Per quanto riguarda la maternità, il nostro ordinamento prevede che la lavoratrice subordinata sia profondamente tutelata per tutta la durata della gravidanza e nel puerperio, proprio in virtù della delicatezza del momento che accompagna l’evento sotto il profilo psicologico ed emozionale. Per questa ragione, è, di base, sempre prevista la conservazione del posto di lavoro unitamente al divieto di licenziamento. Tuttavia, sono previste alcune peculiari fattispecie al ricorrere delle quali il datore di lavoro può recedere dal rapporto senza dover attendere il termine del periodo tutelato. Quali sono?
Ai sensi del Testo Unico sulla genitorialità, le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino (art. 54, D.Lgs. n. 151/2001).
Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso di tale periodo, può presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza all'epoca del licenziamento delle condizioni che lo vietavano.
Il divieto opera anche nel caso in cui il datore di lavoro sia inconsapevole, alla data del licenziamento, dello stato della lavoratrice. |
Il
licenziamento intimato in violazione delle norme a tutela della maternità è
nullo, con la conseguenza che il
rapporto va considerato come
mai interrotto e che la lavoratrice ha diritto alla
riammissione in
servizio e alla
retribuzione maturata.
Si tratta di una norma che dà sostanza alla previsione dettata dall'
art. 37 della
Costituzione, che impone alla legge di impedire che possano, dalla maternità e dagli impegni connessi alla cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie.
Questo livello di tutela si applica in riferimento non soltanto alla conservazione dell'impiego, ma anche al fine di evitare che, nel relativo periodo di tempo intervengano, in relazione al rapporto di lavoro, comportamenti che possano turbare ingiustificatamente la condizione della donna ed alterare il suo equilibrio psicofisico, con serie ripercussioni sulla gestazione o, successivamente, sullo sviluppo del bambino (Corte Costituzionale, sentenza 8 febbraio 1991, n. 61).
Ai sensi dell’art. 2, comma 2, Legge n. 1204/1971, è nullo il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino.
In caso di
morte perinatale, il divieto di licenziamento vige nei
3 mesi successivi al
parto. Nell’ipotesi in cui l’evento si verifichi
dopo il periodo di
astensione obbligatoria e
prima del compimento di
un anno di età del
bambino, il divieto di licenziamento cessa
10 giorni dopo la sua morte.
Per la determinazione del periodo di gravidanza, si presume che il
concepimento sia avvenuto
300 giorni prima della data del
parto indicata nel certificato medico.
Tuttavia, anche il divieto di licenziamento delle lavoratrici madri prevede alcune deroghe (art. 54, comma 3, D.Lgs. n. 151/2001), vediamo quali sono.
Colpa grave della lavoratrice
L’individuazione dei fatti che legittimano la risoluzione del rapporto di lavoro deve essere effettuata in maniera rigorosa, tenendo conto delle particolari condizioni psicofisiche della lavoratrice (Cass. 17 agosto 2004, sent. n. 16060).
Non è sufficiente accertare la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento, ma è necessario verificare, con onere probatorio a carico del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2697, c.c., se sussista quella colpa prevista specificatamente dalla norma suddetta, per la richiesta connotazione di gravità, e non semplicemente quella cui si riferisce la legge o la disciplina collettiva per casi generici di infrazione o di inadempimento sanzionati con la risoluzione del rapporto. |
Scadenza del termine apposto al contratto
Con riferimento all’ultimazione delle prestazioni per le quali la lavoratrice è stata assunta o di scadenza del termine apposto al contratto a tempo determinato, la legge si riferisce solo all’ipotesi del contratto di lavoro a tempo determinato; pertanto, è
illegittimo il
licenziamento intimato nell’ambito di uno specifico
appalto, se subentra alla società datrice di lavoro un’altra società che aveva assunto tutti i dipendenti eccetto una lavoratrice assente per maternità e assunta a
tempo indeterminato (Cass. 27 agosto 2003 n. 12596).
Esito negativo della prova
Il
licenziamento per mancato superamento del periodo di prova è
legittimo solo se il datore di lavoro è in grado di
motivare il
giudizio negativo circa l’esito della prova, al fine di escludere con ragionevole certezza che esso sia stato determinato dallo stato di gravidanza (Corte Cost. 31 maggio 1996, sent. n. 172).
Cessazione dell’attività d’impresa
La
previsione vigente in tema di cessazione o chiusura dell'azienda deve essere
interpretata in modo restrittivo. Occorre precisare che la possibilità di operare il licenziamento della lavoratrice madre non si estende al caso di chiusura di un singolo reparto in cui opera la dipendente (Corte di Cassazione, sent. n. 14515/2018).
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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/04/09/maternita-casi-eccezionali-possibile-licenziare-lavoratrice