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Archivio newsDimissioni per fatti concludenti: una nuova procedura con qualche dubbio ancora da chiarire
Con la previsione della nuova procedura delle dimissioni per fatti concludenti, il Collegato Lavoro (legge n. 203/2024) permette al datore di lavoro di recedere dal rapporto qualora il lavoratore abbandoni il posto di lavoro e non fornisca adeguata motivazione, tale da giustificare l’assenza. In ultimo, con la nota n. 579, del 22 gennaio 2025, l’INL ha fornito le prime indicazioni operative circa la comunicazione a carico del datore del lavoro e le verifiche in capo all’Ispettorato del Lavoro. La procedura, alquanto semplice a prima vista, nasconde tuttavia ancora alcune criticità. Quali?
Il 12 gennaio 2025 è entrato in vigore il Collegato Lavoro (legge n. 203/2024), che ha introdotto numerose novità in materia di lavoro al fine di semplificare alcune procedure per la gestione dei rapporti di lavoro.
Dimissioni per fatti concludenti
Tra queste è presente una procedura che permette al datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro qualora il lavoratore abbandoni, per un determinato periodo, il posto di lavoro e non fornisca adeguata motivazione, tale da giustificare l’assenza (ad esempio, un certificato di malattia, un impedimento a rientrare in Italia da un Paese estero, ecc.).
Tale procedura era attesa dal lontano 2016 e cioè da quando il D.Lgs. n. 151 del 2015 aveva reso obbligatoria la procedura di dimissioni telematica e cioè l’obbligo, da parte dei lavoratori, di presentare le proprie dimissioni esclusivamente con una procedura online sulla piattaforma predisposta dal Ministero del Lavoro, pena l’inefficacia delle dimissioni stesse (art. 26, del D.Lgs. n. 151/2015).
La cosa che, però, il legislatore del 2015 non aveva previsto era la possibile inerzia del lavoratore all’attivazione della procedura. In pratica, se il lavoratore non provvede ad inviare telematicamente le proprie dimissioni, queste non hanno efficacia, impedendo all’azienda di effettuare la relativa comunicazione al Centro per l’Impiego e chiudere definitivamente il rapporto di lavoro.
In questi anni, numerosi sono stati i casi di lavoratori che per disinteresse o per acquisire il diritto alla NASpI (indennità di disoccupazione), non hanno proceduto ad inviare telematicamente le dimissioni, lasciando sospeso il rapporto di lavoro e costringendo le aziende ad avviare un procedimento per assenza ingiustificata, al fine di arrivare ad un licenziamento disciplinare a carico del lavoratore. La stessa INPS, negli anni, ha valutato l’aumento dei licenziamenti disciplinari, quale concausa del “buco normativo” che porta l’azienda a definire la conclusione del rapporto di lavoro in mancanza di un adempimento formale (dimissioni telematiche) del lavoratore, dopo il suo allontanamento volontario dall’azienda.
Dopo quasi nove anni e svariati segnali che arrivavano dalle Associazioni datoriali e dalla giurisprudenza, il legislatore è tornato sull’argomento andando a prevedere un sistema alternativo al licenziamento disciplinare qualora il lavoratore si assenti, in maniera ingiustificata, dal posto di lavoro e di conseguenza non attivi la procedura di dimissioni telematiche.
La nuova procedura
L’art. 19, della legge n. 203/2024, va a modificare l’art. 26, del D.Lgs. n. 151/2015, sulle dimissioni telematiche, introducendo il comma 7-bis.
In particolare, in caso di allontanamento ingiustificato del lavoratore dalla postazione lavorativa per un periodo superiore a quello consentito dal CCNL applicato tra le parti, ovvero in mancanza di tale indicazione oltre i 15 giorni, il datore di lavoro è abilitato a ritenere che l’assenza sia dovuta ad una volontà del lavoratore a dimettersi e come tale potrà procedere in questo modo:
1. invia una comunicazione all’Ispettorato del Lavoro, territorialmente competente sul rapporto di lavoro;
2. effettua, entro i 5 giorni successivi alla data di decorrenza della cessazione, la comunicazione obbligatoria telematica al Centro per l’Impiego. Il giustificativo del recesso dovrà essere: “dimissioni volontarie”.
Le criticità
La procedura è alquanto semplice - forse troppo - e nasconde alcune insidie che è il caso di rappresentare.
Innanzitutto, la norma non prevede alcuna forma di interazione che il datore di lavoro deve tentare con il lavoratore prima di avviare la procedura di risoluzione del rapporto di lavoro. In pratica, non viene richiesto un previo tentativo di comunicazione nei confronti del lavoratore, al fine di renderlo consapevole che l’assenza ingiustificata comporterà la conclusione del rapporto di lavoro.
Ricordo che la norma che prevede l’obbligo di comunicare le dimissioni unicamente attraverso la procedura telematica è stata creata per contrastare il fenomeno delle “dimissioni in bianco”. Non vorrei che una procedura così “essenziale”, cancelli le tutele per i lavoratori e faccia venire un’idea malsana a qualche datore di lavoro poco incline al rispetto delle regole.
Secondo dubbio riguarda la data di decorrenza delle dimissioni. È la data del primo giorno di assenza ingiustificata, o il giorno di completamento del periodo minimo per avviare la procedura di dimissioni volontarie, oppure il giorno successivo al periodo minimo di assenza che giustifica la nuova procedura?
Ad avviso di chi scrive, la data di decorrenza delle dimissioni, da identificare nella comunicazione obbligatoria al Centro per l’Impiego, dovrà essere il giorno successivo al periodo di mantenimento in servizio prescritto dal CCNL, ovvero il sedicesimo giorno di assenza ingiustificata qualora la contrattazione collettiva non abbia disciplinato la materia.
E per quanto riguarda il calcolo dei 15 giorni di assenza ingiustificata, detti giorni sono da considerare come lavorativi o di calendario? Ritengo che nei pochi casi nei quali l’azienda applichi un CCNL che non ha disciplinato la durata massima di assenza ingiustificata del lavoratore che abilita il datore di lavoro ad avviare un procedimento disciplinare nei suoi confronti, i quindici giorni di assenza da monitorare debbano essere lavorativi.
Una volta completata la procedura, sorge un’altra domanda: il datore di lavoro sarà autorizzato a recuperare anche il mancato preavviso, addebitando la relativa indennità nell’ultima busta paga? Il legislatore afferma che il rapporto di lavoro, in caso di assenza ingiustificata superiore ai termini indicati dalla legge, si intende risolto per volontà del lavoratore. Essendo, quindi, l’assenza qualificata come dimissioni volontarie contestuali, ritengo che l’azienda possa essere ammessa a trattenere l’indennità di mancato preavviso, come disposto dall’art. 2118, comma 2, del codice civile.
Altro dubbio attiene all’intervento dell’Ispettorato del Lavoro. Infatti, la normativa prevede che contestualmente alla comunicazione al Centro per l’impiego, di risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni volontarie, il datore di lavoro debba inviare una informativa all’Ispettorato territoriale del lavoro relativamente all’assenza ingiustificata ed all’attivazione della procedura prevista dall’articolo 26, comma 7-bis, del D.Lgs. n. 151/2015. Tale comunicazione potrà far attivare, a sua volta, l’ispettorato, al fine di verificare la veridicità delle affermazioni del datore di lavoro.
Dal canto suo, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha emanato la nota n. 579, del 22 gennaio 2025, con la quale ha fornito le prime indicazioni operative circa le modalità di questa verifica. In particolare, l’Ispettorato, una volta ricevuta la comunicazione da parte dell’azienda, potrà contattare il lavoratore, oggetto della comunicazione, ovvero qualsiasi altro soggetto, al fine di raccogliere ogni elemento utile per accertare se effettivamente il lavoratore non si sia più presentato presso la sede di lavoro, né abbia potuto comunicare la sua assenza.
Gli accertamenti dovranno concludersi entro trenta giorni dalla ricezione della comunicazione trasmessa dal datore di lavoro.
Qualora l’Ispettorato accerti la non veridicità della comunicazione del datore di lavoro, ad esempio nel caso in cui il lavoratore riesca a dimostrare l’impossibilità di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro stesso, non troverà applicazione la risoluzione del rapporto di lavoro per fatti concludenti. In tal caso, l’ispettore che ha effettuato gli accertamenti provvederà a comunicare alle parti l’inefficacia della risoluzione ed il diritto del lavoratore a vedersi ricostruito il rapporto di lavoro.
La procedura è abbastanza chiara, ma la cosa che mi sfugge è il valore legale della comunicazione effettuata dall’ispettore del lavoro al datore di lavoro. Non si tratta di un verbale di accertamento ma di una mera comunicazione con la quale l’ispettore farà presente, in particolare al datore di lavoro, l’inefficacia del recesso. E se quest’ultimo non adempie alla comunicazione e non riammette in servizio il lavoratore, che “sanzione” potrà applicare l’ispettore?
La comunicazione potrà, al massimo, servire al lavoratore quale documento da presentare al giudice del lavoro in caso di ricorso giudiziale, affinché questi possa obbligare l’azienda a ricostituire ex tunc il rapporto di lavoro.
Ma cosa deve scrivere il datore di lavoro nella comunicazione da inviare all’ente vigilante?
Questi gli elementi richiesti dall’Ispettorato del lavoro e che dovranno essere inviati, preferibilmente con una e-mail PEC, all’ITL territorialmente competente in base al luogo di svolgimento del rapporto di lavoro:
- dati della società, datrice di lavoro (nome, sede legale e sede operativa, cf, attività);
- dati anagrafici del lavoratore;
- ultimo indirizzo conosciuto del lavoratore;
- eventuale numero di telefono ed e-mail personale del lavoratore;
- dati riguardanti il rapporto di lavoro (data di assunzione, tipologia contrattuale, sede di lavoro, livello, categoria e qualifica);
- ultimo giorno di effettivo lavoro;
- data del primo giorno di assenza ingiustificata (dies a quo);
- giorni totali di assenza ingiustificata;
- la specifica circa la mancata autorizzazione ad assentarsi dal posto di lavoro;
- il CCNL applicato, con la specifica dell’articolo che prevede i giorni massimi di assenza ingiustificata.
Considerazioni conclusive
Concludo questa breve riflessione, con un ultimo dubbio: il legislatore non ha previsto alcuna esclusione alla procedura, in capo al datore di lavoro, delle dimissioni per fatti concludenti. Ciò sta a significare che vi rientrano anche le lavoratrici che si trovano nel “periodo protetto” dalla maternità e dal matrimonio. Tale valutazione va ad indebolire le tutele previste per queste categorie di lavoratori che necessitano di particolare protezione.
Ricordo, comunque, che le suddette lavoratrici/tori per rendere efficaci le dimissioni devono andarle a convalidare presso l’ispettorato territoriale del lavoro. Mi auguro comunque che il legislatore intervenga in tal senso, limitando la procedura ai casi “ordinari”.
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