News
Archivio newsWelfare aziendale: in quali casi sono escluse le lavoratrici madri
L’Agenzia delle Entrate, nella risposta ad interpello n. 57 del 2024, esclude che le lavoratrici madri possano rappresentare una categoria di dipendenti. Chiarimento che rischia di compromettere tutte le iniziative di welfare aziendale a favore della genitorialità. Quali sono le ragioni a fondamento della risposta fornita dalle Entrate? Ci sono possibilità di escludere una rigida applicazione?
La recente risposta ad interpello n. 57/2024 solleva molteplici dubbi interpretativi nella misura in cui esclude, di fondo, le lavoratrici madri dalle iniziative di welfare aziendale asserendo che le stesse non possano rappresentare una categoria nel senso voluto dall’art. 51 del TUIR. Ciò solleva notevoli dubbi di cui si darà conto dopo un veloce riferimento al contesto di riferimento. Normativa di riferimento Le fattispecie di esenzione previste dall’art. 51, comma 2 TUIR in molti casi prevedono la non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente solo nel caso in cui l’erogazione interessi la generalità o almeno una categoria di dipendenti. Mancando una definizione puntuale della nozione di “categoria” è necessario fare riferimento alle conclusioni raggiunte dalla prassi amministrativa. Così, nella nota circolare n. 326/E/1997 si è fatto riferimento al concetto di “gruppo omogeneo di dipendenti” con la conseguenza che deve essere escluso dall’esenzione qualsiasi incentivo riconosciuto ad personam. In un ulteriore chiarimento fornito nella circolare n. 188/E/1998 l’Agenzia ha affermato che il termine “non va inteso soltanto con riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, quadri, operai, ecc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio, tutti i dirigenti o tutti quelli di un certo livello o di una certa qualifica)” e, nel caso di specie, sono stati considerati come facenti parte di una categoria tutti gli operai del turno di notte. In senso analogo, la risoluzione n. 378/E/2007 ha ritenuto sussistente una categoria anche nel caso dei c.d. expatriates. Da ultimo, la circolare n. 5/E/2018 ha specificato che “nel particolare contesto dei premi di risultato agevolabili, può peraltro configurarsi quale categoria di dipendenti l’insieme di lavoratori che avendo convertito, in tutto o in parte, il premio di risultato in welfare ricevono una “quantità” di welfare aggiuntivo rispetto al valore del premio, in ragione del risparmio contributivo di cui a seguito di tale scelta beneficia il datore di lavoro”. La recente risposta ad interpello Nell’interpello n. 57/2024 la società istante ha richiesto chiarimento in merito al regime fiscale applicabile ad una erogazione welfare a favore delle lavoratrici madri corrispondente alla differenza fra l'indennità di congedo di maternità facoltativa o di congedo parentale a carico dell'INPS, e il 100% della retribuzione mensile lorda. Nel fornire la risposta, l’Amministrazione prende le mosse dalla constatazione che “la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente deve essere coordinata col principio di onnicomprensività che, riconducendo nell'alveo di tale categoria reddituale tutto ciò che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro, riconosce l'applicazione residuale delle predette deroghe, in ragione anche della circostanza che i benefit ivi previsti non sempre assumono una connotazione strettamente reddituale. Pertanto, qualora tali benefit rispondano a finalità retributive (ad esempio, per incentivare la performance del lavoratore o di ben individuati gruppi di lavoratori), il regime di totale o parziale esenzione non può trovare applicazione”. Rispetto, poi, alla nozione di categoria viene espresso un principio nuovo vale a dire che non è possibile individuare una ''categoria di dipendenti'' sulla base di una distinzione non legata alla prestazione lavorativa ma a caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente. A fronte di ciò, l’Agenzia conclude che il Piano non può intercettare le ipotesi di esenzione previste dall’art. 51 de TUIR proprio in quanto l'attribuzione del welfare aziendale in base allo status di maternità non appare idonea ad individuare una ''categoria di dipendenti'' nel senso sopra illustrato. Considerazioni conclusive La risposta fornita dall’Agenzia solleva notevoli perplessità ed esprime un principio che, se non correttamente, interpretato può dimostrarsi dirompente nell’ambito del welfare aziendale. Affermare, sic et simpliciter, che le lavoratrici madri non rappresentano una categoria non solo non sembra supportato dalla vigente normativa, ma rischia altresì di compromettere tutte le iniziative volte a supportare la genitorialità, l’istruzione ecc. E’ chiaro, ad esempio, che se una società decide di attivare un asilo nido aziendale lo stesso sarà usufruito solo dai dipendenti che hanno figli; quale è quindi il discrimine? Che differenza c’è tra prevedere che potranno accedere al servizio di asilo tutti gli impiegati ovvero tutti gli impiegati con figli? La prima ipotesi rappresenterebbe una categoria, la seconda no? Il rischio evidente è che il tutto si risolva in mero formalismo. Non solo, si pensi al recente bando governativo “Riparto” destinato a finanziare progetti di Welfare per le lavoratrici madri. Quelle iniziative non potrebbero godere di incentivi fiscali? Come dovrebbero gestire le società le progettualità che hanno proposto? Ci si domanda, allora, se la risposta non sia in realtà sovrabbondante; “provi troppo”, come si soleva dire in gergo. Forse occorre concentrarsi su un altro aspetto a cui l’interpello fa riferimento, vale a dire che “che la somma che alimenta il credito welfare individuale sarebbe costituita dalla differenza tra quanto erogato dall'INPS e la retribuzione fissa spettante alla dipendente qualora rientrasse in servizio”. L’Agenzia delle Entrate potrebbe avere voluto evitare scambio di compenti monetarie con servizi di welfare; nel caso di specie, difatti, sempre citando l’interpello, l’Amministrazione ritiene che “le somme in oggetto debbano assumere valenza reddituale ai sensi dell’art. 51, comma 1 TUIR rappresentando un'erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile, rispondono a finalità retributive”. Non può che auspicarsi un tempestivo nuovo intervento da parte dell’Agenzia delle Entrate che possa sgombrare il campo da qualsiasi dubbio che lavoratrici madri e ipotesi similari rappresentino una categoria nel senso voluto dalla legislazione fiscale. Copyright © - Riproduzione riservata