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Archivio newsContratti a tempo determinato: cosa cambia per attività stagionali e periodo di prova
Sono due gli interventi in merito alla disciplina dei contratti a termine previsti dal Collegato Lavoro. Il primo attiene ad una norma di interpretazione autentica relativamente alla definizione delle attività stagionali. La seconda novità riguarda le modalità di calcolo del periodo di prova qualora le parti decidano di inserire tale istituto in un contratto individuale a termine. Come si applicano le nuove disposizioni? E’ uno dei temi del 14° Forum One LAVORO, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrina Per il Lavoro, che si svolge a Modena il 26 febbraio 2025.
Due sono le modifiche apportate al contratto a tempo determinato dal Collegato Lavoro, la Legge n. 203/2024.
Contratti a termine: le attività stagionali
La prima attiene ad una norma di interpretazione autentica all'art. 21, del D.Lgs. n. 81/2015 (TU sui contratti di lavoro), relativamente alla definizione delle attività stagionali.
L’importanza di definire le attività stagionali dipende dal fatto che la stipula di un contratto a termine, con tale motivazione, porta alla non applicazione di una serie di limiti previsti dalla normativa su tale tipologia contrattuale. Parlo della esclusione dal limite di durata massima complessiva, prevista dall’art. 19, comma 2, dall’esclusione dei lavoratori stagionali dalla percentuale massima di lavoratori a termine che una azienda può assumere contemporaneamente, ai sensi dell’art. 23, comma 2, ed alla esclusione dall’obbligo della causale, previsto dall’articolo 21, comma 1.
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Ma vediamo il contenuto della norma di interpretazione autentica, prevista dall’art. 11, del Collegato Lavoro.
Rientrano nelle attività stagionali tutte le attività individuate dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1525 del 1963, e le attività organizzate per fare fronte ad intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell'anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall'impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro. In quest’ultimo caso, le attività, così come individuate, devono essere state previste all’interno di una contrattazione collettiva sottoscritta ai sensi dell’art. 51, sempre del D.Lgs. n. 81/2015, e cioè dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Con il messaggio n. 483, del 7 febbraio 2025, l’INPS è intervenuta andando a riepilogare, in base alla suindicata interpretazione, i contratti a termine che sono esentati dal versamento del contributo addizionale NASpI (1,40%) e dall’incremento previsto in occasione di ciascun rinnovo (0,50%).
In particolare, l’esenzione della maggiorazione contributiva, prevista dall’art. 2, comma 28, della Legge n. 92/2012, trova applicazione con riferimento ai lavoratori assunti con contratti di lavoro a termine:
- per lo svolgimento delle attività stagionali previste nell’elenco allegato al D.P.R. n. 1525/1963;
- per lo svolgimento delle attività stagionali definite dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 31 dicembre 2011 e considerate tali dall’interpretazione fornita dall’art. 11, della Legge n. 203 del 2024.
Inoltre, anche se non precisato dall’INPS, l’esenzione alla maggiorazione contributiva riguarda anche i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato per sostituire dipendenti assenti, con il diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Calcolo del periodo di prova
La seconda novità riguarda la durata del periodo di prova, previsto dall’art. 2096 del codice civile, in caso di stipulazione di un contratto a tempo determinato.
Il Collegato Lavoro ha modificato quanto previsto all’art. 7, del D.Lgs. n. 104/2022 (decreto Trasparenza), andando a precisare le modalità di calcolo del periodo di prova qualora le parti decidano di inserire tale istituto in un contratto individuale a termine.
In particolare, l’interesse del legislatore è stato quello di allinearsi alle interpretazioni, sempre più frequenti, della giurisprudenza di legittimità, la quale è più volte intervenuta per verificare la congruità del periodo di prova rispetto alla durata del contratto stesso.
Un periodo di prova sproporzionato può rappresentare un problema nel caso in cui l’azienda voglia avvalersi del diritto di risolvere il rapporto di lavoro, durante tale periodo, senza fornire alcuna motivazione e senza obbligo di dare un preavviso o la relativa indennità.
E veniamo al calcolo. La durata del periodo di prova, che ricordo essere un istituto opzionale e non obbligatorio, deve essere stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.
In ogni caso, la durata del periodo di prova nei rapporti fino a sei mesi può andare da un minimo di due giorni ad un massimo di quindici giorni, mentre nei rapporti superiori a sei mesi e inferiori a dodici mesi, il periodo di prova non potrà andare oltre i trenta giorni.
Tale conteggio non deve essere fatto qualora la contrattazione collettiva sia intervenuta, prevedendo una condizione di miglior favore. Il legislatore non dice per chi deve essere di miglior favore, ma è sottinteso che debba esserlo per il lavoratore. Quindi, qualora la contrattazione collettiva, di qualsiasi livello (nazionale, territoriale o aziendale) sia intervenuta sulla materia ed abbia previsto una disposizione più favorevole per il lavoratore, non si applica la formula legale.
La cosa che lascia perplessi è che il legislatore non abbia previsto alcuna differenziazione della durata del periodo di prova in relazione alla tipologia di mansioni da svolgere. |
Mi spiego meglio: l’art. 7, del D.Lgs. n. 104/2022, al primo periodo del comma 2 prevede che nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova debba essere stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto ed alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell'impiego. Il nuovo periodo, inserito dal Collegato lavoro sempre all’interno del comma 2, propone il calcolo della durata del periodo di prova unicamente in base alla durata del contratto di lavoro.
Tale modalità potrebbe causare del contenzioso in quanto, qualora l’azienda decida di risolvere il rapporto durante o al termine del periodo di prova, il lavoratore potrebbe ricorrere contro tale decisione evidenziando la scarsa durata del periodo che non gli ha permesso di dimostrare compiutamente le capacità lavorative in relazione alla complessità delle mansioni svolte.
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In definitiva, un periodo di prova esiguo potrebbe non permettere al lavoratore di esprimersi al meglio per completare l'esperimento che forma l’oggetto del patto di prova e dimostrare le proprie capacità umane e lavorative.
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