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Periodo di prova: come funziona il riproporzionamento nei contratti a termine e part time

Il periodo di prova ha lo scopo di permettere a datore di lavoro e dipendente di valutare la convenienza del rapporto di lavoro. In particolare, il decreto Trasparenza è intervenuto in materia prevedendo che il periodo di prova nel rapporto di lavoro a tempo determinato deve essere stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell'impiego. Disposizione che, se valutata con riferimento ai lavoratori a tempo indeterminato, potrebbe far sorgere l’”ombra” di una disparità di trattamento tra lavoratore a termine e indeterminato, in quanto quest’ultimo dovrà essere soggetto ad un periodo di prova maggiore rispetto ad un lavoratore con contratto a termine. Stesso problema raffrontando un contratto full-time con un contratto part-time. Cosa dice la giurisprudenza sul riproporzionamento del periodo di prova?

Recependo quanto più volte affermato in giurisprudenza, il D.Lgs. 104/2022 ha, per la prima volta, affermato “nero su bianco” che il periodo di prova nel rapporto di lavoro a tempo determinato deve essere riproporzionato. Qualche riflessione sull’effettiva equità del riproporzionamento. Ratio del periodo di prova Nei contratti di lavoro il periodo di prova ha lo scopo di permettere ad entrambe le parti di valutare la convenienza del rapporto di lavoro. Nello specifico, il datore di lavoro avrà modo di verificare se il lavoratore è la persona giusta da inserire nel proprio organico aziendale, così come, al contrario, il lavoratore potrà valutare se le mansioni affidategli siano consone alle proprie caratteristiche ed aspettative e se l’azienda sia il giusto luogo in cui potrà prestare la propria opera in prospettiva futura. Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso, ma, se la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine (codice civile, articolo n.2096) La prova deve risultare da atto scritto e, una volta esaurito il periodo, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro. Come più volte stabilito dalla giurisprudenza, l’art. 1 del D.Lgs. 152/1997 (come modificato dall’art.4, c.2 del D.Lgs. n. 104/2022) ha confermato che il patto di prova deve essere siglato contestualmente alla stipulazione del contratto di lavoro e comunque prima dell'esecuzione dello stesso; il patto stipulato successivamente è nullo ed il rapporto assume immediatamente carattere definitivo (Cass. 3 giugno 2002 n. 8038; Cass. 14 ottobre 1999 n. 11597). Tale concettualità appare, tuttavia, offuscata dal testo del c.2 art.4 D.Lgs. n. 104/2022, in cui si afferma che gli obblighi di informativa di cui al c.1 possono essere assolti mediante consegna al lavoratore “alternativamente” del contratto individuale di lavoro o del modello unilav, la comunicazione telematica obbligatoria di instaurazione del rapporto di lavoro che, però, è del tutto priva dell’indicazione del patto di prova essendo un modello ministeriale con campi rigidi; pertanto, nel merito dell’argomento trattato, la mera consegna del modello unilav non può considerarsi assolutamente sufficiente. Considerazioni sull’equità del riproporzionamento del periodo di prova1) Nel contratto a termineSempre il D.Lgs. n. 104/2022, al c.2 dell’art. 7 dispone che “Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell'impiego. In caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova.” In conseguenza di ciò pertanto, a parità di mansioni e livello retributivo, nonché di professionalità in possesso del lavoratore al momento dell’assunzione, un lavoratore con contratto a tempo indeterminato dovrà sempre soggiacere ad un periodo di prova maggiore rispetto ad un lavoratore con contratto a termine. Balza all’occhio, in tale situazione, l’ombra di una disparità di trattamento tra i due lavoratori, che hanno tutti gli elementi in comune (mansioni, livello e professionalità), ma, colui che viene assunto a termine, magari per sostituire un altro lavoratore assente, anche in caso di durata minima del contratto, beneficerà di un periodo di prova ridotto, rispetto a colui assunto a tempo indeterminato. Il c.3 del citato art.7 del D.Lgs. n. 104/2022 conferma, inoltre, che “In caso di sopravvenienza di eventi, quali malattia, infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori, il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell'assenza”. Secondo tale assunto, il periodo di prova è talmente importante da dover essere sospeso per gli eventi elencati, che ne impediscono la decorrenza; anche alla luce di tale affermazione appare ancor più evidente il contrasto con la riduzione dello stesso in caso di contratto a termine, basata sulla sola durata del contratto che nulla ha a che vedere con le ragioni che hanno portato il legislatore a stabilire la necessità della prova. Alla luce di ciò, appare ragionevole mantenere la stessa durata della prova in entrambe le tipologie contrattuali, considerato che, soprattutto in caso di alte professionalità, ove il periodo di prova può arrivare ad una durata pari a sei mesi, un lavoratore assunto a termine, ad esempio per 20 giorni, beneficerebbe di un periodo di prova notevolmente inferiore, pari ad esempio a due settimane (a fronte dei sei mesi previsti per la mansione svolta da un lavoratore assunto a tempo indeterminato), esclusivamente in ragione della durata del suo contratto. Sembra quasi un’eresia pensare che un lavoratore a termine possa essere in prova per tutta la durata del contratto, fino naturalmente alla concorrenza della prova stabilita per gli assunti a tempo indeterminato ma, a ben vedere, è forse l’unica soluzione per evitare che la tutela del lavoratore a termine possa rappresentare una discriminazione del lavoratore a tempo indeterminato. Infatti, il c.2, art.7 del D.Lgs. n. 104/2022 afferma anche che “In caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova”, e ciò a prescindere dalla durata del primo rapporto a termine che ben potrebbe essere stata anche di una sola settimana o di pochi giorni. Eppure, la giurisprudenza si è espressa varie volte in senso contrario: la prova può essere concordata anche se tra le parti sono intercorsi precedenti rapporti di lavoro, purché serva per compiere l'esperimento non realizzato prima (Trib. Roma 28 aprile 2005 n. 7921). Il patto è ammesso nell'ipotesi di rapporti diversi e successivi e solo a condizione che vi sia la necessità per il datore di lavoro di verificare elementi sopravvenuti o ulteriori rispetto alla valutazione già compiuta (Cass. 9 febbraio 2017 n. 3469). La reiterazione del patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti è ammissibile quando risponde ad una finalità apprezzabile e non elusiva di norme cogenti: la prova è destinata alla verifica non solo delle qualità professionali, ma anche del comportamento e della personalità complessiva del lavoratore, in relazione all'adempimento della prestazione e tali elementi sono suscettibili di modifiche nel corso del tempo (Cass. 12 dicembre 2016 n. 25368; Cass. 9 marzo 2016 n. 4635; Cass. 17 luglio 2015 n. 15059). Concludendo, l’obbligo di riproporzionamento del periodo di prova tiene conto esclusivamente della durata del contratto, tralasciando la necessità della valutazione delle parti strettamente legata alla mansione svolta. 2) Nel contratto part timeIl medesimo ragionamento di equità nasce spontaneo anche raffrontando un contratto full-time con un contratto part-time. Ipotizziamo la medesima situazione dell’esempio precedente, ovvero medesime mansioni, livello e professionalità; un lavoratore assunto per 40 ore settimanali avrà diritto al medesimo periodo di prova di un lavoratore assunto, ad esempio, per 15 ore settimanali. È abbastanza lampante che i due non avranno le stesse opportunità di valutare ed essere valutati, esattamente come nel caso del contratto a termine in contrapposizione al contratto a tempo indeterminato. Sarebbe allora opportuno, a parere di chi scrive, valutare con maggior attenzione l’effettiva utilità del riproporzionamento del periodo di prova nei contratti a termine al fine di perseguire la ratio originaria per cui tale strumento è stato introdotto dal legislatore, così come un riproporzionamento “al contrario” - cioè un aumento del periodo - potrebbe essere utile nel caso del contratto part time rispetto al full-time. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/06/25/periodo-prova-funziona-riproporzionamento-contratti-termine-part-time

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