La messa alla prova è un istituto grazie al quale, in relazione alla commissione di determinati reati e nei casi previsti dalla norma, l'imputato può chiedere la sospensione del processo con il suo affidamento all'Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) affinché svolga determinate attività secondo un programma di trattamento prestabilito. Obiettivo è la riparazione delle conseguenze dannose del reato e, se possibile, il risarcimento del danno cagionato. Qualora la messa alla prova abbia esito positivo, il reato si considererà estinto, in caso contrario si avrà la revoca del beneficio con conseguente prosecuzione del processo. Questo istituto si può applicare anche agli enti? Per saperlo va analizzata la giurisprudenza.
La messa alla prova è un istituto introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 67/2014, ed è previsto e disciplinato dall'art. 168 bis e ss., c.p., il quale dispone che, in relazione alla commissione di determinati reati e nei casi previsti dalla norma, l'imputato possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.
In caso di ammissione alla messa alla prova, si prevede l'affidamento dell'imputato all'Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) affinché svolga determinate attività secondo un programma c.d. di trattamento prestabilito al fine della riparazione delle conseguenze dannose del reato e, se possibile, al risarcimento del danno cagionato. Qualora la messa alla prova abbia esito positivo, il reato si considererà estinto, in caso contrario si avrà la revoca del beneficio con conseguente prosecuzione del processo.
Trattandosi di un istituto funzionale sia alla rieducazione del reo che alla riparazione dei danni cagionati alla comunità, ma originariamente pensato per le persone fisiche, ci si è legittimamente interrogati circa la sua applicabilità agli enti nell’ambito della responsabilità ex D.Lgs. 231/2001.
Sul punto, la Corte di Cassazione si è espressa molto chiaramente con la sentenza n. 14840/2023 pronunciata a Sezioni Unite. Tuttavia, alcuni giudici di merito si sono distaccati dall’arresto, assumendo decisioni contrarie.
Responsabilità ex D.Lgs. n. 231/2001, la messa alla prova dell’ente alla luce della giurisprudenza recente.
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Sentenza n. 14840/2023 delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione
All’udienza del 27 ottobre 2022 le Sezioni Unite si sono trovate a dover esaminare la questione relativa alla legittimazione del procuratore generale ad impugnare, con ricorso per cassazione, l’ordinanza che ammette l’imputato alla messa alla prova ai sensi dell’art. 464-bis c.p.
In quell’occasione, la Suprema Corte ha affermato in modo categorico che l’istituto dell’ammissione alla prova (art. 168-bis c.p.) non trova applicazione con riferimento agli enti di cui al D.Lgs. n. 231/2001.
Osserva la Cassazione, le norme sulla messa alla prova non contengono riferimenti agli enti quali possibili destinatari di esse e neppure le norme del D.Lgs n. 231/2001, sebbene introdotte prima di quelle disciplinanti l'istituto per gli imputati maggiorenni, contengono richiami che facciano pensare ad una applicabilità della messa alla prova.
Fino a quel momento, l’applicazione estensiva della messa alla prova agli enti aveva condotto a decisioni contrastanti nella giurisprudenza di merito.
C’erano conclusioni ostative fondate perlopiù sull’assunto che in assenza di una normativa di raccordo che renda applicabile la disciplina di cui all'art. 168-bis c.p. alla categoria degli enti, deriva che l'istituto in esame, trattandosi di misura penale con carattere afflittivo, in virtù del principio della riserva di legge, non risulta applicabile ai casi non espressamente previsti e, quindi, alle società. Altra argomentazione ha invece toccato il tema della “incompatibilità strutturale tra la disciplina della messa alla prova e quella della responsabilità amministrativa degli enti, connotate da ratio diverse, inconciliabili negli aspetti sostanziali ed anche processuali” (
Trib. Bologna, 10/12/2020).
Le Corti che hanno invece optato per l'ammissione alla prova dell'ente, hanno adottato un'interpretazione estensiva o analogica dell'art. 168-bis c.p., ad esempio evidenziando che l'ammissibilità dell'ente è subordinata all'essersi dotata, prima del fatto di “un modello organizzativo valutato inidoneo dal giudice, poiché solo in questo caso sarebbe possibile formulare un giudizio positivo in ordine alla futura rieducazione dell'ente, che dimostrerebbe così di essere stato diligente e di aver adottato un modello ritagliato sulle proprie esigenze specifiche per quanto valutato non idoneo dal giudice” (
Trib. Modena, 19/10/2020).
Le Sezioni Unite hanno però sposato l'interpretazione secondo cui l'istituto della messa alla prova non può essere applicato agli enti, poiché “la responsabilità amministrativa dell'ente deve ritenersi concettualmente inquadrabile in un tertium genus, alla stregua dei principi condivisibilmente sanciti dalla sentenza Espenhahn, la messa alla prova ex art. 168-bis c.p. deve, invece, inquadrarsi nell'ambito di un “trattamento sanzionatorio” penale”. In altri termini, la responsabilità amministrativa da reato è un qualcosa di diverso da quella penale, e la messa alla prova deve ricondursi a un trattamento sanzionatorio di natura penale, pertanto, “deve ritenersi che l’istituto della messa alla prova non può essere applicato agli enti, a ciò ostando, innanzitutto, il principio di riserva di legge, di cui all’art. 25, secondo comma, della Costituzione”.
Quali sono le pronunce in contrasto con le Sezioni Unite
Nonostante la sentenza delle Sezioni Unite poc’anzi citata, c’è chi ha intrapreso una direzione opposta.
Il
Tribunale di Bari, infatti, nel
giugno 2022, aveva ammesso all’istituto un ente che aveva poi adempiuto correttamente alle prescrizioni oggetto del programma di trattamento. Di conseguenza, il giudice di merito ha pronunciato sentenza di non doversi procedere nei in quanto l’illecito si sarebbe estinto a seguito dell’esito positivo della messa alla prova.
Nelle more del procedimento in esame, però, era intervenuta la citata sentenza delle Sezioni Unite. Ciononostante, il Tribunale di Bari ha affermato che “in tema di giudizio di legittimità, il vincolo derivante dal principio di diritto affermato, ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, c.p.p., dalle Sezioni Unite della Corte riguarda esclusivamente l’oggetto del contrasto interpretativo rimesso e non si estende ai temi accessori o esterni” (
Cass. Pen., sent. n. 49744/2022). Nel caso di specie, come visto, l’ordinanza che aveva rimesso la questione alle Sezioni Unite riguardava la legittimazione del procuratore generale a proporre impugnazione avverso l’ordinanza che ammette l’imputato alla messa alla prova, di conseguenza, secondo il Tribunale, la questione relativa all’ammissibilità dell’ente all’istituto non manifestava criteri di pregiudizialità rispetto a quello oggetto del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite.
Quanto invece all’applicabilità della messa alla prova dell’ente, il Tribunale di Bari ha affermato in primo luogo che l’
applicazione analogica in bonam parte della legge penale non contrasterebbe con il principio di tassatività in quanto sarebbe invece conforme alla ratio di quest’ultimo.
Inoltre, il Tribunale aggiunge che “anche aderendo alla tesi della natura di sanzione penale della messa alla prova affermata dall’orientamento della Corte costituzionale richiamato dalle Sezioni unite, non può non rimarcarsi che il medesimo orientamento ha evidenziato che l’istituto in esame manifesta, allo stesso tempo, anche la natura di causa di estinzione del reato, per la quale, attesa la sua incontestabile portata generale, l’ammissibilità dell’analogia in bonam partem non è revocabile in dubbio”.
Infine, quanto alla disomogeneità tra la natura giuridica di sanzione penale della messa alla prova e quella di tertium genus della responsabilità amministrativa dell’ente, il Tribunale evidenzia che quest’ultima coniuga elementi dell’ordinamento penale e dell’ordinamento amministrativo, e ciò significa che“la disciplina del D.Lgs. n. 231/2001 manifesta complementarità con la responsabilità penale e amministrativa nei settori la cui normazione attinge da queste ultime”.
Sulla stessa linea si colloca anche una recente ordinanza del
Tribunale di Perugia, emessa il
7 febbraio 2024.
Anche in questo caso, il giudice ha giudicato
non vincolante il principio di diritto pronunciato dalle Sezioni Unite in quanto non attinente alla questione specifica dell’ammissibilità della messa alla prova per l’ente.
Ancora, il Tribunale contesta l’equiparazione della messa alla prova a un trattamento sanzionatorio, in quanto a differenza di quest’ultimo non è coattiva, ma “presuppone indefettibilmente la volontà dell’imputato che, non contestando l’accusa, si sottopone al trattamento”.
L’applicazione della disciplina della messa alla prova, secondo il Tribunale di Perugia, è quindi
compatibile anche con il sistema di cui al D.Lgs n. 231/2001, in quando dev’essere esclusa anche la violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge, tenuto conto che il divieto di analogia opera soltanto quando genera effetti sfavorevoli per l’imputato.
Risulta evidente che il dibattito non può dirsi del tutto chiuso, nemmeno con una sentenza delle Sezioni Unite, e probabilmente occorrerà tenere d’occhio eventuali sviluppi al fine di dare una risposta definitiva ad un tema non trascurabile.
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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/05/23/responsabilita-reato-231-messa-prova-applica-ente