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Archivio newsContratto di prossimità: la retribuzione deve essere adeguata al CCNL più rappresentativo
Con la sentenza n. 1751 del 2024 il Tribunale di Napoli ha definito l’ambito applicativo del contratto di prossimità. In particolare, i Giudici hanno riconosciuto la piena legittimità delle richieste creditorie del lavoratore osservando che il CCNL applicato dal datore, preso in esame per giustificare le differenze retributive, era carente del requisito della rappresentatività. Da un esame accurato tra questo contratto e quello sottoscritto da altre sigle sindacali dotate di una rappresentatività comparata maggiore sul piano nazionale, il Tribunale ha infatti rilevato “scostamenti di retribuzione elevati” tali da ledere il principio costituzionale della proporzionalità in relazione alla quantità ed alla qualità del lavoro. Il datore di lavoro come può legittimamente utilizzare il contratto di prossimità?
Il contratto di prossimità, previsto dall’art. 8 del D.L. n. 138/2011, è stato, sovente, considerato una sorta di strumento di facile uso, finalizzato a derogare specifiche disposizioni di legge o di contratto collettivo, su alcune materie che riguardano, da vicino, l’organizzazione del lavoro in azienda. I giudici e la stessa Consulta (pur ritenendo la norma non illegittima sotto l’aspetto costituzionale) hanno tenuto a puntualizzare che, trattandosi di un accordo che va, tra le altre cose, a limitare l’operatività della legge, occorre che la procedura, prevista nei due primi commi dell’art. 8, sia rispettata in ogni singolo passaggio. Prima di procedere all’esame di una recente sentenza del Tribunale di Napoli, la n. 1751 del 7 marzo 2024, reputo necessario effettuare un breve riassunto della previsione contenuta nell’art. 8. Contratti ed accordi collettivi I contratti ed accordi collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori (ivi compresi quelli non iscritti alle associazioni stipulanti), a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze sindacali con precisi obiettivi di scopo così delineati: a) maggiore occupazione; b) qualità dei contratti di lavoro; c) adozione d forme di partecipazione del personale dipendente; d) emersione del lavoro irregolare; e) incrementi di competitività e di salario; f) gestione delle crisi aziendali e occupazionali; g) investimenti ed avvio di nuove attività. Il comma 2 indica le materie sulle quali le parti possono intervenire anche in azienda. Si tratta di disposizioni legali e contrattuali di estrema importanza che coinvolgono quasi tutta la materia del lavoro applicabile in azienda (con l’eccezione di quelle che riguardano la sicurezza sul lavoro) e che concernono: a) gli impianti audiovisivi e l’introduzione di nuove tecnologie; b) le mansioni, la classificazione e l‘inquadramento del personale; c) i contratti a termine e quelli ad orario ridotto, modulato o flessibile, il regime della solidarietà negli appalti, ed i casi di ricorso alla somministrazione; d) l’orario di lavoro; e) le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative e le partite iva, la trasformazione e la conversione dei contratti di lavoro e le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio ed il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio. Il successivo comma 2-bis afferma che gli accordi territoriali ed aziendali realizzati in tal modo, fermo restando il rispetto della Costituzione ed i vincoli derivanti da normative comunitarie (Direttive e Regolamenti) ed internazionali (ad esempio, accordi bilaterali con Paesi extra CEE), operano in deroga sia alla leggi che disciplinano le materie indicate al comma 2 che alle regolamentazioni dei contratti collettivi nazionali: tali accordi sono efficaci nei confronti di tutto il personale a condizione che siano approvati dalla maggioranza dei lavoratori, chiamati al voto. La sentenza del Tribunale di Napoli Dopo questa breve premessa entro nel merito della decisione del Tribunale di Napoli al quale si era rivolto un lavoratore chiedendo che il datore di lavoro desse seguito alla diffida accertativa per crediti patrimoniali ex art. 12 del D.L.vo n. 124/2004, emessa dall’Ispettorato del Lavoro di Perugia, per differenze retributive tra quanto percepito ed il trattamento economico previsto dal CCNL. Il datore di lavoro (impresa cooperativa) si era opposto sostenendo di aver sottoscritto con una organizzazione sindacale un contratto di prossimità finalizzato, come obiettivo di scopo, a “garantire una maggiore occupazione, una fase di avviamento aziendale più agevole e la qualità del CCNL”, in cambio di alcune deroghe in materia retributiva. Il Tribunale di Napoli ha riconosciuto la piena legittimità delle richieste del lavoratore (e dell’azione svolta dall’Ispettorato del Lavoro che, nel caso di specie, non ha arrestato la propria azione avanti alla produzione di un contratto di prossimità), osservando che il CCNL applicato dal datore (commercio Confsal) era “carente del requisito della rappresentatività”: a tale conclusione il giudice di merito era giunto sulla base sia dei precedenti giurisprudenziali contenuti nella sentenza della Cassazione n. 3341/1998, che di quelli amministrativi, rappresentati dalla nota del Ministero del Lavoro n. 10310/2012. Da un esame accurato tra questo contratto e quello sottoscritto da altre sigle sindacali dotate di una rappresentatività comparata maggiore sul piano nazionale, il Tribunale ha rilevato “scostamenti di retribuzione elevati” tali da ledere il principio costituzionale della proporzionalità in relazione alla quantità ed alla qualità del lavoro, secondo i principi di diritto elaborati dalla sentenza della Cassazione n. 3713/2023 sul “salario minimo”. Passando all’esame del contratto di prossimità, il Tribunale ricorda che la riduzione di retribuzione è, comunque, illegittima in quanto l’obiettivo di scopo, previsto dal comma 1 dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011, non può essere definito come intervento alla “disciplina del rapporto di lavoro, atteso che non sussiste alcuna contestualità tra la riduzione retributiva che ha avuto effetto immediato e la riorganizzazione complessiva del lavoro”. Il contratto di prossimità presenta una caratteristica di eccezionalità che si concretizza in una deroga alla legge, come ha ribadito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 52/2003. Di conseguenza è necessario che: a) i soggetti stipulanti siano appartenenti ad organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, nel settore, a livello nazionale; b) l’obiettivo di scopo al quale “agganciare” la deroga legislativa sia ben specificato e raggiunto, proprio per dare forza a quanto stabilito nell’accordo sottoscritto; c) l’accordo, per avere efficacia “erga omnes”, deve essere approvato dalla maggioranza dei lavoratori; d) l’art. 36 della Costituzione ha una immediata precettività, nel senso che una possibile riduzione non può, minimamente, intaccare il principio della retribuzione correlata alla quantità e qualità del lavoro”. In conclusione, si può affermare che i contratti di prossimità aziendali sono possibili, ma tutti i passaggi normativi previsti nei commi 1 e 2 dell’art. 8 debbono essere rigorosamente rispettati. Copyright © - Riproduzione riservata