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Archivio newsPartecipazione dei lavoratori alla gestione d’azienda. A che punto siamo
Dopo quasi ott’anni di oblio, si sta, forse, per dare attuazione alla disposizione della Costituzione che solennemente proclama che: «la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende»? E’, infatti, in discussione al Senato un disegno di legge che fissa le regole per la partecipazione «gestionale» come collaborazione dei lavoratori «alle scelte strategiche dell’impresa», ma anche per la partecipazione «economica e finanziaria» Ma sembra difficile ipotizzare che sussista nelle parti, da entrambi i versanti, un’effettiva disponibilità a confrontarsi intorno ai concreti andamenti dell’impresa, condividendo le responsabilità di scelte dolorose, come in primis quelle sui licenziamenti. I tentativi di rianimare le previsioni dell’art. 46 Cost. rischiano di rimanere senza concreto e pratico seguito.
Dopo essere stato approvato alla Camera dei Deputati, è ora in discussione al Senato un disegno di legge (S1407), frutto di un’iniziativa popolare fortemente sostenuta dalla CISL per dare attuazione, dopo quasi ott’anni di oblio, a quella disposizione della Costituzione (art. 46) che solennemente proclama che: «la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende».
Il disegno di legge, nel distinguere quattro ipotesi di partecipazione, si limita, anche a seguito delle modifiche introdotte nel corso dell’iter parlamentare alla Camera che ne hanno ridotto la portata, a prevedere sempre e soltanto norme di sostegno e di incentivo, senza mai obbligare in alcun modo le imprese a modificare l’attuale status quo.
In particolare, il disegno di legge regola la partecipazione «gestionale» come la collaborazione dei lavoratori «alle scelte strategiche dell’impresa», che importa la nomina di un rappresentante dei lavoratori, o nel consiglio di amministrazione, o in quello di gestione o sorveglianza, ove mai la società abbia adottato il sistema dualistico di cui agli artt. 2409-octies segg. c.c.
Le norme in questo caso mirano a replicare, ma senza alcun vincolo di imperatività, il modello proprio del sistema tedesco, dove tutte le imprese di maggiori dimensioni vedono una presenza sindacale nell’organo di controllo, senza tuttavia l’attribuzione di responsabilità gestorie. Si tenga conto che il disegno di legge collega a questa figura la partecipazione finanziaria, di cui subito si dirà, di modo che il consigliere verrebbe quasi ad operare come rappresentante dei lavoratori che hanno fatto degli investimenti nell’impresa datrice di lavoro.
Il disegno di legge, invero, prevede anche la possibilità di nomina di un membro del consiglio d’amministrazione, chiamato, al pari dell’Arbeitsdirektor - presente nelle imprese tedesche più antiche attive nel settore carbosiderurgico - a partecipare alle scelte di guida dell’impresa. Si tratta, in questo caso, della forma forse più estrema di partecipazione che, tuttavia, rimane sempre volontaria, di modo che viene per questo aspetto a normare esperienze che pure si sono registrate in Italia anche di recente, sulla scorta di modifiche intervenute ad hoc negli statuti societari, ad es. in caso di crisi d’impresa o di privatizzazione.
Vi è poi la partecipazione «economica e finanziaria» che comporta che una quota della retribuzione dovuta sia corrisposta sotto forma di azioni della società, secondo un modello già noto al codice civile del 1942 (v. artt. 2102 e 2349) oppure, più semplicemente, il riconoscimento di uno sgravio fiscale nel caso in cui una quota degli utili non inferiore al 10% sia distribuita fra tutti i lavoratori.
Da ultimo il disegno di legge registra la partecipazione «organizzativa», come il «coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni relative alle varie fasi produttive e organizzative della vita dell’impresa». Si tratta di una forma, specificamente finalizzata alla «predisposizione di proposte di piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell’organizzazione del lavoro», destinata a realizzarsi prevalentemente attraverso organismi di consultazione bilaterale. In questo senso il disegno di legge prevede anche una partecipazione «consultiva», operata per le consuete vie delle rappresentanze aziendali ed attuata «attraverso l’espressione di pareri e proposte sul merito delle decisioni che l’impresa intende assumere».
Con riguardo a quest’ultima ipotesi, invero, non si deve dimenticare che già da tempo il nostro ordinamento conosce diritti di «informazione e consultazione» sindacale che riguardano una amplissima serie di decisioni che spettano ai vertici della società datrice.
In particolare, la legge (art. 4 del d. lgs. 6 febbraio 2007, n. 25) riconosce il diritto del sindacato aziendale a confrontarsi con la direzione in ordine (lett. a) all’andamento recente e quello prevedibile dell’attività dell’impresa, nonché circa la sua situazione economica; (lett. b) alla situazione, alla struttura e all’andamento prevedibile dell’occupazione nella impresa, nonché, in caso di rischio per i livelli occupazionali, alle relative misure di contrasto; (lett. c) alle decisioni dell’impresa che siano suscettibili di comportare rilevanti cambiamenti dell’organizzazione del lavoro o dei contratti di lavoro.
Si tratta, come si può vedere, di misure di grande rilievo che impongono, per di più, che la trasmissione delle informazioni avvenga «secondo modalità di tempo e contenuto appropriate allo scopo ed in modo da permettere ai rappresentanti dei lavoratori di procedere ad un esame adeguato», così da poter predisporre, se del caso, specifiche proposte sindacali nella successiva fase della consultazione, che è d’obbligo tenere in presenza di una richiesta dei lavoratori.
L’evidente squilibrio che sussiste fra previsioni oramai quasi vecchie di venti anni, quali quelle del d.lgs n. 25 del 2007, e il mancato radicarsi di prassi di fattivo e reale confronto fra lavoratori ed imprese dà dunque la certezza che la nuova normativa, che eventualmente venga ad essere adottata dopo il voto favorevole del Senato, non verrà a rivoluzionare le relazioni sindacali italiane.
Ed infatti sembra difficile ipotizzare che sussista nelle parti, da entrambi i versanti, un’effettiva disponibilità a confrontarsi intorno ai concreti andamenti dell’impresa, condividendo le responsabilità di scelte dolorose, come in primis quelle sui licenziamenti.
In questo senso si deve dire, per un verso, che non stupisce che una parte del sindacato abbia da tempo annunziato la sua contrarietà al disegno di legge, mentre, per un altro, si deve ricordare che le prassi “concertative”, per essere davvero efficaci, devono poi trovare concretizzazione nel riconoscimento di incrementi economici, almeno nelle ipotesi in cui l’impresa abbia a conseguire un risultato economico utile.
In assenza di questa disponibilità (e di una normativa di legge che preveda una strutturale e rilevante riduzione della base imponibile ai fini fiscali e contributivi), appare evidente come i tentativi di rianimare le previsioni dell’art. 46 Cost. rischiano di rimanere senza concreto e pratico seguito.
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