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Risarcimento del danno nei contratti a termine: quali sono le regole nel settore privato e pubblico

Il decreto Salva infrazioni (D.L. n. 131/2024) ha modificato le regole in merito al risarcimento del danno in caso di contratto a termine illegittimo. Per il settore privato è previsto che il giudice può disporre un risarcimento oltre il limite massimo delle 12 mensilità in presenza di un maggior danno subito dal lavoratore. Per il settore pubblico, invece, nell’ipotesi di danno conseguente dall’abuso nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, fatta salva la facoltà del lavoratore di provare il maggior danno, il giudice stabilisce una indennità compresa tra un minimo di 4 ed un massimo di 24 mensilità. E’ uno dei temi del 14° Forum One LAVORO, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrina Per il Lavoro, che si svolge a Modena il 26 febbraio 2025.

L’argomento che tratterò nel corso del XIV Forum One LAVORO in programma il 26 febbraio 2025 a Modena, riguarderà il risarcimento del danno nei contratti a tempo determinato sia del settore privato che del settore pubblico, alla luce delle novità introdotte dagli articoli 11 e 12 del D.L. n. 166/2024.

Si tratta di un tema che interessa particolarmente il settore pubblico ma che, per una serie di situazioni che andrò ad esaminare, potrà avere effetti notevoli anche nel settore privato.

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Settore privato

Passo ad esaminare le novità partendo da quest’ultimo settore.

Con l’art. 11 del D.L. n. 131/2024 convertito, con modificazioni, nella legge n. 166/2024, il Legislatore ha bloccato gli effetti della procedura di infrazione n. 2014/4231, promossa dalla Commissione Europea: lo ha fatto riscrivendo, parzialmente, l’art. 28 del D.L.vo n. 81/2015 che disciplina il rimborso forfettario in caso di contratto a termine illegittimo ove il giudice abbia disposto la ricostituzione del rapporto a tempo indeterminato.

Prima di entrare nel merito delle questioni emergenti dall’esame delle nuove norme ritengo opportuno indicare una serie di cause di illegittimità, abbastanza frequenti, che possono colpire il contratto a tempo determinato.

Mi riferisco sia alle ipotesi tassative previste dall’art. 20 del D.L.vo n. 81/2015 ove al divieto espresso si accompagna, in caso di stipula, la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato che ad altre casistiche abbastanza frequenti nella quotidiana realtà dei rapporti di lavoro:

a) sostituzione di lavoratori in sciopero, assunzione in unità produttive nelle quali nei 6 mesi antecedenti si è proceduto ad un licenziamento collettivo per riduzione di personale che ha interessato lavoratori adibiti alle stesse mansioni alle quali si riferisce il contratto a tempo determinato, fatta salva l’assunzione per sostituzione di lavoratori assenti, di soggetti in mobilità o che abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi, assunzione presso unità produttive ove è in corso un trattamento integrativo salariale, fatto salvo il caso di lavoratore con mansioni diverse, e assunzione in azienda che non ha proceduto alla valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;

b) numero di proroghe oltre la previsione legale che ne prevede 4 in ventiquattro mesi;

c) superamento del limite dei 12 mesi senza l’indicazione di una specifica condizione;

d) rinnovo del contratto senza attendere il decorso dello “stacco” (10 giorni di calendario se il precedente rapporto ha avuto una durata fino a 6 mesi, 20 se superiore);

e) adibizione del lavoratore a mansioni diverse da quelle indicate sia nella lettera di assunzione che nell’UNILAV;

f) superamento della durata massima prevista dalla norma, fatte salve le ipotesi previste dai contratti collettivi o dall’ulteriore contratto stipulato avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro ex art. 19, comma 3;

g) mancata specificazione del richiamo, in caso di superamento dei 12 mesi, alla causale contrattuale o a quella individuale, in mancanza di pattuizione collettiva, possibile fino al prossimo 31 dicembre 2015, per effetto dell’art. 14, comma 3, del D.L. n. 202/2024. Occorre evitare, in questo caso, una mera ripetizione della clausola o il riferimento a generiche esigenze di natura tecnico-organizzativa o produttiva, declinando le ragioni specifiche che richiedono il ricorso al contratto a termine;

Tornando al merito della questione e, segnatamente, al comma 2, l’art. 28 stabilisce che, in caso di conversione a tempo indeterminato di un contratto a termine illegittimo, il lavoratore per il periodo di forzata inattività ha diritto ad una indennità risarcitoria onnicomprensiva il cui importo è compreso tra le 2,5 e le 12 mensilità calcolate sull’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Tale indennità “ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, ivi comprese le conseguenze retributive e contributive”, per tutto il periodo compreso tra la risoluzione del precedente rapporto e la sentenza del giudice.

Il successivo comma 3 (ora abrogato) disponeva che in presenza di contratti collettivi, anche aziendali, che prevedevano, sulla base di apposite graduatorie, l’assunzione a tempo indeterminato, il tetto massimo di 12 mensilità fosse dimezzato a 6.

Su questa norma è intervenuto il Governo con il “Decreto anti infrazioni” perchè la procedura di infrazione comunicata dagli organismi comunitari aveva stabilito che il tetto massimo di 12 mensilità riconosciuto in via forfettaria non avesse un carattere “dissuasivo” tale da evitare comportamenti illegittimi, con la conseguenza che il lavoratore, in tale situazione, non riceveva dall’ordinamento una adeguata tutela.

La nuova disposizione, pur conservando la norma originaria del comma 2 (quindi il regime forfettario fino ad un massimo di 12 mensilità), ha fornito al giudice la possibilità di “sforare” tale limite in presenza di un maggior danno subito dal lavoratore, anche per la lunghezza del procedimento giudiziale, atteso che “resta ferma la possibilità per il giudice di stabilire l’indennità in misura superiore se il lavoratore dimostra di aver subito un maggior danno”.

La norma, una volta dimostrato il maggior danno subito, lascia al giudice la discrezionalità di stabilire l’importo risarcitorio ove (ma non è scritto nella disposizione) potrebbe, però, avere una sua influenza il comportamento tenuto dal lavoratore nel periodo di “non lavoro” (ha cercato o no una nuova occupazione?).

La precedente disposizione che, racchiudeva qualsiasi soluzione all’interno delle 12 mensilità che accompagnavano la ricostituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si basava su alcuni principi che si possono così riassumere;

a) il rimborso di natura forfettaria era stato riconosciuto dalla Consulta come costituzionale alla luce della sentenza n. 303/2011;

b) l’importo tra un minimo di 2,5 mensilità ed un massimo di 12 era stato ritenuto congruo e, comunque, dissuasivo rispetto a situazioni processuali dilatorie finalizzate a differire il momento della decisione giudiziale.

Settore pubblico

Nel settore pubblico la questione del risarcimento del danno si presenta in un’ottica molto diversa, in quanto non può essere decisa dal giudice la conversione del rapporto a tempo indeterminato, stante la previsione dell’art. 97 della Costituzione, il quale afferma che nell’organigramma stabile della Pubblica Amministrazione si entra per concorso o per procedura selettiva pubblica, Il problema è particolarmente evidente nel settore della scuola.

Il Legislatore, con l’art. 12 del D.L. n. 131/2024 ha corretto l’art. 36 del D.L.vo n. 151/2001 abrogando il terzo, il quarto ed il quinto periodo del comma 5, sostituiti da una frase che dispone: “Nella specifica ipotesi di danno conseguente all’abuso nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, fatta salva la facoltà del lavoratore di provare il maggior danno, il giudice stabilisce una indennità compresa tra un minimo di 4 ed un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti avvenuti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto”.

Queste novità vanno correlate ad altre disposizioni che trattano violazioni relative ai contratti a tempo determinato e che sono rimaste vigenti.

L’art. 36 del D.L.vo n. 165/2001 disciplina, in generale, le assunzioni a termine con modalità flessibile, come il contratto a tempo determinato ma anche il contratto di somministrazione a termine, affermando che le esigenze richieste per la stipula debbono essere temporanee ed eccezionali e che debbono, sempre, essere rispettate le procedure dell’art. 35.

Con le modifiche introdotte attraverso l’art. 12 si vengono a creare due distinte modalità risarcitorie.

La prima concerne la sottoscrizione del contratto in violazione norme imperative: essa è rimasta identica e la stessa procedura di infrazione n. 2014/4231 non ne parla. La disposizione di riferimento stabilisce che in caso di contratto a termine illegittimo sottoscritto in violazione di norme imperative non può esserci la costituzione “forzosa” di un rapporto a tempo indeterminato e, di conseguenza, si può parlare, soltanto di una indennità risarcitoria forfettaria compresa tra 2,5 e 12 mensilità con parametro di riferimento all’ultima retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto: tale risarcimento venne indicato come congruo dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 5072/2016.

L’articolato parla anche della responsabilità del dirigente che ha sottoscritto il contratto illegittimo in violazione di norme imperative: esso ne risponde sotto l’aspetto erariale con gli organi di controllo e, secondo, le disposizioni in essere, perde il premio di risultato. Altra conseguenza è l’applicazione dell’art. 21 del D.L.vo n. 165/2001, con l’apertura di un procedimento di natura disciplinare.

La seconda modalità risarcitoria è stata introdotta dall’art. 12 (è questa la novità) e riguarda l’ipotesi di danno derivante da un abuso nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato da cui discende la loro illegittimità.

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Il giudice, una volta accertata la illegittimità, dispone l’erogazione di una indennità a titolo di risarcimento del danno, compresa tra 4 e 24 mensilità avendo quali parametri di riferimento la gravità della violazione anche in relazione al numero dei contratti ed alla durata complessiva del rapporto. Resta salva la possibilità per il lavoratore di provare un maggior danno, che se accertato, può convincere il giudice a varcare la soglia massima. Con quest’ultima frase, Il Legislatore ritiene di superare la procedura di infrazione promossa dalla Comunità Europea, lasciando al giudice la possibilità di superare il tetto massimo risarcitorio in presenza di un maggior danno documentato

In quest’ultimo caso la disposizione non dice nulla sulla responsabilità dirigenziale: a mio avviso, essa si ricava dalla normativa generale contenuta nel D.L.vo n. 165/2001 con la emergente responsabilità erariale e con le conseguenze di natura economica e disciplinare alle quali si è accennato commentando la prima ipotesi di violazione.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/02/10/risarcimento-danno-contratti-termine-regole-settore-privato-pubblico

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