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Archivio newsImpedimento alla vigilanza: arresto fino a due mesi per chi non risponde alle PEC dell’Ispettorato del lavoro
Con la sentenza n. 5992 del 2024, la Corte di Cassazione si è espressa in materia di impedimento all’attività di vigilanza. I Giudici della Suprema Corte hanno affermano che l'omessa risposta del datore di lavoro alla richiesta di notizie da parte dell'Ispettorato del lavoro integra il reato punibile con l’arresto fino a due mesi, anche a titolo di colpa, in caso di invio di tale richiesta all'indirizzo PEC della società indicato nel Registro delle imprese. Le ragioni della decisione risiedono nel valore della posta elettronica certificata quale mezzo legale di comunicazione per le società, in quanto offre garanzie di accertamento sulla data di spedizione e di ricevimento da parte del legale rappresentante. Attenzione quindi a non rispondere alle richieste dell’Ispettorato del lavoro.
Anche l'omessa risposta alla richiesta di dati e notizie trasmessa via Pec dall'Ispettorato del lavoro integra il reato di impedimento alla vigilanza. E’ quanto afferma la Cass. Penale, Sez. III, con la sentenza n. 5992 del 2024. Impedimento all’attività di vigilanza In caso di controlli sul lavoro, il corretto svolgimento dell’attività di vigilanza svolta dal personale ispettivo non può essere interrotta, intralciata ovvero turbata. Le principali ipotesi di impedimento al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza sono: - impedire all’ispettore di accedere sui luoghi di lavoro; - tenere condotte dilatorie finalizzate ad eludere o ritardare l’attività ispettiva; - turbare con minacce o comportamenti il regolare svolgimento dell’attività di accertamento; - presenza non richiesta del datore di lavoro o del consulente nel corso dell’acquisizione da parte dell’ispettore, delle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori o da terzi; - non fornire all’ispettore, nei tempi richiesti, informazioni, documenti o i libri obbligatori. Nel caso in cui si verifichino situazioni analoghe a quelle sopra indicate, oltre all’eventuale richiesta d’intervento della forza pubblica per accedere sul luogo di lavoro, il personale ispettivo può adottare, nei confronti di coloro che impediscono il regolare svolgimento dell’attività ispettiva, idonei provvedimenti sanzionatori. Fra questi vi è la contravvenzione prevista dall’art. 4, comma 7, della Legge n. 628/1961 secondo cui “Coloro che, legalmente richiesti dall'Ispettorato di fornire notizie a norma del presente articolo, non le forniscano o le diano scientemente errate ed incomplete, sono puniti con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a 516 euro”.Si fa presente che, per i Giudici di legittimità, non costituisce reato la condotta omissiva del datore di lavoro al quale sia stata genericamente richiesta la trasmissione della “documentazione di lavoro”. Infatti, è penalmente sanzionabile solo la mancata risposta a richieste d'informazioni specifiche e strumentali rispetto ai compiti di vigilanza e di controllo dell'Ispettorato (Cass. III Sez.Pen., Sent. n. 12523 del 20 aprile 2020). Inoltre, si sottolinea il fatto che, per effetto dell’indeterminatezza dei soggetti destinatari delle richieste del personale ispettivo (il riferimento è a “Colore che…”), questa sanzione può essere applicata non soltanto al datore di lavoro, ma anche a carico di chiunque realizzi la suddetta condotta illecita (es. lavoratori reticenti o che forniscono dichiarazioni non veritiere/incomplete, consulenti che ostacolano il corretto svolgimento dei controlli, ecc.). Pur non trattandosi (in senso stretto) di violazione in materia di lavoro, o legislazione sociale né in materia di igiene e sicurezza, si ritiene che per questa violazione penale sia comunque applicabile l’istituto premiale della prescrizione obbligatoria, con contestuale comunicazione della notizia di reato all’Autorità giudiziaria (art. 347 C.p.p.). Difatti, l’ampia portata dell’art. 15, del D.Lgs. n. 124/2004 consente di considerare in maniera più estesa l’attivazione della procedura prescrittiva. All’atto pratico ciò comporta che, se il contravventore adempie alla prescrizione impartita regolarizzando la condotta e/o rimuovendo gli ostacoli frapposti, l’ispettore (in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria) ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa nel termine di 30 gg., una sanzione pari 129,00 euro (un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa) ed il reato si estingue. In caso di inottemperanza, invece, viene data, entro novanta giorni, comunicazione dell’inadempimento all’Autorità giudiziaria ed al contravventore e il procedimento penale - nel frattempo sospeso - riprende il suo corso (artt. 20 e 21, D.Lgs. n. 758/1994). Richieste trasmesse tramite posta Oltre che con consegna diretta nel corso dell’accertamento (con verbale di primo accesso ispettivo, con verbale interlocutorio, ecc.), la richiesta di informazioni, notizie e documentazione necessaria allo svolgimento della verifica ispettiva può essere effettuata anche tramite servizio postale. Al riguardo, con nota n. 1724 del 25 agosto 2022, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha chiarito che l’inottemperanza da parte del datore di lavoro alla richiesta di documenti formalizzata con il verbale di primo accesso ispettivo, che si esplichi attraverso la condotta omissiva del mancato ritiro della raccomandata contenente il verbale, o del rifiuto di firmare il ritiro, può integrare una condotta omissiva sanzionabile ai sensi: - dell’art. 4, co. 7, Legge n. 628/1961; - dell’art. 3, co. 3, D.L. 463/1983 conv. in Legge n. 638/1983. Il precetto si incentra, dunque, sulla richiesta legale da parte dell'Ispettorato del lavoro, cui il destinatario non risponda o risponda in modo consapevolmente scorretto. Per questo motivo, l'effettiva conoscenza della richiesta deve essere ritenuta necessaria, perché fonte diretta dell'obbligo sanzionato penalmente, cosicché non può essere ritenuta sufficiente una notificazione per compiuta giacenza, la quale esclude, per definizione, l'effettiva conoscenza dell'atto da parte del destinatario (Cass., Terza sez. Penale, Sent. n. 15237/2023). Con la sentenza n. 5992 del 12 febbraio 2024, la Suprema Corte è ritornata sull’argomento ma ha spostato l’attenzione sulla trasmissione delle richieste per mezzo della posta elettronica certificata. In particolare, gli Ermellini affermano che l'omessa risposta del datore di lavoro alla richiesta di notizie da parte dell'Ispettorato del Lavoro integra il reato punibile anche a titolo di colpa previsto dall'art. 4, Legge 22 luglio 1961, n. 628 in caso di invio di tale richiesta all'indirizzo Pec della società indicato nel Registro imprese. Difatti, essendo la posta elettronica certificata un mezzo legale di comunicazione per le società, essa offre garanzie di accertamento sulla data di spedizione e di ricevimento da parte del legale rappresentante. La S.C. chiarisce, inoltre, che a nulla rileva l'eventuale contingente impossibilità ad accedere alla casella Pec, considerando che tale reato "ha natura di contravvenzione, onde rilevano sia il dolo che la colpa, che sono titoli soggettivi dell'imputazione dell'illecito alternativi e del tutto equiparabili, sicché anche la colpa rileva come titolo di integrazione del reato.". 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