternanza tra fringe benefit e detrazione fiscale, la determinazione del valore dei prestiti concessi ai dipendenti, nonché la detassazione dei premi di risultato.
Con circolare n. 5/E del 7 marzo 2024, l’Agenzia delle Entrate ha fornito le indicazioni sulle novità in materia di redditi di lavoro dipendente introdotte dalla legge di Bilancio 2024 (Legge n. 213/2023) e dal decreto Anticipi (D.L. n. 145/2023). Tra le disposizioni commentate figurano anche le nuove misure per il welfare aziendale. Fringe benefit e somme rimborsate o erogate dai datori di lavoro La legge di Bilancio 2024 (art. 1, comma 16, della legge n. 213/2023) prevede, per il solo anno d’imposta 2024, in deroga a quanto previsto dall’art. 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, del TUIR, la non concorrenza alla formazione del reddito, entro il limite complessivo di 1.000 euro, del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti. Analogamente a quanto precisato in riferimento alla misura applicata nell’anno precedente (Circolare Agenzia delle Entrate 1° agosto 2023, n. 23), la disposizione si applica ai titolari di redditi di lavoro dipendente e di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. La misura si pone nel solco di quanto previsto dall’art. 12 del D.L. n. 115/2022 (decreto Aiuti-bis), convertito, con modificazioni, dalla legge 2022, n. 142/2022 e dall’art. 40 del D.L. n. 48/2023 (decreto Lavoro), convertito con modificazioni dalla legge n. 85/2023, ma introduce alcune rilevanti novità. In primo luogo, il tetto generalmente riferito a tutti i lavoratori è innalzato a 1.000 euro (anziché 258,23 euro come previsto dall’art. 51, comma 3); in secondo luogo, tale limite è ulteriormente innalzato a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico (la soglia prevista per l’anno d’imposta 2023 era di 3.000 euro). A tale proposito, i lavoratori che ritengono di essere nelle condizioni per l’applicazione della soglia maggiorata, sono tenuti a produrre una dichiarazione al datore di lavoro, con indicazione del codice fiscale dei figli. Si ricorda che per l’individuazione dei figli a carico occorre fare riferimento alle condizioni di cui all’art. 12, comma 2 TUIR, che considera tali i figli di età non superiore a ventiquattro anni con reddito complessivo fino a 4.000 euro ed i figli di età superiore a ventiquattro anni con un reddito complessivo non superiore a 2.840,51 euro (compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati), al lordo degli oneri deducibili. Il beneficio si applica anche nel caso in cui il lavoratore non possa beneficiare della detrazione per figli fiscalmente a carico di cui all’art. 12 citato, poiché per gli stessi percepisce l’assegno unico e universale. I datori di lavoro provvedono all’attuazione di tale disposizione previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti, fermo restando che dal punto di vista operativo, il datore di lavoro che intende riconoscere un bene o un servizio in natura ad un dipendente, a titolo di fringe benefit, è tenuto a formalizzare il riconoscimento dello stesso nella lettera di assunzione ovvero con separato accordo, nel caso in cui il riconoscimento avvenga nel corso di un rapporto già instaurato. In merito all’obbligo informativo nei confronti delle RSU, in assenza di nuove e specifiche indicazioni, si richiamano le precisazioni fornite con la circolare n. 23/E/2023, laddove l’Agenzia delle Entrate ritiene che il beneficio, essendo riferito all’intero periodo d’imposta, possa essere riconosciuto anche prima dell’invio della citata informativa, a condizione che la stessa avvenga entro la chiusura del medesimo periodo d’imposta. Si ricorda, altresì, che il superamento dei limiti di non imponibilità comporta l’assoggettamento a tassazione (ed a contribuzione) dell’intero ammontare e non soltanto della quota parte eccedente. L’Agenzia delle Entrate ribadisce che rientrano nella nozione di reddito di lavoro dipendente anche i beni ceduti e i servizi prestati al coniuge del lavoratore o ai familiari indicati nell’art. 12 del TUIR, nonché i beni e i servizi per i quali venga attribuito il diritto di ottenerli da terzi. Spese relative alla prima casa Come per lo scorso anno, l’ambito applicativo della norma consente di ricomprendere tra i fringe benefit le somme erogate o rimborsate ai lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale; tuttavia, per l’anno 2024, il datore di lavoro può erogare direttamente o rimborsare al lavoratore anche le somme destinate all’affitto della prima casa o quelle per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa. La novità è particolarmente rilevante e mira a rafforzare la ratio della norma, finalizzata alla riduzione del cuneo fiscale per colmare, almeno in parte, la perdita del potere d’acquisto dei lavoratori, determinata dal forte aumento dell’inflazione registrato negli ultimi anni. In assenza di una precisa definizione della norma, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che per la nozione di “prima casa”, per ragioni logico-sistematiche, rilevi la nozione di “abitazione principale” prevista per l’applicazione delle detrazioni di cui agli articoli 15, comma 1, lettera b) (interessi passivi per mutui) e 16 (canoni di locazione) del TUIR. Le spese oggetto della disposizione in commento devono riguardare immobili ad uso abitativo posseduti o detenuti, sulla base di un titolo idoneo, dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, nei quali il dipendente o i suoi familiari indicati nell’art. 12 del TUIR, dimorino abitualmente, a condizione che ne sostengano effettivamente le relative spese. Ad ulteriore precisazione, ancorché parte contrattuale sia il coniuge o altro familiare, fra quelli indicati nell’articolo 12 del TUIR, del lavoratore dipendente, l’Agenzia considera rimborsabili, nel rispetto dei limiti citati, sia le spese sostenute per un contratto di affitto sia quelle relative agli interessi sul mutuo, a condizione che l’immobile locato o su cui grava il mutuo costituisca l’abitazione principale del lavoratore (art. 15, comma 1, lettera b), e art. 16, comma 1 quinquies, TUIR). Con particolare riguardo alla locuzione “spese per l’affitto”, si ritiene che debba farsi riferimento al canone risultante dal contratto di locazione regolarmente registrato e pagato nell’anno. Oneri documentali Il datore di lavoro è tenuto ad acquisire ed a conservare la documentazione che giustifica le somme spese o rimborsate e la loro inclusione nei limiti di non imponibilità previsti dalla norma. Più precisamente, il datore di lavoro deve acquisire e conservare la predetta documentazione, per eventuali controlli, nel rispetto del regolamento (UE) 2016/679 e del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice in materia di protezione dei dati personali). In alternativa, il datore può acquisire una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata dal lavoratore ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 che attesti il ricorrere, in capo al medesimo dichiarante, dei presupposti previsti dalla norma in esame. Si osserva che analoghe prescrizioni, anche con maggior dettaglio, erano contenute nella circolare n. 35/E/2022, nella quale l’Agenzia ha precisato che il lavoratore è tenuto a dichiarare di essere in possesso della documentazione comprovante il pagamento delle utenze domestiche, di cui riporti gli elementi necessari per identificarle, quali ad esempio il numero e l'intestatario della fattura (e se diverso dal lavoratore, il rapporto intercorrente con quest'ultimo), la tipologia di utenza, l'importo pagato, la data e le modalità di pagamento; inoltre, che tutta la documentazione indicata nella predetta dichiarazione sostitutiva deve essere conservata dal dipendente in caso di controllo da parte dell'Amministrazione finanziaria. In ogni caso, nella dichiarazione occorre precisare che le somme non siano già state oggetto di richiesta di rimborso, totale o parziale, non solo presso il medesimo datore di lavoro, ma anche presso altri. Alternativa tra fringe benefit e detrazione fiscale La circolare contiene un importante chiarimento, laddove specifica che le spese oggetto di rimborso, non potendo essere considerate effettivamente sostenute, non consentono al contribuente di beneficiare delle agevolazioni previste per le medesime spese, quali, ad esempio, la detrazione degli interessi passivi per mutui o dei canoni di locazione, indicata nella propria dichiarazione dei redditi. E’ utile ricordare, infatti, che in linea generale, per gli oneri e le spese detraibili vale il principio secondo il quale la detrazione spetta solo se restano effettivamente a carico del contribuente che li ha sostenuti e nel caso in cui il rimborso sia inferiore alla spesa sostenuta la detrazione va calcolata solo sulla parte non rimborsata. Determinazione del valore dei prestiti concessi ai dipendenti L’art. 51, comma 4, lettera b), primo periodo, del TUIR, è stato modificato dall’art. 3, commi 3-bis e 3-ter, del D.L. n. 145/2023 (decreto Anticipi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191/2023, intervenendo sulla modalità di determinazione del fringe benefit in caso di prestiti concessi al lavoratore dipendente. La disposizione in esame ora prevede che, ai fini della determinazione dell'imponibile, si considera il cinquanta per cento della differenza tra l'importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento e l'importo degli interessi calcolato al tasso praticato. Vi rientrano tutte le forme di finanziamento comunque erogate dal datore di lavoro, indipendentemente dalla loro durata e dalla valuta utilizzata, ivi compresi i finanziamenti concessi da terzi con i quali il datore di lavoro stipuli accordi o convenzioni, anche in assenza di oneri specifici da parte di quest’ultimo (cfr. circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, par. 2.3.2.2 e Risoluzione 25 luglio 2023, n. 44). Si tratta di prestiti concessi al lavoratore dipendente ovvero al coniuge o ad altri familiari dal datore di lavoro o, sulla base di un diritto maturato nell’ambito del rapporto di lavoro, da soggetti terzi. Nella sua precedente formulazione, ai fini della determinazione del valore del fringe benefit concesso al lavoratore, la disciplina in materia assumeva il cinquanta per cento della differenza tra l'importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto vigente al termine di ciascun anno e l'importo degli interessi calcolato al tasso applicato. Dal 1° gennaio 2023 (la norma ha efficacia retroattiva in virtù di quanto disposto dall’art. 3, comma 3-ter), il tasso ufficiale da assumere come parametro di riferimento non è più il TUR vigente al 31 dicembre di ogni anno ma deve essere individuato, in base alla tipologia di prestito, nel modo seguente: - per i prestiti a tasso variabile, si assume il TUR vigente alla data di scadenza di ciascuna rata; - per i prestiti a tasso fisso, si assume il TUR vigente alla data di concessione del prestito. Non risulta modificato, invece, il secondo periodo del comma 4, lettera b) dell'art. 51 TUIR, che prevede l'inapplicabilità della disposizione ai prestiti concessi prima del 1° gennaio 1997 (si applica il criterio del costo specifico, come da circolare n. 326/E/1997) e ai prestiti di durata inferiore a dodici mesi concessi, a seguito di accordi aziendali, a dipendenti in cassa integrazione guadagni, in contratto di solidarietà o a dipendenti vittime dell’usura o di richieste estorsive. Per quanto riguarda il momento di imputazione del compenso in natura in relazione alla concessione di prestiti ai dipendenti e di applicazione della ritenuta alla fonte, è stato chiarito (cfr. circolare del Ministero delle Finanze 17 maggio 2000, n. 98 e risoluzione n. 44/E del 25 luglio 2023) che il momento di applicazione della ritenuta è quello del pagamento delle singole rate del prestito, come stabilite dal relativo piano di ammortamento, fatta salva l’effettuazione di eventuali modifiche in sede di conguaglio. Considerato che i nuovi criteri calcolo si applicano agli interessi pagati a decorrere dal periodo d’imposta 2023, il datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta, ha rideterminato, in sede di conguaglio di fine anno, il valore del fringe benefit erogato nel corso del medesimo anno. A tal riguardo, con particolare riferimento alla ipotesi di cessazione di rapporto avvenute nel corso del 2023, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che il datore di lavoro deve effettuare un nuovo conguaglio al fine di tenere conto delle modifiche intervenute nella disciplina in commento. Da ciò consegue l’obbligo di consegnare al lavoratore e di trasmettere all’Agenzia delle Entrate una nuova certificazione unica, nel rispetto dei termini ordinariamente previsti (18 marzo 2024 perché quest’anno il 16 cade di sabato). Nelle ipotesi di rinegoziazione o surroga del contratto di mutuo a tasso fisso (compresa l’ipotesi di rinegoziazione di un precedente mutuo a tasso variabile), l’Agenzia specifica che il confronto deve essere effettuato fra gli interessi effettivamente dovuti sulla base del tasso fisso determinato al momento della rinegoziazione e gli interessi calcolati con il TUR vigente al momento della stipula della rinegoziazione del mutuo. È utile ricordare che si applica lo stesso criterio di cui all’art. 51 comma 4 lett. b) del TUIR anche quando è il dipendente a scegliere l’istituto di credito e il datore di lavoro corrisponda un contributo a copertura di una quota degli interessi maturati, direttamente sul conto corrente dedicato dal dipendente mutuatario al pagamento del mutuo (risoluzione n. 46 del 28 maggio 2010). La certificazione che attesta la regolarità dei pagamenti delle rate del finanziamento, rilasciata dall’istituto di credito e presentata dal dipendente all’azienda, conferma l’utilizzo delle somme accreditate a copertura degli oneri finanziari riferiti al mutuo. Detassazione dei premi di risultato Mutuando l’analoga disposizione prevista per il periodo d’imposta 2023 dall’art. 1, comma 63, della legge n. 197/2022, l’art. 1, comma 18 della legge di Bilancio 2024, dispone anche per il 2024 la riduzione dal 10 al cinque per 5 dell’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di risultato e di partecipazione agli utili d’impresa di cui all’art. 1, comma 182, della legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016). Il riferimento è ai premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, misurabili e verificabili con criteri definiti con decreto di cui al comma 188 della predetta disposizione, nonché sulle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa. La novità consiste esclusivamente nel dimezzamento dell’aliquota sostitutiva, per cui l’Agenzia rimanda alle istruzioni già fornite con le circolari n. 23/E del 2023, 29 marzo 2018, n. 5/E, e 15 giugno 2016, n. 28/E, ferme restando tutte le altre condizioni: - l’imposta sostitutiva si applica fino al limite di 3.000 euro lordi di premio in denaro erogati ai lavoratori dipendenti del settore privato in esecuzione dei contratti aziendali o territoriali; - in conseguenza di incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione misurabili, come previsto dalla procedura di deposito degli accordi di cui all’art. 5 del D.M. 25 marzo 2016, alla fine del periodo definito congruo dall'accordo collettivo, in riferimento ad almeno uno degli indicatori prescelti, nonché alle somme elargite sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa; - i lavoratori aventi diritto sono coloro che possono vantare un reddito da lavoro, nell’anno precedente a quello di percezione, non superiore a 80.000 euro. La tassazione sostitutiva, salvo rinuncia del lavoratore, spetta anche se nell’anno precedente non sia stato conseguito alcun reddito di lavoro dipendente e nelle ipotesi di superamento del limite di 80.000 euro a causa del conseguimento di redditi diversi da quelli di lavoro dipendente, compresi i redditi ad essi assimilati. Copyright © - Riproduzione riservata