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Archivio newsPensioni: legittimo il sistema di “raffreddamento” della rivalutazione
Con la sentenza n. 19 del 14 febbraio 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti sulla legge di bilancio per il 2023, poiché nell’introdurre misure di “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS, non ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici. Le scelte del legislatore risultano coerenti con le finalità di politica economica, chiaramente emergenti dai lavori preparatori e legittimamente perseguite, volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente soprattutto sulle classi sociali meno abbienti. Delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, del resto, il legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione dei medesimi trattamenti.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 19 del 14 febbraio 2025 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti sulla legge di bilancio per il 2023, poiché nell’introdurre misure di “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS, non ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici.
Nota bene: la rivalutazione dell'importo pensionistico nota anche come perequazione è il meccanismo attraverso il quale l'importo delle prestazioni medesime viene adeguato all'aumento del costo della vita come indicati dall'Istat. Il fine che la legge intende perseguire è quello di proteggere il potere d'acquisto del trattamento previdenziale pensionistico qualsiasi esso sia. L'adeguamento deve essere effettuato su tutti i trattamenti pensionistici erogati dalla previdenza pubblica (cioè dall'assicurazione generale obbligatoria e dalle relative gestioni dei lavoratori autonomi nonché dai fondi ad essa sostitutivi, esonerativi, esclusivi, integrativi ed aggiuntivi): quindi rientrano sia le pensioni dirette (es. pensione di vecchiaia, pensione anticipata) sia quelle indirette (pensione ai superstiti) a prescindere dalla circostanza che tali prestazioni siano o meno integrate al trattamento minimo. |
Il caso
Le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti per la Regione Toscana e per la Regione Campania hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale, complessivamente, dell’art. 1, comma 309, della legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) e dell’art. 69, comma 1, della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria per il 2001), entrambe disposizioni che incidono sui meccanismi di adeguamento degli assegni pensionistici alle variazioni del costo della vita.
Nello specifico:
- l’art. 1, comma 309, della legge n. 197 del 2022, stabilisce che, per l’anno 2023, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici è riconosciuta integralmente solo per quelli complessivamente pari o inferiori a quattro volte il minimo INPS; per quelli superiori, invece, la rivalutazione viene accordata in misura decrescente:
1. 85 per cento per gli assegni pari o inferiori a cinque volte il minimo;
2. 53 per cento per quelli di importo compreso tra cinque e sei volte tale soglia;
3. 47 per cento per i trattamenti inclusi in una forbice tra le sei e le otto volte il suddetto limite;
4. 37 per cento per quelli rientranti nell’intervallo tra le otto e le dieci volte il medesimo livello;
5. 32 per cento per i trattamenti superiori a dieci volte il minimo;
- l’art. 69, comma 1, della legge n. 388 del 2000, dal suo canto, prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2001, l’indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato per fasce di importo dei trattamenti pensionistici:
a) nella misura del 100 per cento per quelle fino a tre volte il trattamento minimo INPS;
b) nella misura del 90 per cento per quelle comprese tra tre e cinque volte tale soglia;
c) nella misura del 75 per cento per quelle superiori a cinque volte il suddetto limite minimo.
Normativa di riferimento
La Corte Costituzionale ricorda che la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici, disciplinata inizialmente dall’art. 10 della legge n. 903 del 1965, nacque come meccanismo volto ad adeguare le pensioni ai mutamenti del potere di acquisto della moneta, ben presto agganciato all’aumento percentuale dell’indice del costo della vita calcolato dall’ISTAT ai fini della “scala mobile” delle retribuzioni dei lavoratori dell’industria. Sopravvenuta l’abolizione della scala mobile (per effetto del protocollo d’intesa del 31 luglio 1992), allo scopo di compensare l’eliminazione dell’aggancio alle dinamiche salariali e collegare l’adeguamento delle pensioni all’evoluzione del livello medio del tenore di vita nazionale, l’art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 503 del 1992, stabilì che gli aumenti a titolo di perequazione fossero calcolati sul valore medio dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
In questi ultimi anni le modalità di erogazione della rivalutazione sono state più volte riviste dal legislatore per esigenze di contenimento della spesa pubblica tanto che se ne è generata molta confusione. In particolare:
- dal 1° gennaio 1999 l'articolo 34, comma 1 della legge 448/1998 ha previsto che la perequazione si effettua in via cumulata. In particolare, la rivalutazione si applica, per ogni singolo beneficiario, «in funzione dell’importo complessivo dei trattamenti» percepiti, con la precisazione che l’aumento dovuto viene attribuito «in misura proporzionale all’ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all’ammontare complessivo»;
- l’art. 69 della legge n. 388/2000 aveva suddiviso, a partire dal 1° gennaio 2001, la perequazione in tre fasce all'interno del trattamento pensionistico complessivo e l'adeguamento, come anticipato veniva concesso:
1. in misura piena, cioè al 100% per le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo,
2. scendeva al 90% per le fasce di importo comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo,
3. e ancora calava al 75% per i trattamenti superiori a cinque volte il minimo;
- il dl n. 201/2011, come noto, ha introdotto un blocco temporaneo nel biennio 2012-2013 dell'indicizzazione per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo (cioè 1.405,11 euro nel 2011), rivisto poi parzialmente dal dl n. 65/2015 che, per rispondere ai rilievi della sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale, riconobbe, per il biennio 2012-2013, la rivalutazione automatica anche in favore dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte e pari o inferiori a sei volte quello minimo, secondo un meccanismo, scrutinato positivamente dalla sentenza n. 250 del 2017 decrescente in relazione inversa rispetto alla misura delle pensioni, ma confermando il blocco totale della perequazione per i trattamenti di ammontare superiore;
- dal 1° gennaio 2014 la legge n. 147/2013 ha introdotto un nuovo strumento perequativo che, abbandonando i criteri di progressività, ha optato per una rivalutazione unica applicata direttamente sull’importo complessivo del trattamento pensionistico. Il meccanismo, inoltre, ha previsto indici di perequazione meno favorevoli per i trattamenti superiori a tre volte il trattamento minimo. Tali regole sono rimaste in vigore con limitate modifiche sino al 31 dicembre 2021;
- nel 2022 è tornata la rivalutazione per scaglioni d'importo (cioè progressiva) ma con la legge n. 197/2022 è stato ripristinato per il 2023 la rivalutazione sull'importo complessivo del trattamento meccanismo confermato anche per il 2024 dalla legge n. 213/2023.
Tenuto conto della normativa, in tutti i giudizi principali, i ricorrenti hanno chiesto al giudice delle pensioni, per gli anni dal 2022 al 2024, l’accertamento del diritto (disconosciuto in sede amministrativa) alla rivalutazione integrale dell’assegno in godimento, nei primi due casi superiore a dieci volte il trattamento minimo e, nel terzo, di importo compreso tra le sei e le otto volte tale soglia di riferimento.
Decisione della Corte
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 19, ritiene tutte le questioni sollevate non fondate, alla luce dei precedenti di questa Corte, esaustivamente compendiati, da ultimo, dalla sentenza n. 234 del 2020.
Tale pronuncia ha ricordato che la perequazione automatica è uno strumento di natura tecnica volto a garantire nel tempo l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici a fronte delle spinte inflazionistiche (come già chiarito dalle sentenze n. 250 del 2017 e n. 70 del 2015), nel rispetto dei principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione, che però non implicano un rigido parallelismo tra la garanzia di cui all’art. 38, secondo comma, Cost. e quella di cui all’art. 36, primo comma, Cost. (così anche le sentenze n. 250 del 2017 e n. 173 del 2016).
La garanzia della perequazione non annulla la discrezionalità del legislatore nella determinazione in concreto del quantum di tutela di volta in volta necessario, alla luce delle risorse effettivamente disponibili. Non sussiste, del resto, un imperativo costituzionale che imponga l’adeguamento annuale di tutti i trattamenti pensionistici, purché la scelta contraria superi uno scrutinio di “non irragionevolezza”, calato nel contesto giuridico e fattuale nel quale la misura si inserisce.
Il meccanismo legislativo non è irragionevole perché salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità e, per un periodo limitato, riduce progressivamente la percentuale di indicizzazione di tutte le altre al crescere degli importi dei trattamenti, in ragione della maggiore resistenza delle pensioni più elevate rispetto agli effetti dell’inflazione.
La relazione illustrativa del disegno di legge di bilancio in parola, peraltro, individua anche ulteriori interventi che la misura in esame contribuisce a finanziare. Alcuni di essi si collocano nel medesimo ambito previdenziale, quali:
- la proroga di istituti che favoriscono il pensionamento anticipato, come la cosiddetta “quota 103”;
- l’indennità cosiddetta “ape sociale”;
- la cosiddetta “opzione donna”.
A ciò si aggiunge il sussidio una tantum per le pensioni minime, al fine di contrastare gli effetti negativi delle tensioni inflazionistiche (comma 310).
Altri interventi, pur estranei al circuito previdenziale, rientrano comunque nel più ampio settore “lavoro, famiglia e politiche sociali” (di cui al Titolo IV dell’originario disegno di legge, comprendente anche la misura oggetto dell’odierno scrutinio):
- la maggiorazione del 50 per cento, a decorrere dal 1° gennaio 2023, dell’assegno unico universale, al ricorrere di certe condizioni;
- l’incremento dell’indennità per congedo parentale;
- il riordino delle misure di sostegno alla povertà e dirette all’inclusione lavorativa.
Le scelte del legislatore risultano coerenti con le finalità di politica economica, chiaramente emergenti dai lavori preparatori e legittimamente perseguite, volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente soprattutto sulle classi sociali meno abbienti.
Delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, del resto, il legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione dei medesimi trattamenti.
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