News
Archivio newsEuropa e competitività, anche nel mercato del lavoro. La “ricetta” di Mario Draghi
Nel discorso di fronte alla Conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali, Mario Draghi ha spiegato le linee guida del rapporto sul futuro della competitività europea che gli è stato commissionato dalla Presidenza della Commissione UE e che sarà consegnato al Consiglio europeo. Un rapporto fatto di linee strategiche innovative per ridefinire un’Unione europea che sia capace di fronteggiare le sfide politiche ed economiche che il mondo ci mette davanti. La parola chiave è “indipendenza”. E nel mondo del lavoro? Secondo Draghi, un “input cruciale […] la nostra offerta di lavoratori qualificati” […]. “Con le società che invecchiano e gli atteggiamenti meno favorevoli nei confronti dell’immigrazione, avremo bisogno di trovare queste competenze internamente”. Siamo, insomma, a un crocevia della storia: l’Unione europea deve ritrovare l’ambizione dei Padri Fondatori e agire con spirito unitario.
“I nostri rivali ci stanno precedendo perché possono agire come un unico Paese con un’unica strategia e allineare dietro di essa tutti gli strumenti e le politiche necessarie. Se vogliamo eguagliarli, avremo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri - una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i Padri Fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio.” Con questa robusta asserzione Mario Draghi ha concluso il suo discorso di fronte alla Conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali il 17 aprile 2024. Il discorso aveva lo scopo di presentare alle parti sociali, ospiti della conferenza, le linee guida del rapporto sul futuro della competitività europea che gli è stato commissionato dalla Presidenza della Commissione UE e che sarà consegnato al Consiglio europeo in giugno. Un rapporto fatto di linee strategiche innovative per ridefinire un’Unione europea che sia capace di fronteggiare le sfide politiche ed economiche che il mondo ci mette davanti. Il ragionamento di Draghi può essere riassunto in una parola: indipendenza. L’Unione europea è oggi la chiave per mantenerci indipendenti di fronte alla forza degli altri maggiori attori globali. Afferma, infatti Draghi che “in un ambiente internazionale favorevole, abbiamo confidato nella parità di condizioni globali e nell’ordine internazionale basato su regole, aspettandoci che altri facessero lo stesso. Ma […] altre regioni non rispettano più le regole e stanno elaborando attivamente politiche per migliorare la loro posizione competitiva. Nella migliore delle ipotesi, queste politiche sono progettate per reindirizzare gli investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre; e, nel peggiore dei casi, sono progettati per renderci permanentemente dipendenti da loro”. “La Cina - osserva Draghi - mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento di tecnologie verdi e avanzate e sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie.” Gli Stati Uniti “stanno utilizzando una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali di alto valore all’interno dei propri confini - compresa quella delle aziende europee - mentre utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti e dispiegano il proprio potere geopolitico per riorientare e proteggere catene di approvvigionamento”. Nota Draghi che “per molto tempo la competitività è stata una questione controversa per l’Europa. Nel 1994, il futuro economista premio Nobel Paul Krugman definì l’attenzione alla competitività una ‘pericolosa ossessione’. La sua tesi era che la crescita a lungo termine deriva dall’aumento della produttività, che avvantaggia tutti, piuttosto che dal tentativo di migliorare la propria posizione relativa rispetto agli altri e acquisire la loro quota di crescita. L’approccio adottato nei confronti della competitività in Europa, dopo la crisi del debito sovrano, sembrava dimostrare la sua tesi. “Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale prociclica: l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale. Ma la questione fondamentale non è che la competitività sia un concetto errato. Il fatto è che l’Europa ha avuto un focus sbagliato. Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo i nostri concorrenti tra di noi, anche in settori come la difesa e l’energia in cui abbiamo profondi interessi comuni. Allo stesso tempo, non abbiamo guardato abbastanza verso l’esterno: con una bilancia commerciale positiva, dopo tutto, non abbiamo prestato sufficiente attenzione alla nostra competitività all'estero come una seria questione politica”. Dunque, un’interpretazione sbagliata dell’ambiente globale e della questione della competitività. Le dinamiche economiche sono state considerate senza tener conto del loro contenuto politico, ossia, senza considerare l’Europa come una entità nella quale l’interno doveva essere unitario per confrontarsi con un esterno aggressivo. Creando, in questo modo, danni alla capacità delle imprese e alla condizione dei lavoratori e, in ultima analisi, gravi conseguenze sociali. Mettendo, in questo modo, a rischio la nostra capacità di reggere l’urto di potenze economiche che competono per la supremazia globale. L’Unione europea che emergerà dalle consultazioni di giugno avrà l’occasione di darsi un nuovo assetto, rendendosi competitiva nella direzione per la quale Draghi individua alcune linee guida fondamentali. Insomma, una “UE adatta al mondo di oggi e di domani” deve “preparare un cambiamento radicale” e in definitiva “realizzare la trasformazione dell’intera economia europea”. Ragionare, insomma, e agire in termini integrati, di fatto nazionali, nell’energia e nella decarbonizzazione, nella sicurezza e nella difesa, nella manifattura dei settori più innovativi e in rapida crescita e puntando alla leadership nel deep-tech e nel digitale. Operando, per far questo, su tre filoni comuni ed essenziali per gli interventi politici: la scalabilità nella forma di un’economia di dimensione continentale che venga sottratta alla frammentazione e investa in un mercato interno di 450 milioni di consumatori; la distribuzione dei beni pubblici, come le reti energetiche, e in particolare le interconnessioni; una strategia globale che copra tutte le fasi della catena di approvvigionamento di minerale fondamentale, riducendo la dipendenza dai Paesi non affidabili. E poi c’è il lavoro. Draghi, parlando di fronte alle parti sociali che partecipavano alla Conferenza, punta l’attenzione su quella che definisce un “input cruciale […] la nostra offerta di lavoratori qualificati”. Gli stessi, in ultima analisi, che rappresentano quel mercato interno di 450 milioni di consumatori, chiudendo il cerchio di una visione economico-politica limpidamente Keynesiana. “Con le società che invecchiano e gli atteggiamenti meno favorevoli nei confronti dell’immigrazione, avremo bisogno di trovare queste competenze internamente. Molteplici parti interessate dovranno lavorare insieme per garantire la pertinenza delle competenze e definire percorsi flessibili di miglioramento delle competenze.” Siamo, insomma, a un crocevia della storia. L’Unione europea deve ritrovare l’ambizione dei fondatori. Agire con spirito unitario, per essere forte, indipendente ed equa e poter far fronte a competitori reali, che sono duri e determinati. Copyright © - Riproduzione riservata