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Contratti misti: chi può utilizzarli, come funzionano. E quali sono le criticità

Uno stesso soggetto potrà lavorare per lo stesso datore di lavoro in parte come subordinato ed in parte come lavoratore autonomo. E’ quanto previsto dal collegato Lavoro (legge n. 203/2024) con la nuova disposizione sui contratti misti. Da una prima analisi della norma emergono alcune criticità. La prima è, senz’altro, quella di non far sovrapporre le due prestazioni in favore dello stesso datore di lavoro. Ci sarà, poi, da verificare l’impatto di questa doppia prestazione sul rispetto del D.Lgs. n. 66/2003 in materia di orario di lavoro e, soprattutto, sui riposi giornalieri e settimanali. Quali sono gli altri elementi da valutare per l’applicazione di questa tipologia contrattuale?

Un nuovo contratto, denominato “contratto misto”, si aggiunge alla vasta tipologia presente nell’ordinamento lavoristico. Esso è previsto dall’art. 17 del Collegato Lavoro (legge n. 203/2024).

Uno stesso soggetto potrà prestare lavorare per lo stesso datore di lavoro in parte come subordinato ed in parte come lavoratore autonomo.

L’analisi che segue, in attesa di specifiche indicazioni che perverranno dagli organi amministrativi competenti, è una prima riflessione su questa tipologia contrattuale per la quale viene meno la causa ostativa prevista dal comma 57, lettera d-bis della legge n. 190/2014, la quale escludeva l’applicazione del regime fiscale forfettario le “persone fisiche la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti dei datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi di imposta, ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai suddetti datori di lavoro, ad esclusione dei soggetti che iniziano una nuova attività dopo aver svolto un periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti e professioni”.

Come funzionano i nuovi contratti misti

La norma presenta un primo limite: essa trova applicazione nelle aziende che occupano più di 250 dipendenti, calcolati alla data del 1° gennaio dell’anno al quale si riferisce l’assunzione. Il perché di questa scelta si può rinvenire nel fatto che il Legislatore ha inteso, al momento, sperimentare, tale rapporto in organizzazioni aziendali che presentano una determinata e consolidata struttura.

Per quel che riguarda il computo si ritiene che il calcolo dei dipendenti in forza segua le regole tradizionali indicate anche dall’INPS allorquando i limiti numerici sono portatori di agevolazioni:

A) I lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno (ivi compresimi dirigenti ed i lavoratori a domicilio, vengono calcolati ciascuno come una unità;

B) I lavoratori a tempo parziale vengono considerati “pro quota “ per il lavoro svolto, rapportato al tempo pieno, secondo le indicazioni fornite dall’art. 9 del D.Lgs. n. 81/2015;

C) I lavoratori con contratto a tempo determinato vengono computati secondo la previsione dell’art. 27 del D.Lgs. n. 81/2015;

D) I lavoratori con contratto di lavoro intermittente rilevano in base alle ore lavorate nell’ultimo semestre, come previsto dall’art. 18 del decreto legislativo n. 81/2015;

E) I lavoratori assenti vengono computati, a meno che nel calcolo non siano vengano previsti i loro sostituti;

F) I lavoratori con contratto di apprendistato non rientrano nel computo, come affermato dall’art. 47, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2015;

G) I lavoratori somministrati non vanno calcolati, in quanto dipendenti in forza presso l’Agenzia di Lavoro che li ha inviati in missione.

Il lavoratore, afferma il comma 1, deve essere una persona fisica iscritta in albi o registri professionali e che esercita attività libero-professionali, comprese quelle di collaborazione coordinata e continuativa di cui parla l’art. 409, comma 1, n. 3, cpc.. Quest’ultimo si riferisce anche ai contratti di agenzia e di rappresentanza commerciale. Per le collaborazioni coordinate e continuative, che possono essere effettuate anche da soggetti privi di partita IVA, il, predetto articolo chiarisce il significato di coordinazione: essa si ha allorquando il collaboratore organizza autonomamente la propria attività, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo.

Il lavoratore deve essere assunto con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con un orario part-time che non può essere inferiore al 40% e superiore al 50% dell’orario previsto settimanalmente dal contratto collettivo applicato (ovviamente la disposizione legale supera anche quella contrattuale che, magari, prevede per il tempo parziale un monte orario superiore al 50%). Contestualmente, va sottoscritto con lo stesso datore un contratto di lavoro autonomo o professionale ed il soggetto deve eleggere il proprio domicilio professionale in un luogo diverso da quello del datore di lavoro con cui, come detto pocanzi, ha in essere anche un rapporto di lavoro subordinato.

Il contratto misto (comma 3) deve essere obbligatoriamente certificato da uno degli organi previsti dall’art. 76 del D.Lgs. n. 276/2003 (commissione di certificazione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro, commissioni istituite presso le Università e le Fondazioni universitarie autorizzate, commissioni di certificazione operanti presso gli ordini provinciali dei consulenti del lavoro, commissioni istituite presso gli Enti bilaterali previsti dai CCNL, ecc.): dall’atto deve risultare la non sovrapposizione delle ore e delle giornate dedicate alla prestazione di lavoro subordinato con quella autonoma o libero professionale.

Il comma 2 prevede, poi, che lo svolgimento di prestazioni di lavoro autonomo sia possibile anche per chi non è iscritto ad alcun albo, o registro professionale ma, in questo caso, la coesistenza contemporanea tra lavoro subordinato a tempo indeterminato e lavoro autonomo è rimessa ad un accordo di prossimità ex art. 8, comma 2, del D.L. n. 138/2011, cosa che comporta l’individuazione di un obiettivo di scopo (comma 1) tra quelli indicati dal Legislatore, indispensabile per la legittimità dell’accordo collettivo che l’imprenditore deve raggiungere con le rappresentanze sindacali presenti in azienda. Per completezza di informazione ricordo che tra gli obiettivi da raggiungere con il contratto di prossimità ci sono la maggiore occupazione, la qualità dei contratti di lavoro, gli incrementi di produttività e di salario o anche l’avvio di nuove attività. Se l’accordo non si dovesse raggiungere non sarà possibile, per tale fattispecie, sottoscrivere alcun contratto misto.

Analisi delle criticità

Fin qui la norma che, ad un primo esame, presenta alcune criticità che scaturiscono, a mio avviso, direttamente dalla coesistenza, in capo alla stessa persona, della ” locatio operarum” e della “locatio operis” presso lo stesso datore.

La prima è, senz’altro, quella di non far sovrapporre le due prestazioni in favore dello stesso datore di lavoro, con un lavoratore che dovrà, necessariamente, sdoppiarsi: è pur vero che la disposizione richiede che le due attività non siano coincidenti nello stesso giorno o nelle stesse ore, ma tra l’affermare un principio e la realtà dei fatti, sussiste, sovente, una forte differenza.

Il rapporto di lavoro subordinato è a tempo indeterminato e parziale e le sue regole sono, essenzialmente, dettate oltre che dal contratto dagli articoli sul rapporto part-time disciplinati dal D.Lgs. n. 81/2015. Questo rapporto appare, a prima vista, un po’ zoppo, nel senso che, ad esempio, non sembra facilmente applicabile la disposizione sul lavoro supplementare se questo dovesse coincidere con l’impegno di lavoro autonomo all’interno dell’impresa.

Ci sarà, poi, da verificare l’impatto di questa doppia prestazione sul rispetto del D.Lgs. n. 66/2003 in materia di orario di lavoro e, soprattutto, sui riposi giornalieri e settimanali che si applicano al lavoratore subordinato. Cosa succede se lo stesso lavoratore, in qualità di professionista (per il quale non ci sono limitazioni di orario per l’espletamento della sua attività), “invade” il periodo di riposo che deve rispettare come lavoratore subordinato tra una prestazione e l’altra (11 ore)?

E, poi, altra questione: se il datore di lavoro ritiene di non riferirsi più al lavoratore autonomo iscritto all’albo professionale perché non soddisfatto della sua prestazione, sarà in grado di tenere distinto tale rapporto con quello di lavoratore subordinato prestato per parte dell’orario di lavoro?

Per quel che riguarda, infine la contribuzione, ferma restando quella relativa al rapporto di lavoro subordinato, quella per le prestazioni autonome dovrà essere versata dal lavoratore alla cassa di previdenza dell’ordine al quale risulta iscritto, mentre se la collaborazione viene svolta da un lavoratore non iscritto ad un ordine o un registro professionale (ipotesi prevista dal comma 2) occorrerà versare la contribuzione alla gestione separata dell’INPS, con tutte le regole attualmente vigenti.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/01/03/contratti-misti-utilizzarli-funzionano-criticita

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