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Datore di lavoro e preposto: è ormai scontro aperto sugli obblighi di vigilanza dei lavoratori

L’incalzante pressione di un obbligo come la vigilanza sui lavoratori ha fatto esplodere due drammi: quelli del datore di lavoro e del preposto. Che nemmeno la Cassazione riesce a risolvere. Non sorprendono, quindi, gli equivoci che nelle imprese si stanno addensando sui rapporti tra datore di lavoro e preposto; anche perché tra le modifiche al TUSL ve ne sono alcune che mettono a dura prova l’interprete, soprattutto per il fatto che - difficile dire se e quanto consapevolmente - risultano immutate altre disposizioni pur rilevanti nella stessa materia, ed è tutt’altro che semplice collocare vecchie e nuove norme in un mosaico coerente. Non meraviglia allora che in più aziende, persino in quelle pubbliche, si stia assistendo a un fenomeno di rifiuto da parte dei preposti doverosamente nominati dal datore di lavoro di svolgere questo incarico. Dunque, più che mai, prosegue lo scontro.

Sotto l’incalzante pressione di un obbligo come la vigilanza sui lavoratori sono esplosi due drammi: quelli del datore di lavoro e del preposto.

Del datore di lavoro, anzitutto, chiamato in gioco, in particolare, dall’art. 18, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, che alla lettera f) contempla l’obbligo di richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione.

Ma anche del preposto. Basti pensare che, tra gli obblighi del preposto previsti dall’art. 19 D.Lgs. n. 81/2008, fanno spicco gli obblighi di vigilanza sui lavoratori, e in questo ambito fondamentale è l’obbligo disciplinato dal comma 1, lettera a). Per giunta, nella versione originaria, il comma 1, lettera a), prevedeva l’obbligo del preposto di “sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti”. Ma ormai abbiamo preso atto che, nella versione modificata dalla legge n. 215/2021, l’art. 19 non stabilisce più che «in caso di persistenza della inosservanza», i preposti debbono «informare i loro superiori diretti», ma che essi devono:

- «in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza»;

- «in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza, interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti».

L’obbligo d’interruzione dell’attività torna nella nuova lettera f-bis) inserita sempre dalla legge n. 215/2021 all’interno dell’art. 19, ove si prevede che i preposti devono «in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere temporaneamente l’attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate».

Non sorprende, quindi, che con particolare efficacia la Cass. pen. 10 febbraio 2025, n. 5187 rappresenti lo scontro tra datore di lavoro e preposto in un processo per infortunio a una lavoratrice impegnata ad applicare del nastro adesivo sui nastri trasportatori in movimento e incastrata con la mano all'interno dei rulli contrapposti.

A sua discolpa, il datore di lavoro sostiene che “doveva essere chiamato solo il preposto a rispondere”, per non aver adempiuto diligentemente agli obblighi giuridici attribuitigli, né collaborato con il datore di lavoro. Ma la Corte Suprema gli dà torto, attribuendogli il compito non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori.

Non sorprendono, quindi, gli equivoci che nelle imprese si stanno addensando sui rapporti tra datore di lavoro e preposto.

Anche perché tra le modifiche al TUSL apportate dalla legge n. 215/2021, ve ne sono alcune che mettono a dura prova l’interprete, soprattutto per il fatto che - difficile dire se e quanto consapevolmente - risultano immutate altre disposizioni del D.Lgs. n. 81/2008 pur rilevanti nella stessa materia, ed è tutt’altro che semplice collocare vecchie e nuove norme in un mosaico coerente. Basti pensare all’art. 18, comma 3-bis, legge n. 215/2021 ove si stabilisce altresì l’obbligo del datore di lavoro di vigilare anche in ordine all'adempimento degli obblighi spettanti ai preposti. E ove resta, sì, ferma l'esclusiva responsabilità dei preposti ai sensi dell’art. 19 qualora la mancata attuazione dei loro obblighi “sia addebitabile unicamente agli stessi”, ma a condizione che “non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro”.

Non meraviglia allora che in più aziende - persino in quelle pubbliche - si stia assistendo a un fenomeno di rifiuto da parte dei preposti doverosamente nominati dal datore di lavoro di svolgere questo incarico.

Domanda: è ammissibile il rifiuto? Certo è che, ove non sia stato formato, il preposto non solo può, ma deve rifiutare l’incarico. Altrimenti la Cassazione gli rimprovera che, “ove non si fosse sentito preparato a svolgere tali funzioni, proprio perché non specificamente formato, non avrebbe dovuto assumerle". Ma riteniamo che, in assenza di una motivazione plausibile, il preposto individuato non possa rifiutarsi, se non a rischio di perdere il lavoro.

Preoccupa, allora, in questo quadro che rimanga dubbio sino a che punto la vigilanza spettante al preposto debba essere diuturna, continuativa, ubiquitaria.

A tutt’oggi, una risposta è solo tentata dalla Cass. pen. 1° febbraio 2022, n. 3538.

Nel confermare la condanna di un preposto, la Sez. IV osserva che spetta al preposto “segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta”, e che tale obbligo “non può risolversi nell’attesa di segnalazioni da parte di terzi - e nella specie dei lavoratori - di anomalie di funzionamento dei macchinari utilizzati o della modifica operativa da parte degli addetti di schemi lavorativi apprestati per l’utilizzo di apparecchiature, posto che ciò comporterebbe un vero e proprio svuotamento del dovere di vigilanza e di sovraintendenza delle lavorazioni, che costituisce l’essenza stessa delle sue attribuzioni”. Nota che “anche la contestazione introdotta dall’imputato sull’imprevedibilità dell’evento, in assenza di informazioni circa il problema manifestatosi, perde consistenza, perché essa viene formulata sulla base dell’assenza di un obbligo diretto e continuativo di sorveglianza sui mezzi e sulle lavorazioni, che invece è prescritto al preposto dall’art. 19 D.Lgs. n. 81/2008”.

Aggiunge che “potrebbe configurarsi l’esenzione di responsabilità del preposto solo ed esclusivamente se il problema verificatosi sul macchinario, e l’incauta modalità di lavoro posta in essere per ovviarvi, fossero così recenti rispetto al momento in cui l’infortunio si è verificato da potersi immaginare che entrambi avessero potuto sfuggire al controllo continuativo, proprio perché appena manifestatisi”.

Dunque, abbiamo qui soltanto un tentativo di risposta. Perché tutto da quantificare è quel “così recenti” così come quell’“appena manifestatisi”.

E dunque più che mai prosegue lo scontro.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/03/08/datore-lavoro-preposto-ormai-scontro-aperto-obblighi-vigilanza-lavoratori

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