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I modelli 231/2001 per i grandi marchi del settore della moda. Le sentenze sotto la lente di Assonime

Assonime ha pubblicato il caso n. 5/2024 “La tutela dei diritti umani nelle catene di fornitura della moda tra rischi attuali e nuovi obblighi di due diligence” in cui analizza il caso del Tribunale di Milano – Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, che ha disposto la misura dell’amministrazione giudiziaria prevista dal Codice Antimafia (che consiste nella nomina di un soggetto designato dal Tribunale cui viene affidata la gestione temporanea dell’impresa, anche limitatamente a specifici settori) nei confronti di tre società di progettazione e produzione di abbigliamento, borse, pelletteria e accessori, appartenenti a importanti gruppi multinazionali operanti nel settore della moda, per avere colposamente agevolato la commissione del reato di illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro, previsto dall’articolo 603 bis del Codice penale, posto in essere da alcuni opifici cinesi cui era stata subappaltata parte della produzione. Dalle indagini e dalla decisione dei giudici è emersa per i grandi marchi del settore della moda una generalizzata carenza o inadeguatezza dei modelli organizzativi ex decreto legislativo 231, nonché dei sistemi di audit, ritenuti inidonei a identificare e prevenire i rischi presenti nella catena di appalti e sub appalti riguardanti le condizioni di lavoro. Assonime evidenzia che il tema della tutela dei diritti umani e dei diritti sul lavoro nel settore tessile e della moda, ma anche in altri settori produttivi, è un tema sensibile da tempo al centro del dibattito delle istituzioni internazionali ed europee e di attualità anche nel nostro paese. Ne deriva un quadro complesso di principi di soft law e di obblighi normativi con cui le imprese devono confrontarsi per le responsabilità che ne discendono e per fare la propria parte nel delineare un percorso più sostenibile di sviluppo. Queste pronunce sono d’interesse, innanzitutto, per lo spaccato produttivo e di violazione di diritti che mettono in luce, caratterizzato da forme di sfruttamento del lavoro che hanno luogo nel nostro Paese, ma anche per la misura applicata alle società committenti, l’amministrazione giudiziaria di azienda che, come la disciplina 231/2001, guarda alle carenze organizzative dell’impresa per sostanziarne la colpa di non aver impedito o di aver agevolato la commissione di un crimine nell’ambito delle catene di fornitura. La questione giuridica sottesa alle differenze fra tali discipline, i loro presupposti, l’accertamento e le conseguenze è complessa e va esaminata per chiarire se l’amministrazione giudiziaria abbia effettivamente natura preventivo-cautelare o natura di fatto sanzionatoria, che colpisce la reputazione dell’impresa, per responsabilità da colpa di organizzazione dell’ente. Le tre pronunce dei giudici milanesi giungono, inoltre, quasi contestualmente all’approvazione da parte del Parlamento europeo della direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (avvenuta il 23 maggio 2024) e offrono numerosi spunti di riflessione sui possibili presidi di controllo che l’impresa possa adottare sulla filiera produttiva e sulle strategie attuali e future per la tutela dei diritti umani. Le sentenze di Milano e le nuove norme europee ci restituiscono un quadro di principi omogenei, ma di fonti e responsabilità diverse, cui occorre guardare in modo coerente e sistematico per puntare all’efficacia della prevenzione, alla effettiva tutela dei diritti e all’adeguatezza delle sanzioni. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/07/03/amministrazione-giudiziaria-natura-preventivo-cautelare-natura-sanzionatoria

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