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Al via i dazi USA: 5 e 9 aprile le date cruciali

Con il “Liberation Day” proclamato dal Presidente Donald Trump inizia la guerra commerciale tra gli USA e il resto del mondo. Con l’imposizione dei dazi americani dal 5 aprile 2025 sia per l’Italia che per l’Ue i settori maggiormente colpiti sono quello dei macchinari, dei prodotti chimici e dei manufatti finiti, che insieme valgono rispettivamente il 77% e l’82% delle esportazioni verso gli Stati Uniti, ma con alcune differenze: l’UE è più esposta sul settore chimico (32% vs 20%) mentre l’Italia sui manufatti finiti (19% vs 11%). Un altro settore particolarmente colpito è quello alimentare che per l’Italia rappresenta circa un decimo delle esportazioni verso gli Stati Uniti.

I primi contro-dazi Ue saranno su acciaio e alluminio e verranno decisi il 9 aprile dagli stati dell’Unione (e saranno resi efficaci dal 15 aprile).

Una delle principali reali motivazioni che hanno spinto gli Usa alla guerra commerciale è sicuramente quella legata all’emergere del gigante cinese.

Stando alle dichiarazioni ufficiali della Casa Bianca, il 5 aprile alle ore 12:01 (le 6:01 italiane) partono i dazi di base al 10% per tutti i paesi, mentre dal 9 aprile, sempre alle 12:01 (le 6:01 italiane) si aggiungono i dazi reciproci variabili da Stato a Stato.

A conti fatti il dazio medio pesato per il commercio americano passerebbe dall’1,4% degli anni di massima liberalizzazione al 13%, vicino ai livelli del periodo di protezionismo e isolazionismo tra le due guerre mondiali. Esattamente un secolo fa, quando però il ruolo del commercio internazionale sul PIL mondiale era intorno all’8% del PIL, meno di un terzo rispetto al 29% di oggi.

In realtà con gli attuali dazi si moltiplicano le barriere tariffarie introdotte dagli Stati Uniti da inizio 2018. I dazi sono già applicati all’import di lavatrici e pannelli fotovoltaici (8 miliardi di dollari) e di acciaio e alluminio (45 miliardi, di cui 30 temporaneamente esentati). E sono annunciati su 1.300 prodotti cinesi, anche ad alta tecnologia, per 50 miliardi di acquisti Usa.

Sulle auto, colpite da un ulteriore dazio del 25%, l’Europa rischia molto. Le esportazioni verso gli Usa sono più che triplicate negli ultimi 15 anni, da 15 a 51 miliardi di euro. Un livello ormai doppio rispetto alle esportazioni verso la Cina, che negli ultimi cinque anni ha invece fatto registrare una netta flessione (-17%).

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Come si calcolano i dazi americani

I dazi si esprimono in percentuale sul prezzo di vendita di ogni prodotto. Gli Stati Uniti fissano una percentuale variabile. Ad esempio, si va dal 49% per la Cambogia al 32% per Taiwan, dal 31% per la Svizzera al 26% per l’India, e così via. Appaiono più basse le tariffe verso alcuni storici partner di Washington: 17% per Israele, 10% per Regno Unito, Emirati Arabi e Arabia Saudita.

La soglia minima di base per tutti è del 10% a cui la Casa Bianca ha aggiunto i “dazi reciproci”, ovvero imposte aggiuntive che si calcolano in base alle misure doganali che gli altri paesi già adottano sulle importazioni dagli Stati Uniti.

Quando partono i contro dazi UE

Il 9 aprile gli stati dell’Ue dovranno votare sui contro dazi proposti dalla Commissione europea. In caso di via libera a maggioranza qualificata le prime contromisure scatteranno il 15 aprile. In pratica torneranno in vigore i dazi su acciaio e alluminio oggi sospesi.

Lo stesso giorno nella Gazzetta ufficiale dell’Ue verrà pubblicato l’atto con cui il Governo dell’Unione implementerà il regime delle tariffe in vigore il cui avvio sul piano operativo è previsto per il prossimo 15 maggio. Saranno colpiti i beni americani già “individuati” tra il 2018 e il 2020 e cioè moto, barche, metalli, prodotti alimentari e agricoli, abbigliamento. Si tratta complessivamente di un valore di interscambio pari a quello deciso dagli Usa.

Quali sono le motivazioni alla base dell’imposizione dei dazi

Le reali motivazioni che hanno spinto gli Usa alla guerra commerciale sono legate all’emergere del gigante cinese. La Cina, infatti, è ancora un’economia non di mercato e si avvale di pratiche scorrette, come il dumping, in particolare nei metalli, e le acquisizioni forzate di conoscenze proprietarie, specie tecnologiche. Soprattutto, l’esplosione industriale cinese ha spiazzato intere filiere produttive nel mondo avanzato determinando, secondo alcune stime, la perdita di un milione di posti di lavoro nel manifatturiero americano. La Cina è dunque il maggior avversario economico di Washington. Verso Pechino i nuovi dazi sono del 34%, che si sommano a quelli del 20% già in vigore dal 4 febbraio, per un totale del 54% di tassazione doganale sulle merci provenienti da Pechino. (il gigante asiatico era già stato peraltro colpito dai dazi sulle auto elettriche cinesi, imposti anche da Canada e UE).

Per quanto riguarda l’Europa, quella tedesca è l’economia più esposta (-0,5%), mentre l’Italia si situa intorno alla media UE. In caso di ritorsione europea, il contraccolpo sulla crescita dell’Europa stessa sarebbe ancora più marcato.

Quanto alla Cina, Pechino ha già applicato contro dazi su 3 miliardi di dollari di acquisti dagli Usa e si appresta a vararne su altri 50 miliardi, in risposta alle prossime tariffe americane.

Quali sono le conseguenze dei dazi americani sull’Italia

Il settore dei macchinari e delle attrezzature rappresenta la fetta più consistente delle esportazioni dell’Italia verso il mercato statunitense (circa 24 miliardi, il 38% del totale). Diversamente da quello che si potrebbe pensare, la quota più consistente non è rappresentata dai veicoli (che comunque contano per quasi 7 miliardi, tra trasporto su strada e non), ma dai macchinari industriali e specializzati che insieme valgono circa 11 miliardi. Per apprezzare l’importanza del mercato statunitense non basta osservare il valore dell’export ma bisogna anche rapportarlo al resto del mondo. Per l’Italia, in media, il mercato statunitense vale circa il 12% delle esportazioni globali; per questo settore, però, per tutte le categorie che valgono più di un miliardo l’esposizione è maggiore.

Secondo l’ufficio studi dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), sia per l’Italia, sia per l’Ue, le esportazioni verso gli Stati Uniti pesano per circa il 3% del PIL. Dal punto di vista settoriale, però, l’Italia è più esposta sui prodotti finiti (19% delle sue esportazioni, contro l’11% europeo) e nell’alimentare (11% contro il 5%). L’impatto dei dazi sarà dunque diverso a seconda dei prodotti che saranno più colpiti.

Nell’alimentare, il settore più critico per l’Italia è quello delle bevande (alcoliche e non alcoliche), con il 25% delle nostre esportazioni dirette verso gli Stati Uniti. Importanti anche i settori dei cereali, dei prodotti caseari e delle uova: insieme il loro valore si avvicina a quello delle bevande, anche se l’esposizione media di questi settori verso gli Stati Uniti è dimezzata (13%).

Quali sono le motivazioni politiche della Casa Bianca

Oltre a tentare rilanciare la produzione interna degli Stati Uniti, il Presidente americano immagina che i dazi possano generare entrate sufficienti a ripianare il deficit federale. In realtà le entrate aggiuntive generate dai dazi si attesteranno sui 200 miliardi di dollari l’anno, mentre il deficit federale americano si aggira intorno ai 1.800 miliardi, ovvero nove volte tanto. E se il Presidente Trump intende rifinanziare il taglio delle tasse varato nel 2017 dovrà trovare altri 450 miliardi. Di conseguenza il deficit, anziché diminuire, a fine anno potrebbe superare quota 2.000 miliardi.

Il Presidente americano, tuttavia, non sembra vedere i dazi solo come una misura di politica commerciale, ma anche come uno strumento di politica estera. Guardando agli annunci degli ultimi due mesi appare infatti chiaro come i dazi siano stati utilizzati anche per spingere alcuni paesi a collaborare con le politiche americane di deportazione e rimpatrio, o nella lotta al traffico di droga.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/04/05/via-dazi-usa-5-9-aprile-date-cruciali

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