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Diritto alla disconnessione con nuove proposte per riconoscerlo. Le norme esistono già!

È attualmente in discussione in Parlamento un disegno di legge che mira ad introdurre nell’ordinamento italiano il diritto alla disconnessione, per assicurare che il lavoratore non riceva, salvo che per ragioni di necessità o urgenza, comunicazioni dal datore di lavoro al di fuori dell'orario ordinario di lavoro previsto dal contratto di lavoro applicato e, comunque, per un arco di tempo minimo di dodici ore dalla cessazione del turno lavorativo. In realtà la materia trova già una sua regolazione implicita (in generale), e in caso di lavoro agile (nello specifico). Diventa allora importante soffermarsi sulla formulazione tecnica delle norme contenute nel disegno di legge per evitare che si possa ripetere l’emanazione di normative poco comprensibili, o contraddittorie, o che si pongono in conflitto con disposizioni protettive già esistenti. Ad esempio, è opportuno domandarsi: quali sono le conseguenze della violazione della norma che impone il diritto individuale alla disconnessione, anche per i lavoratori autonomi?

È attualmente all’esame del Senato un disegno di legge (S1290, primo firmatario il sen. Sensi) che mira ad introdurre nell’ordinamento italiano il diritto alla disconnessione, al fine di assicurare che il lavoratore non riceva, salvo che per ragioni di necessità o urgenza, «comunicazioni dal datore di lavoro o dal personale investito di compiti direttivi al di fuori dell'orario ordinario di lavoro previsto dal contratto di lavoro applicato e, comunque, per un arco di tempo minimo di dodici ore dalla cessazione del turno lavorativo» (così l’art. 3, comma 1, della proposta).

La proposta risponde senz’altro ad un’esigenza condivisa poiché, per comune esperienza, sono tantissimi i lavoratori che, svolgendo mansioni “intellettuali”, finiscono per rimanere sempre connessi, inviando e ricevendo mail e messaggi anche durante l’intervallo di tempo che, secondo le norme europee ed italiane, dovrebbe essere quotidianamente dedicato al riposo. E lo stesso può dirsi per una tendenza quasi inarrestabile di molti lavoratori a mantenersi connessi anche durante il periodo delle ferie annuali. Si tratta, come è facile comprendere, di un fenomeno sociale, dove non è mai del tutto chiaro dove finisce la richiesta di colleghi o superiori e dove inizia la quasi volontaria sottomissione del singolo, onde evitare poi, al rientro al lavoro, di dover affrontare situazioni oramai irrimediabilmente complicatesi, a ragione della mancanza di una tempestiva risposta.

Tanto è diffusa la consapevolezza di una tutela, che la proposta sembra poter contare su una larga maggioranza parlamentare ed è possibile che giunga in breve all’approvazione.

Malgrado quest’ampia convergenza, si deve tuttavia segnalare come la materia trovi già una sua regolazione, seppure implicita, nel diritto ad un intervallo giornaliero di riposo di almeno undici ore fra la fine della prestazione e l’inizio della successiva, il giorno dopo (art. 7 del D.Lgs. n. 66/2003). Nello stesso senso anche la legge 22 maggio 2017, n. 81, riconosce il diritto alla disconnessione, seppure solo in riferimento al caso del lavoro agile (tanto che anche la normativa emergenziale degli anni 2020/21 aveva confermato ed esteso tale previsione durante il periodo della quarantena obbligatoria).

A fronte di queste oramai consolidate previsioni è dunque importante soffermarsi sulla formulazione tecnica delle norme contenute nel disegno di legge ora in discussione in Parlamento, al fine di evitare che abbia a ripetersi l’emanazione di normative poco comprensibili, o contraddittorie, o che si pongono in conflitto con disposizioni protettive già esistenti.

In questo senso, ci si deve innanzi tutto interrogare quali siano le conseguenze della violazione della norma che impone il diritto individuale alla disconnessione, atteso che, opportunamente, il progetto di legge (art. 3, comma 2) precisa che le comunicazioni inviate nel periodo dedicato al riposo e (alla disconnessione) «non comportano alcuna obbligazione per il lavoratore». A fronte di questa precisazione, ci si potrebbe dunque arrestare qui, riconoscendo così implicitamente sia la libertà del datore e dei colleghi di comunicare via mail con il lavoratore, sia il diritto di questi a spegnere il PC o il cellulare o comunque a non rispondere.

Ed, invece, il progetto va avanti e nel suo ultimo articolo prevede che: «in caso di violazione delle disposizioni di cui all'articolo 3 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 500 euro a 3.000 euro per ciascun lavoratore interessato». Il che è come dire che se il mio capufficio mi manda una mail la sera, senza alcuna pretesa di ricevere risposta immediata, rischierà di risponderne a titolo di illecito amministrativo, pagando una multa salata, ove il lavoratore segnali la cosa all’autorità di vigilanza (e cioè all’Ispettorato), atteso che non sembra essere richiesta alcun’altra indagine perché si configuri l’illecito.

Con il che appare evidente come il rischio di introdurre norme astruse o inutilmente vessatorie è tutt’altro che remoto. La legge, allora, dovrebbe limitarsi a rendere chiaro che non sussiste un obbligo del lavoratore di mantenersi connesso, di modo che il lavoratore potrà godere indisturbato del suo diritto al riposo, quotidiano, settimanale ed annuale (oltre che al diritto alla pausa nel caso in cui la prestazione superi una durata di sei ore al giorno: art. 8 del D.Lgs. n. 66 del 2003).

Nello stesso senso, al fine di evitare norme inutili (se non dannose) si dovrà prestare particolare attenzione all’art. 4 dello stesso progetto di legge che, con l’aspirazione di attribuire valore generale ai precetti solennemente sanciti nella proposta di legge, si spinge sino al punto di prevedere che i suoi principi trovino applicazione «in quanto compatibili, ai lavoratori autonomi, compresi i professionisti», secondo tuttavia previsioni ad hoc che gli ordini professionali dovrebbero provvedere ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, ove questa fosse approvata nella attuale formulazione, mediante l’adeguamento dei codici deontologici.

Anche in questo caso il precetto è troppo generico per non apparire confuso. Ed infatti, per un verso è facile notare come non sussista alcuna limitazione alla durata della prestazione lavorativa dei lavoratori autonomi, mentre appare evidente che nessuno sarebbe contento di sentirsi opporre un rifiuto da parte di un medico, un infermiere, uno psicologo, un avvocato o un ingegnere (ed altri esempi potrebbero farsi ancora) ove sussistano reali ragioni di urgenza (di modo che un accordo con il cliente affinché il professionista si tenga sempre pronto all’intervento deve apparire del tutto legittimo). E tanto senza dire che, non sussistendo in questi casi un preciso accordo sul corrispettivo, il libero professionista, chiamato ad intervenire in ore altrimenti dedicate al riposo, potrebbe senz’altro incrementare la sua richiesta di corrispettivo a fronte dell’urgenza della richiesta ricevuta.

Non deve comunque stupire l’attenzione a questi temi, come dimostra anche la risoluzione del Parlamento europeo n. 2181 adottata il 21 gennaio 2021, che, come ricorda la relazione di accompagnamento del disegno di legge, nelle sue premesse afferma che «il diritto alla disconnessione è un diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale». Ed infatti, la disciplina dell’orario di lavoro, dettata dall’Unione europea, oltre ad essere ampiamente permissiva e ricca di deroghe, si sta dimostrando complessivamente insufficiente a fronteggiare le tante esigenze che discendono dall’evoluzione tecnologica.

In secondo luogo, come pure sottolinea nella sua risoluzione il Parlamento europeo, sempre più attuale è diventata l’esigenza di distinguere il lavoro dal riposo, al fine di poter misurare esattamente il primo, e così da dare concreta garanzia di effettività alle soglie previste dall’art. 6 della direttiva n. 88 del 2003 (48 ore medie per 48 settimane di lavoro annuali, per un totale di 2.304 ore di lavoro in un anno). Si tratta di un’esigenza già avvertita dalla Corte di giustizia UE, che, nella celebre sentenza del 14 maggio 2019, causa C‑55/18 (in un caso provenienza dai giudici spagnoli), ha imposto che venissero abbandonati sistemi di rilevazione troppo informali, come il registro cartaceo dell’ora di entrata e di uscita propria del settore bancario, imponendo invece il ricorso a metodi tecnologicamente più progrediti, così da assicurare precisione e certezza, proprio al fine di evitare il rischio di facili elusioni.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/02/01/diritto-disconnessione-nuove-proposte-riconoscerlo-norme-esistono-gia

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