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Carcere, formazione e lavoro: verso un nuovo progetto per il reinserimento sociale

Il rapporto tra carcere e lavoro, oltre che un efficace strumento di prevenzione di nuova criminalità, rappresenta un fattore cruciale di risocializzazione e di riabilitazione del detenuto. Purtroppo, però, il numero dei detenuti occupati in lavori che consentano l'acquisizione di specifiche professionalità da spendere in futuro sul mercato lavorativo continua a rimanere troppo esiguo. Per migliorare la situazione sono state intraprese delle iniziative interistituzionali che individuano il lavoro e la formazione al lavoro, in attuazione dei princìpi garantiti dall'art. 4 della Costituzione, come attività che concorrono al progresso sociale. Quali sono gli interventi previsti?

Da varie legislature il Parlamento è depositario di varie proposte di legge secondo le quali in un sistema in cui l'esecuzione delle pene, in base all'art. 27 della Costituzione, deve tendere alla rieducazione del condannato, il rapporto tra carcere e lavoro - oltre che un formidabile strumento di prevenzione di nuova criminalità - rappresenta un fattore cruciale di risocializzazione e di riabilitazione del detenuto. È un dato acquisito, infatti, che il detenuto il quale abbia avuto la possibilità di lavorare e di imparare un mestiere, una volta in libertà, difficilmente cade nella recidiva. D'altra parte il diritto alla non esclusione dall'accesso al lavoro è direttamente desumibile, anche per il detenuto, dall'art. 4 della Costituzione ed è specificamente sancito, per il suo significato rieducativo, dall'art. 20 della legge n. 354 del 1975 (che reca norme sull'ordinamento penitenziario) il quale, tra l'altro, stabilisce che l'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire al detenuto una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative, così da permetterne un proficuo reinserimento sociale. Carcere e attività lavorativa Purtroppo, il numero dei detenuti occupati in lavori che consentano l'acquisizione di specifiche professionalità da spendere in futuro sul mercato lavorativo continua a rimanere troppo esiguo. I dati a disposizione mostrano che la grande maggioranza dei reclusi continua a essere impiegata in attività d'istituto, cioè in piccoli lavori alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, quali servizi di manutenzione degli edifici, di pulizia all'interno delle zone detentive, comprese le aree destinate alle attività in comune, ovvero presso le cucine in cui vengono preparati i pasti per i detenuti e nella distribuzione degli stessi, o ancora nell'ambito delle infermerie. Il lavoro interno alle dipendenze dell'amministrazione resta, comunque, insufficiente e le direzioni degli istituti, per mantenere un sufficiente livello occupazionale tra la popolazione detenuta, tendono a ridurre l'orario di lavoro pro-capite e a effettuare la turnazione sulle posizioni lavorative. Si tratta, sostanzialmente, di una strategia che, tenendo occupato anche parzialmente il maggior numero di reclusi, contribuisce a contenere e a gestire disagi o tensioni che possono caratterizzare la vita in carcere, anche in considerazione del fatto che si tratta comunque di attività le quali rappresentano una pur misera fonte di sostentamento per la maggior parte della popolazione detenuta. Dal punto di vista del fine rieducativo e formativo, tuttavia, si tratta di attività del tutto inadeguate. Tra l'altro, tale lavoro - che dovrebbe venire retribuito in misura non inferiore ai due terzi del trattamento previsto nei contratti collettivi dei diversi settori non vede adeguate ai nuovi contratti, per carenza di risorse economiche, le cosiddette mercedi dei detenuti (situazione che ha portato a un notevole contenzioso davanti al giudice del lavoro, con l'amministrazione sempre soccombente). Agevolazioni per chi assume detenuti Per quanto riguarda il lavoro penitenziario alle dipendenze di enti esterni, le agevolazioni previste dalla legge n. 193 del 2000 (cosiddetta legge Smuraglia) - consistenti in sgravi contributivi e crediti d'imposta alle cooperative o alle imprese che assumono detenuti o svolgono attività formativa nei confronti degli stessi - non hanno prodotto, nonostante qualche miglioramento, i risultati sperati. Come in passato, anche dopo tale legge le variazioni nelle percentuali dei detenuti occupati sono risultate, infatti, marginali. Contribuiscono a un tale stato delle cose una serie di fattori: lo scarso favore con cui l'imprenditore vede l'impossibilità di controllare direttamente il dipendente che svolge il proprio lavoro all'interno del carcere; la questione della sicurezza e l'onerosità dei controlli; il fatto che la manodopera detenuta sia notoriamente meno qualificata professionalmente e meno produttiva di quella reperibile ordinariamente sul mercato del lavoro (anche per la rigidità dell'organizzazione della giornata dei detenuti), la scarsa o nulla disponibilità di impianti o strumenti produttivi moderni (non a caso, l'attività lavorativa più facilmente praticabile in carcere è quella artigianale). Si tratta di una realtà difficile che merita risposte forti da parte del legislatore. Ciò, naturalmente, pur tenendo conto delle attuali difficoltà del mercato del lavoro. Nuove iniziative parlamentari Dunque, traendo anche spunto dai vari testi depositati l’opportunità individuata da parte del Ministro Nordio e parte del Governo in collaborazione con il CNEL presieduto da Renato Brunetta ha buone prospettive di sviluppo sulla direttrice che vede il lavoro e la formazione al lavoro, in attuazione dei princìpi garantiti dall'art. 4, secondo comma, della Costituzione, come attività che concorrono al progresso materiale o spirituale della società. Vero è che il lavoro o la formazione al lavoro devono essere quanto più possibile assicurati e garantiti in modo continuativo a tutte le persone sottoposte a restrizione della libertà personale prevedendo, in particolare, che il lavoro possa essere svolto all'interno delle istituzioni detentive, con un rapporto dipendente dall'amministrazione penitenziaria o da enti ammessi a organizzare attività lavorative all'interno delle medesime istituzioni, oppure nella forma del lavoro all'esterno, secondo le modalità definite nel piano individualizzato di trattamento di ciascun detenuto o nelle prescrizioni connesse alla misura alternativa della detenzione domiciliare; introducendo altresì la possibilità dello svolgimento del lavoro in forma autonoma. L'amministrazione penitenziaria è chiamata in tal senso ad adoperarsi per assicurare quanto più possibile il lavoro, subordinato o autonomo, alle persone sottoposte a restrizione della libertà personale che lo richiedono, privilegiando attività lavorative che assicurano l'inserimento lavorativo della persona detenuta dopo la fine dei provvedimenti restrittivi della libertà personale. Le attività di lavoro subordinato, comprese quelle di formazione al lavoro che comprendano un'attività produttiva, svolte da persone detenute dovranno prevedere una retribuzione equa che si rapporti a quella da corrispondere, per le mansioni svolte, al lavoratore libero (formula, questa, che offre un indirizzo chiaro, lasciando peraltro un rilevante margine valutativo in considerazione delle risorse disponibili), tenuto conto sia della peculiare finalità di reinserimento sociale che caratterizza il lavoro svolto da tali persone, sia del necessario coordinamento con le altre attività di carattere rieducativo previste dalla legge n. 354 del 1975 e seguenti provvedimenti, sia dell'esigenza di garantire alla persona, per quanto possibile, versamento continuativo di adeguati contributi previdenziali. Dovranno, inoltre, essere opportunamente regolamentati, sotto il profilo sia giuridico sia fiscale, nonché ai fini dei versamenti previdenziali, i casi in cui il lavoro svolto da persone detenute assume forme autonome. Nel caso in cui risulti impossibile assicurare l'accesso ad attività di lavoro o di formazione al lavoro delle persone detenute o queste ultime non ne facciano richiesta è previsto, comunque, lo svolgimento da parte delle medesime, nell'ambito dell'istituzione detentiva o nell'ambito della detenzione domiciliare, di attività che concorrono al progresso materiale o spirituale della società, fra le quali può essere compresa la partecipazione volontaria, all'esterno dell'istituzione detentiva o del luogo di detenzione domiciliare, a progetti di protezione civile, di tutela o promozione del patrimonio storico, artistico o archeologico, di salvaguardia ambientale o, comunque, di pubblica utilità. Salvaguardando anche la dignità della persona e prevenendo negli istituti minorili anche deterioramento e proseguimento della povertà educativa e della devianza. In questo contesto Il Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile- di cui all'art. 1, comma 392, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 tenendo conto delle emergenze che coinvolgono sempre di più minorenni ha, nel suo programma (operativo presso la Presidenza Del Consiglio dei Ministri, ) approvato un concreto coinvolgimento tra gli altri anche come esperti, tre preti sociali: Patriciello, Coluccia e Burgio per orientare anche i progetti da finanziare con il Fondo sui temi del disagio giovanile. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/04/29/carcere-formazione-lavoro-progetto-reinserimento-sociale

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